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Cosa ci dice, per certo, l’inchiesta di Bergamo sul Covid

Inchiesta di bergamo sul covid

Nessuno sa, ovviamente, come finirà l’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione del Covid dall’ inizio di febbraio all’8 marzo 2020: la magistratura appurerà se ci sono stati reati ed eventualmente commessi da chi.

C’è però anche un fatto politico evidente che emerge da quell’inchiesta, un dato che non comporta reati ma, appunto, un giudizio politico.

Ed è quello delle pesanti pressioni esercitate da alcuni grossi imprenditori e dalle loro organizzazioni per far prevalere le ragioni del profitto su quelle della salute.

Intendiamoci, in parte quelle pressioni si conoscevano già: molte dichiarazioni in questo senso di Bonomi e dei presidenti regionali di Confindustria erano note.

Quello che è emerso dall’inchiesta di Bergamo – dalle intercettazioni, dalla pubblicazione dei messaggi – però è che questi imprenditori non si limitavano a interventi pubblici ma esercitavano le loro sollecitazioni anche in modo diretto e privato, con messaggi e telefonate a esponenti del potere politico.

Qui non si tratta di errori, di sottovalutazioni, di impreparazione: è stata una posizione ideologica, quella secondo cui il fatturato viene prima della salute e della vita.

La loro crociata infatti è continuata anche dopo, con le sollecitazioni a inserire quante più categorie produttive possibile in quelle cosiddette “essenziali” anche dopo l’8 marzo, quando tutti avevano ben capito cosa stava succedendo, fino a ottenere che bastava un’autocertificazione per definirsi “essenziali” in deroga al codice Ateco, fino a ottenere che oltre la metà dei lavoratori dell’industria e dei servizi privati in Italia andava fisicamente al lavoro anche in tempo di lockdown, a Milano addirittura il 67,1 per cento.

Il dato politico è che avevamo, e purtroppo abbiamo ancora, una classe imprenditoriale in buona parte così. Non solo irresponsabile verso la salute pubblica ma anche sciocca e miope, perché solo contenendo la malattia si potevano contenere i danni economici che ne derivavano, non c’era nessun vero vantaggio sul lungo termine a mandare la gente al lavoro nel momento del picco dell’epidemia.

“La Borsa sta crollando”, urlavano in quei giorni i poteri economici. Ma 15 mesi dopo era già tornata ai livelli pre covid.

Mentre nessuna delle persone morte per salvare la borsa, 15 mesi dopo, è tornata dalla sua famiglia.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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