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La prima manovra finanziaria del governo Meloni, la guerra di Erdogan ai curdi e le altre notizie della giornata

Palazzo Chigi ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 21 novembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il governo di Giorgia Meloni ha messo a punto la manovra finanziaria, prendendo dai poverissimi con l’obiettivo di redistribuire qualche briciola tra le fasce sociali più deboli. La Lega si dice soddisfatta, il Movimento 5 Stelle promette battaglia per scongiurare la fine del reddito di cittadinanza. Il ministro Valditara, intanto, inizia a parlare di lavori socialmente utili per gli studenti protagonisti di episodi di violenza in classe e per coloro che non hanno la capacità di rispettare le regole. Erdogan non ha escluso un’operazione di terra nel nord della Siria: nelle ultime 48 ore l’aviazione di Ankara – la sua versione – ha già bombardato decine di postazioni delle milizie curdo-siriane dall’altra parte della frontiera.

Una manovra finanziaria che prende dai poverissimi

(di Massimo Alberi)

I capitoli della manovra.
Parzialmente chiuso quello sulle pensioni: Quota 103 con almeno 62 anni di età e 41 di contributi. Riguarderà poche persone, circa 50mila.
Da capire invece in che termini sarà la riduzione degli adeguamenti all’inflazione per le pensioni. Potrebbe coinvolgere le pensioni già 4 volte oltre il minimo, quindi intorno ai 2.100 euro lordi, 1.700 euro netti.
Cuneo Fiscale: esclusa l’ipotesi di destinarne una parte alle aziende, cosa che ha fatto infuriare il presidente di Confindustria Bonomi. Si conferma il taglio del 2% di Draghi fino a 35.000 euro, che sotto i 20mila diventa del 3%. Una mancetta, per capirci, che per uno stipendio di 1.000 euro ne vale circa 15 al mese.
Questo mentre si alza a 85mila euro di ricavi il tetto della flat tax al 15% per gli autonomi. Un professionista che raggiunge il tetto massimo dunque pagherà circa 8mila euro di IRPEF, la stessa cifra che paga un dipendente con poco più di 30mila euro lordi.
Sul fisco resta ancora da capire che consistenza avrà la rottamazione delle cartelle, sotto i 1.000 euro? Da quando? Mentre a quanto si apprende si lavora anche ad una riduzione per le agevolazioni fiscali sopra i 60mila euro l’anno. Così come si è appreso che dovrebbe esserci un’ulteriore revisione del superbonus, relativamente alla cessione del credito con interventi che potrebbero andare in direzione di quanto chiesto dall’Abi.
Sta facendo molto discutere invece il taglio dello sconto per le accise sui carburanti, da 30,5 a 18,3 centesimi al litro. Non riguarderà l’autotrasporto, ha assicurato il governo, ma le associazioni di consumatori sono insorte per una decisione definita assurda.
Infine, la questione più spinosa: il reddito di cittadinanza. Meloni lo avrebbe voluto tagliare fin da giugno ai cosiddetti occupabili, la Lega da qui a 3 anni. Se fossero confermate le anticipazioni per loro il reddito cadrà dal primo gennaio 2024 se non troveranno un lavoro. Un compromesso politico, ma una misura comunque molto molto pesante: ricordiamo sempre che l’Istat quantifica, ogni dieci disoccupati reali, un posto di lavoro disponibile. I cosiddetti occupabili sono circa 600mila, ricordiamo, persone occupabili solo sulla carta, come ha ammesso la stessa Ministra del Lavoro calderone, perché con bassissime competenze, o a lungo esclusi dal mercato del lavoro cui si dice che da qui a un anno saranno sostanzialmente senza un reddito. 
La manovra nel complesso rispecchia la campagna elettorale e prendendo dai poverissimi redistribuisce qualche briciola tra le fasce sociali più deboli, molto di più se pensiamo alle nuove soglie della flat tax.

La soddisfazione della Lega dopo la chiusura della manovra

(di Luigi Ambrosio)

Salvini poco fa ha dichiarato “siamo soddisfatti, è chiusa”.
E ci sta, perché la Lega ottiene molto, in attesa del piatto forte della propaganda salviniana, la rottamazione delle cartelle che rimane ancora, mentre andiamo in onda, un capitolo aperto.
La Lega cede qualcosa sulle pensioni perché non ci sarà quota 101 ma quota 103, ma ottiene in cambio la cosiddetta flat tax al 15% per gli autonomi che guadagnano fino a 85mila Euro, uno spostamento un po’ più in là della fine del reddito di cittadinanza quantomeno come lo abbiamo conosciuto -se ne parla il 1 gennaio 2024. E se la gioca sulla rottamazione delle cartelle.
La logica che muove Salvini è quella che muove un po’ tutti nella maggioranza: dare qualcosa a chi ci ha votato. E così le agevolazioni sui carburanti verranno tolte o ridotte, ma non agli autotrasportatori. Ai commercianti si promette la cosiddetta “tassa Amazon” che in realtà se verrà introdotta sarà una tassa sugli acquisti online. Un po’ di cuneo fiscale in meno ma davvero pochissima roba, qualche taglio dell’Iva qua e là tipo pane e latte. Molto simbolico ma concretamente? Concretamente non si vede un’idea di sviluppo. Si premia qualcuno si puniscono altri, se non sono propri elettori. Primi fra tutti, gli elettori considerati grillini per eccellenza, i fruitori di reddito di cittadinanza. Non a caso la prima dichiarazione bellicosa è stata di Conte: “Pronti a tutto per difendere il reddito”. È una guerra per difendere gli interessi delle proprie famiglie elettorali.
 

Lavori socialmente utili per gli studenti che non rispettano le regole: la proposta del ministro Valditara

(di Michele Migone)

Il ministro Valditara lancia l’amo: lavori socialmente utili per gli studenti protagonisti di episodi di violenza in classe e per coloro che non hanno la capacità di rispettare le regole. La formula è volutamente sfumata. Tiene dentro tutto. Dal bullismo alla protesta. O forse parte dal primo, drammatico fenomeno per arrivare poi alla contestazione politica? C’è chi capisce al volo e si affretta a raccogliere subito le parole di Valditara. Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma, rilancia: lo statuto degli studenti in vigore alle medie e alle superiori prevede già delle sanzioni nei confronti degli studenti indisciplinati. Il problema – dice Rusconi – sono le occupazioni perché i dirigenti scolastici non possono entrare negli istituti e quindi non possono individuare gli occupanti. E denunciarli.
In questo momento a Roma ci sono sette licei occupati. Gli ultimi due sono il Visconti e il Manara. La dirigente scolastica del primo ha detto che le lezioni riprenderanno venerdì prossimo. La preside del secondo ha chiesto invece lo sgombero immediato. Nei mesi scorsi, una circolare dell’Ufficio Scolastico Regionale indicava ai dirigenti di “denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e di chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possibile degli occupanti”.
I messaggi che lancia il nuovo governo sono di un ulteriore inasprimento. Senza contare che su queste occupazioni aleggia anche lo spettro del decreto Rave, le cui modifiche sono state promesse, dopo l’intervento del Quirinale, ma non ancora votate dal Parlamento. Dopo l’uscita sui lavori socialmente utili, Valditara ha convocato per il 29 novembre al Ministero della Pubblica Istruzione e del Merito i dirigenti scolastici per discutere dei problemi della gestione delle scuole. Parleranno anche di ordine pubblico? Che, insieme alla revisione della storia, sembra essere ora l’unica priorità del ministro. Eppure la scuola pubblica, chi ci lavora e chi la frequenta, meriterebbe molto di più dell’iniezione di cultura paternalista e conservatrice a cui sembra dedicarsi con tanto impegno il ministro Valditara.

La guerra di Erdogan ai curdi

(di Emanuele Valenti)

Per Erdogan la questione curda è una costante. Non solo sul piano interno – la lotta al PKK che giustifica la stretta su tutta la comunità curda – ma anche su quello regionale, come i bombardamenti nel nord della Siria di questi giorni. E per una serie di motivi questo è uno di quei momenti.
Come negli anni scorsi il presidente turco vuole evitare che i curdi siriani controllino – oltretutto con una forte autonomia – la zona di territorio lungo il confine tra i due paesi. Questo potrebbe alimentare ulteriormente le rivendicazioni dei curdi turchi e facilitare le operazioni del PKK, che ha basi nel nord della Siria. Il legame tra i curdi siriani e quelli turchi è il prodotto della storia di questa regione, da diversi punti di vista – nonostante la frontiera – un unico territorio.
Ankara ha giustificato gli ultimi raid con l’attentato di otto giorni fa a Istanbul, che considera opera del PKK. La tempistica è importante.
Erdogan è in crisi di popolarità e le elezioni del 2023 si avvicinano. La carta della sicurezza nazionale può essere utile a ricompattare il suo elettorato.
E poi c’è il quadro internazionale. In questo momento la Turchia è un punto di equilibrio su alcune questioni importanti. Per esempio l’accordo sul grano ucraino oppure l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, sul quale inizialmente Erdogan aveva minacciato il veto.
I turchi sanno che gli occidentali, occupati in altro, non protesteranno più di tanto. Fingendo di aver dimenticato che i curdi fecero per loro il lavoro sporco sul campo nella guerra all’ISIS dopo gli attentati in Europa.

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