Approfondimenti

La Svizzera e i profughi nei bunker antiatomici

Può esserci una guerra atomica fuori, ma lì dentro sei al sicuro.

Completamente sigillato e isolato dal mondo esterno, i bunker antiatomici servono a quello: tenerti fuori pericolo in attesa che la catastrofe sia passata. Se sei un profugo scappato dal tuo paese la catastrofe sembra non finire mai e in centinaia, dopo deserto, mare e migliaia di chilometri di strada, sono finiti nei bunker antiatomici svizzeri. Qualcuno per una sola notte, altri per alcuni giorni. Ci sono poi casi storici di richiedenti asilo trattenuti fino a un anno in bunker riconvertiti in abitazioni. Tutto normato dalle leggi svizzere fin dal 2014, ma da giugno 2016, con l’intensificarsi della crisi al confine comasco, è aumentato l’utilizzo emergenziale dei bunker per trattenere i migranti in attesa di essere rimandati in Italia.

Si tratta di strutture sotterranee, con camerate, senza finestre, cui si accede attraverso porte blindate, dove, come ovvio per un bunker, si è completamente tagliati fuori dall’esterno. Un paradosso nel paradosso per chi dovrebbe essere integrato nella società a una vita normale. Le legislazioni cantonali prevedono generalmente che i richiedenti asilo debbano stare fuori dai bunker dalle 9 alle 16/18. Se questo avviene nei bunker convertiti ad uso sociale o turistico tra il 2014 e il 2015, non sempre è avvenuto nei quattro bunker utilizzati nella zona di Chiasso per fronteggiare l’emergenza degli ultimi mesi. “Non lasciarli uscire durante il giorno è una violazione del diritto alla mobilità” ci dice Denise Graf di Amnesty Svizzera. “Abbiamo ricevuto denuncia di minori che hanno passato più di una notte nel bunker, un ragazzo ci ha raccontato di esserci stato da venerdì pomeriggio a lunedì mattina, e in quei giorni non gli sarebbe stata data la possibilità di uscire in superficie. Parlava di trattamento come in una prigione, ma almeno in prigione si ha diritto all’ora d’aria” racconta Denise Graf.

Un’altra testimonianza è stata raccolta dell’Unione degli Studenti e raccontata sul blog della sezione lombarda. “Mi sembrava di essere un sorvegliato speciale” racconta Karim, che spiega all’Uds di essere stato trasferito in un bunker “underground”, sotto terra. Anche il sito milanese MiM ha raccolto una testimonianza, scritta su un pezzetto di cartone.

Sono i governi cantonali ad essere responsabili della gestione dei bunker, la polizia si occupa dei trasferimenti, all’interno dei bunker c’è il personale della Protezione Civile svizzera. “Alcuni richiedenti asilo ci hanno raccontato di essere stati denudati e perquisiti prima e dopo i trasferimenti nel bunker” ci dice l’avvocato Anna Brambilla dell’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione. “Ci hanno raccontato di essere stati costretti a stare nel bunker anche di giorno, fino a tre giorni”.

Ascolta l’intervista all’avvocato Anna Brambilla:

Anna Brambilla Asgi

Dal primo settembre i quattro bunker della zona di Chiasso non dovrebbero essere più utilizzati e i profughi trasferiti alla nuova struttura appena inaugurata a Rancate. “Almeno, questo è quello che ci hanno detto le autorità cantonali” spiega Amnesty, “nei prossimi giorni verificheremo se davvero i bunker non verranno più utilizzati”.

Asgi e Amnesty hanno presentato alcuni numeri dell’emergenza al confine italosvizzero. “Tra luglio e agosto le autorità svizzere hanno effettuato quasi 7.000 riammissioni in Italia di cittadini stranieri, delle quali almeno 600 hanno riguardato minori non accompagnati” scrivono le due associazioni. “Risulta che molte delle persone respinte avrebbero diritto, una volta presentata domanda di asilo, ad essere ricongiunte ai familiari che si trovano in Svizzera o in altri Stati europei, ai sensi del Regolamento Dublino III, o di chiedere la relocation. Le autorità svizzere affermano di respingere in Italia solo coloro che non intendono chiedere asilo in Svizzera. Al contrario, molti dei migranti respinti hanno dichiarato di aver tentato di presentare domanda di protezione internazionale in Svizzera, sia oralmente che consegnando una dichiarazione scritta, ma di non aver potuto formalizzare la domanda”. Qui il rapporto completo.

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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