Approfondimenti

“Perché noi jumpers rischiamo la vita”

Nel giro di pochi giorni tre base jumper sono morti in altrettanti incidenti durante una performance. L’ultimo a perdere la vita è stato il jumper italo norvegese Alexander Polli, 31 anni. L’incidente è avvenuto sopra Chamonix, in Francia, a 1500 metri di altezza: Polli si è schiantato contro un albero durante un volo con la tuta alare. Polli era noto nell’ambiente degli sport estremi e aveva fondato il gruppo dei ‘Morals Arrivederci’. Il loro motto è “Non fissate mai dei limiti alle vostre capacità”. Il giovane era considerato una delle più promettenti star di questa disciplina.

Prima di lui, altrettanti incidenti mortali hanno coinvolto un atleta britannico e l’italiano Uli Emanuele. Quest’ultimo, 31 anni, sudtirolese, era uno dei jumper italiani più conosciuti, sul web i tanti video delle sue performance. Lo schianto contro una roccia è avvenuto in Svizzera, nell’Oberland Bernese.

Il base jumping è uno sport estremo che consiste nel lancio da grande altezza, non necessariamente una montagna. In Italia coinvolge poche decine di persone, ma sembra la sua diffusione stia aumentando. Dei rischi connessi a questa attività, ma anche delle motivazioni e le sensazioni che spingono questi atleti a rischiare la vita, abbiamo parlato con uno dei jumper più noti in Italia, Maurizio Di Palma. Nato a Pavia, oggi vive in Trentino dove ha fondato una sua scuola di base jumping. Un anno fa fece scalpore lanciandosi all’alba dal Duomo di Milano.

Qual è stata la sua reazione agli incidenti?

Gli incidenti accaduti negli ultimi giorni purtroppo hanno coinvolto due amici. Uli Emanuele in particolare era stato un mio allievo, aveva iniziato con me questa attività nel 2007. Lo conoscevo molto bene, conoscevo il suo modo ad apporcciarsi a questo sport, estremamente preciso e meticoloso. Del resto è una piccola comunità, la nostra. Ci si conosce tutti. Quando succede un incidente se non è una persona amica, è comunque un conoscente. E’sempre uno choc. Ma se siamo perfettamente consci dei rischi che corriamo. Anche se all’esterno arriva spesso solo il gesto che compiamo, l’immagine di questi pazzi scatenati che rischiano la vita. In realtà c’è una grande preparazione, un’abnegazione maniacale. Poi, come tutte le attività che si svolgono ad alte velocità e in pochissimi secondi, basta un attimo e l’errore può essere fatale.

Sul sito della sua scuola di base jumping, viene messa subito in rilievo la pericolosità di questa attività. Ma c’è davvero questa consapevolezza in chi inizia?

Bisogna sempre mettere la persone che decide di iniziare un’attività come questa dei rischi che corre e di quello che è questo tipo di attività. La prima cosa è informare. Poi, naturalmente è soggettivo che una persona possa realmente comprendere di cosa stiamo parlando. Molte persone ci sbattono la faccia solo quando ci sono dentro, quando comiciano a scontrarsi con la realtà di incidenti che magari succedono ad amici.

Quindi non tutti sono consapevoli di quello che fanno?

Attensione, io non voglio far passare il base jumping come una roulette russa. Ci sono tutte le precauzioni che si possono prendere per far sì che tutti i rischi rimangano all’interno di una finestra tollerabile. Poi però è un tipo di attività tale, che si svolge in pochissimi secondi, ad alte velocità e in spazi ristretti e quindi i problemi ci possono essere. Se il jumper si tiene dei margini, allora magari è possibile risolvere questi problemi. Se si spinge sempre più al limite allora magari non è posssibile rimediare agli errori e qui gli errori possono essere fatali.

Chi fa base jumping?

Anzitutto non ci si avvicina al base se non si è paracadutisti esperti. E’ un’attività molto di nicchia, parliamo di circa tremila persone nel mondo. In Italia siamo un’ottantina, non di più. E’ un’attività che richiede un grosso impegno psicologico e mentale. Uno che decide di praticarla non può pensare di entrarci come se andassse a giocare a calcio o a pallavolo. O persino paracadutismo. Il base va affrontato più come uno stile di vita. Perché la posta in gioco è diversa, richiede un approccio e una dedizione diversi. Bisogna mettere sul iatto quello che si è disposti a dare al base, perché il base a volte può chiedere troppo.

Lei che tipo di lanci fa?

Io sono qundici anni che faccio questa attività. Arrivo dal paracadutismo. Del base mi ha sempre affascinato tutto. Io salto con la tuta alare, salto senza tuta alare, faccio salti ultra bassi, faccio manovre aeree. Questo è quello che mantiene viva la mia passione dopo tanti anni, non mi sono mai focalizzato solo su una specialità.

Quindi non si salta solo con la tuta alare?

No, adesso nell’immaginario collettivo c’è questo, per via dei media e delle mode. Ma quella è una cosa in più, è una specialità. Il base non nasce così, nasce con il salto senza tuta alare, per poi arrivarci progressivamente. Infine aprodare a quello che è il volo in prossimità, che è quello più spettacolare, che si vede in tutti i video. Ovvero un volo rasente le montagne, i pendii, i canaloni, in cui i rischi salgono esponenzialmente. Naturalmente il paracadute c’è sempre in tutte queste specialità. Si salta, con o senza tuta alare, poi, quando è il momento, lo si apre.

A che velocità si scende?

Senza tuta alare possiamo scendere dai 120 ai 150 km/h in verticale. Con la tuta alare abbiamo delle velocità verticali ridotte, che possono andare dagli 80 ai 100 km/h, ma con un tasso di velocità orizzontale ben maggiore, perché parte della velocità verticale viene trasformata in velocità orizzontale: e si arriva ai 180, 200 o anche oltre km/h.

Il base jumping viene fatto solo in montagna o anche in altri ambienti?

Base è un acronimo: sta per Buildings, Antennas, Span ed Earth. Un acronimo inglese che sta a indicare le quattro categorie di oggetti dai quali i jumpers saltano: palazzi, torri abbandonate, ponti, terra. Noi saltiamo ovunque. Ovunque ci sia una struttura artificiale o naturale, come una montagna, con le caratteristiche necessarie: un atterraggio idoneo, una quota sufficiente, uno spazio aereo libero da ostacoli.

Ma il gusto di fare questa cosa, alla fine, qual è?

Se non lo provi non lo puoi capire.

Siccome certamente non lo proverò, provi a spiegarmelo…

Come potrei spiegarvi l’amore verso una persona? Metterlo in parole non è facile. In quel momento si annulla tutto. Quando sei in piedi sull‘exit, il punto di uscita, sei tu. Sei l’universo. Sei concentrato esclusivamente sul gesto che vai a compiere e la performance che devi fare. E’ talmente intenso, ha una potenza talmente forte che quando lo fai per la prima volta, poi non sei più lo stesso. Alcuni vengono quasi “drogati” da questo tipo di attività: e vuoi saltare, vuoi continuare, vuoi perfezionarti sempre. E diventa come uno stato mentale. Pwer questo è molto riduttivo chiamarlo sport.

Ma quando si salta si pensa al rischio?

No, quando salti non ci pensi. Sei concentrato. La paura c’è, c’è sempre, perché ti tiene vigile. Ma è una tensione che porta alla concentrazione. Sicuramente non pensi, in quel momento: “Potrebbe essere il mio ultimo salto”. Se lo fai, vuol dire che è il momento di smettere. Poi certo, dopo, soprattutto quando avvengono degli incidenti che magari coinvolgono amici come in questi giorni ti capita di pensare se ne vale la pena.

Ne vale la pena?

Anche qui, chi non è dentro non può capire. Con gli anni si instaura un rapporto diverso con la morte. A volte ti tocca da vicino. Ma – e parlo per me – si diventa un po’ cinici. Anche un po’ egoisti. Si è troppo presi, si ama questa attività alla follia, e allora si passa oltre, si va avanti.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata" Artista associata di Triennale Teatro per il triennio 2025-27, la coreografa e performer Chiara Bersani arriva a Milano con il suo ultimo spettacolo, The Animals I Am. Il lavoro è una evoluzione di due precedenti lavori, in cui Bersani ripensava i codici del balletto classico a partire da un corpo divergente, come il suo, a causa dell’osteogenesi imperfetta. Il nuovo progetto porta in scena tre performer con disabilità, per sfatare il concetto dell'artista disabile come "eccezione", con uno statement essenzialmente politico. Bersani si è ispirata al celebre pianista jazz Michel Petrucciani, che aveva la sua stessa condizione genetica, a sua volta audace nel suo modo di esprimere arte attraverso il proprio corpo. L'intervista di Ira Rubini.

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