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Il referendum tradito: dieci anni dopo, l’acqua non è ancora bene comune

Un gruppo di suore in piazza San Pietro a margine di una preghiera in difesa dell'acqua pubblica a pochi giorni dal referendum, in una immagine del 09 giugno 2011

A Fino alle Otto, Alessandro Braga intervista Erica Rodari, del Comitato Milanese Acqua Pubblica. Nel week end del 12 e 13 giugno di dieci anni fa esatti si tenne il referendum abrogativo: si chiedeva l’abolizione del comma 23 del decreto Ronchi, che prevedeva l’obbligo della privatizzazione dell’acqua. Fu una grande vittoria, ma ancora non se ne vedono i risultati. Anzi, va sempre peggio.

Domani sarà l’anniversario del referendum abrogativo del 2011. Cosa chiedeva? Cosa abbiamo ottenuto? Cosa è stato disatteso a distanza di dieci anni?

Quel referendum è stato un grandissimo momento di partecipazione popolare e di mobilitazione spontanea della gente a difesa di un bene comune indispensabile alla vita.
Per quanto riguarda l’acqua il referendum chiedeva l’abolizione del comma 23 del decreto Ronchi, che prevedeva l’obbligo della privatizzazione. In realtà abbiamo ottenuto pochissimo. Con quella grande vittoria siamo riusciti a rallentare la privatizzazione selvaggia dell’acqua, ma il processo continua ad andare avanti, in controtendenza con quanto successo in altre grandi città europee dove l’acqua è stata ripubblicizzata. In Italia tutti i governi che si sono susseguiti hanno completamente ignorato la volontà popolare: 27 milioni di si per l’acqua pubblica, fuori dal mercato e dai profitti.

L’acqua rappresenta un grande business, è un bene indispensabile di cui tutti devono usufruire. In questi anni sia per le società pubbliche che per quelle private i profitti sono rimasti in tariffa e invece di essere utilizzati, ad esempio, per migliorare le reti idriche, che in Italia mediamente perdono 42 litri d’acqua ogni 100 immessi, sono stati spartiti tra i soci.

I soldi che arriveranno per il PNRR potrebbero rappresentare un’opportunità per tornare a puntare su una pubblicizzazione dell’acqua e dei beni comuni?

Purtroppo sia il PNRR sia il Decreto Semplificazioni di qualche giorno fa non vanno in quella direzione. C’è una fortissima spinta verso la privatizzazione, in particolare nel Sud Italia. Purtroppo i soldi del PNRR verranno assegnati a chi gestisce l’acqua attraverso una serie di strutture legate alle grosse multiutility. C’è, di nuovo, una spinta verso la privatizzazione, questo non solo per l’acqua ma anche per i trasporti. Sta accadendo tutto il contrario di quello che ci aspettavamo dopo il referendum.

Perché è importante che l’acqua sia gestita pubblicamente?

È importante perché la gestione privata non è, al contrario di quanto si possa pensare, sinonimo di efficienza. La maggior parte delle perdite delle reti idriche si verificano proprio dove la gestione è affidata alle grandi multiutility come HERA e CEA. Nel privato le tariffe sono altissime e non si traducono in nessun serio intervento di manutenzione, perché la logica è puntare al profitto. Da questo punto di vista una gestione pubblica garantirebbe più garanzie. Nei nostri territori siamo avvantaggiati perché la gestione dell’acqua è affidata a delle società pseudo pubbliche che, pur essendo S.p.A., sono gestite totalmente dal comune e in virtù di questo la perdita delle reti è intorno al 10%, ben al di sotto della media italiana del 42%. Questo è l’esempio di cosa si può ottenere con una gestione pubblica efficiente.

Foto | Un gruppo di suore in piazza San Pietro a margine di una preghiera in difesa dell’acqua pubblica a pochi giorni dal referendum, in una immagine del 09 giugno 2011

  • Autore articolo
    Alessandro Braga
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