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L’impatto dell’ex Ilva sulla città di Taranto

Ilva Taranto ANSA

Con 15 milioni di metri quadrati di superficie il complesso industriale delle acciaierie ex ILVA è lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Costruito nel 1960 a spese dello stato come Italsider, con i suoi 5 altiforni alti più di 40 metri e dal diametro di 10-15 metri si colloca letteralmente all’interno della città abitata: in particolare le case del quartiere Tamburi sono arrivate a trovarsi, anche a causa delle successive espansioni della fabbrica, a 0 km dalle mura di recinzione.

Allo stato attuale, lo stabilimento si estende su di un’area pari al doppio di quella occupata dell’intera città di Taranto. La famiglia Riva ha acquistato il polo nel 1995 e lo ha ceduto nel 2012, anno del comissariamento e del sequestro, durati fino al 2018 con l’arrivo ArcelorMittal.

Mezzo secolo di fabbrica a queste condizioni ha lasciato un segno pesante sulla città. Per quanto riguarda in particolare l’ILVA dei RIVA, secondo la perizia chimica ed epidemiologica commissionate dalla procura di Taranto, sono state diffuse in quantità elevate sostanze pericolose quali polveri, diossido di azoto, anidride solforosa, idrocarburi aromatici, diossine; i decessi sono attribuibili ai superamenti del valore limite della polverosità ambientale e vi è “forte evidenza scientifica” tra la nocività delle emissioni dell’impianto e l’insorgenza di patologie.

Queste affermazioni sono supportate dai rapporti SENTIERI (acronimo per Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) che ancora adesso indicano per la popolazione residente di Taranto un eccesso di mortalità per tumori al polmone e malattie respiratorie; per quanto riguarda ospedalizzazione e incidenza oncologica, oltre all’eccesso il rapporto indica l’associazione di tali patologie agli inquinanti ambientali.

Sempre secondo SENTIERI di rilievo è l’eccesso di mortalità in età pediatrica per tumori al sistema linfatico, mentre l’incidenza per tutti i tumori infantili maligni è superiore al 30%. Non consola osservare che le concentrazioni dei contaminanti incriminati secondo gli ultimi dati ARPA è leggermente diminuita, molto probabilmente a causa della riduzione della produzione.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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