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“Smantellare le piattaforme non utilizzate nel Mediterraneo”: l’appello di Greenpeace all’Italia

smantellare piattaforme

Alessandro Zannì, coordinatore delle campagne Greenpeace Italia, è intervenuto a Radio Popolare per discutere l’ipotesi di bloccare le nuove concessioni e le proroghe per lo sfruttamento degli idrocarburi, con il Milleproroghe, che viene discusso oggi nel Consiglio dei Ministri. E l’ong, con l’occasione, rinnova l’appello a smantellare le vecchie piattaforme non utilizzate nel Mar Mediterraneo.

L’intervista di Barbara Sorrentini a Fino Alle Otto.

Come potrebbe essere il futuro se venisse approvato questo decreto legge?

Quello che sappiamo è che il Consiglio dei Ministri dovrebbe affrontare oggi la faccenda delle trivelle, su cui c’era stato un referendum che è andato male ma che di fatto ha portato a un blocco di tutte le attività. In questo momento vige un decreto (che dovrebbe scadere tra qualche mese) che blocca tutte le attività di prospezione. Ovviamente le concessioni già date continuano, è difficile cancellarle. Quello che è stato bloccato è il continuare a trivellare e il cercare idrocarburi. Nel decreto che dovrebbe essere discusso oggi, da quello che leggiamo, il primo capitolo prevede di fermare tutto: non ci sarebbero più attività di prospezione e di ricerca. Anche dove sono state già fatte le attività di prospezione sono state richieste nuove concessioni petrolifere: queste verrebbero immediatamente fermate. Il secondo capitolo è che tutte le concessioni hanno una scadenza (nonostante il referendum) e il decreto prevede che una volta giunte alla scadenza non verrano più prorogate le concessioni.

Ci sono state richieste, anche una lettera a Conte. Voi cosa auspicate in questa fase?

Nel momento in cui si vengano a chiudere queste attività, o comunque a causa del fatto che ci sono già nei nostri mari circa una trentina di piattaforme molto obsolete, una questione che si pone è che queste strutture, a norma di legge, debbano essere smantellate. Una concessione è un bene comune dello Stato che viene dato a un privato, che ne fa un certo uso. Una volta che la concessione scade, il privato deve restituire il bene alla collettività, ripristinando lo stato dei luoghi. Come minimo questi soggetti devono smantellare le piattaforme. Le associazioni come la nostra hanno interloquito tempo fa col Ministero, ma anche con l’Associazione dei petrolieri, e si è arrivato a definire un elenco di piattaforme inutili, che sono ferraglia che sta in mezzo al mare, strutture di metallo soggette a corrosione. Dieci giorni fa, in Adriatico, una piattaforma in acque croate costruita tra ENI e INA, l’ente petrolifero jugoslavo, è stata portata via dal mare. Sono strutture che non posso resistere per sempre. Da mesi ormai chiediamo al Ministero dello Sviluppo Economico di dirci a che punto sia questo piano di dismissione, perché una volta che questa roba va a fine vita almeno bisogna risistemare lo stato dei luoghi. Per ogni piattaforma che emerge dal mare, sotto c’è una ragnatela di tubi. Tutto questo è fermo. Quello che noi stiamo vedendo è che c’è una pletora di pseudo studi e proposte per riutilizzare queste piattaforme. Ho sentito parlare di alberghi su queste piattaforme. Vi immaginate se quella piattaforma in Croazia che è stata portata via dal mare aveva un albergo? Per fortuna quasi tutte le trivelle ormai sono automatizzate. Quando ci fu il referendum si scoprì che sulle trivelle italiane ci lavorano forse in totale 80 persone, anche perché è un mestiere faticoso e pericoloso. Un albergo su una trivella vecchia ormai di 50/60 crea un disastro se se la porta via il mare. Il riutilizzo di queste strutture obsolete è pericoloso sia per l’incolumità pubblica sia per il clima: uno dei possibili usi di queste strutture è quello di poterle utilizzare per mettere sotto al tappeto la nostra spazzatura, catturare la CO2 che viene dalla combustione del gas fossile e l’ENI ha presentato un progetto a Ravenna con cui vuole immagazzinare sottoterra la sua CO2, che è tutto tranne una cosa a vantaggio del clima. A parte che è complicato e costoso sia energeticamente sia economicamente, il risultato netto è che c’è un’emissione di CO2 in più. L’economia di questa faccenda è abbastanza incomprensibile ed è una scusa per continuare a bruciare gas.

Quali potrebbero essere le ricadute se passasse questo DDL, anche in base alle vostre richieste?

A questo punto ci vuole coerenza riguardo ai piani come il Recovery Plan. Noi abbiamo una grande giubilazione del gas come vettore energetico amico del clima: è un’enorme bufala riconosciuta internazionalmente. Prendiamone atto e cominciamo a fare una rete seria di distribuzione e accumulo di rinnovabili, premere in maniera decisa verso una transizione energetica che decarbonizza la nostra società, cisto che siamo in emergenza climatica. C’è anche un aspetto diplomatico: la Francia ha già preso una decisione analoga. Il giorno dopo che l’ha fatto, la Francia ha iniziato a parlare di stop alle trivellazioni nel Mediterraneo. Italia e Francia sono le due più grandi economie nel Mediterraneo, e questo potrebbe portare a una soluzione che ci solleva dal punto di vista ambientale, ma ricordiamoci che in questo momento, nel Mediterraneo orientale, la scoperta di vari depositi di gas sta creando un allarme dovuto ai conflitti militari che stanno sorgendo. Qualche anno fa una nave dell’ENI è stata cacciata dalla marina turca dalle acque intorno a Cipro, adesso ci sono confronti quasi armati tra flotte greche e turche. Andare a mettere un altro elemento di discordia in Medio Oriente è veramente pericoloso. Se noi tutti decidiamo che non ci serve più e che piuttosto collaboriamo per produrre energia elettrica in maniera diversa e ce la distribuiamo con una rete di distribuzione seria, tutto questo getta acqua sul fuoco. Quella sappiamo che è una polveriera.

Foto dalla pagina Facebook di Greenpeace Italia

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    Ottanta anni fa, dalla lotta di Liberazione, nasceva l'Unione Donne Italiane

    Nell'ottobre del 1945 nasceva l’Udi, Unione donne italiane, ora sul sito della storica associazione si legge Unione donne in Italia, perché – spiegano – anche le donne che vengono da altri paesi possono entrare nell’Udi e sentirsi unite in battaglie che dopo 80 anni non sono ancora terminate. È quella per difendere la 194 da chi in questo governo vuole limitarla, svuotandola, quella per ottenere il “bilancio di genere”, come spiega Liviana Zagagnoni, responsabile nazionale dell’Udi. Una legge di bilancio pensata anche per le donne, con investimenti per gli asili nido e per i congedi parentali e poi quella per avere una vera parità di genere, nei salari, ma anche nelle relazioni, per una società senza più femminicidi. Una storia iniziata ottanta anni fa da ragazze e donne che fecero la Resistenza e che quella partecipazione attiva nella lotta di Liberazione volevano continuarla per ottenere dei diritti, a cominciare da quello del voto. Lo ricorda Luciana Romoli, staffetta partigiana di 95 anni, una delle fondatrici dell'Udi, incontrata al convegno che alla Camera dei deputati celebra l’anniversario e che ci racconta la sua storia e l’ostilità che l'Udi trovò negli uomini, anche del partito comunista. Le interviste di Anna Bredice.

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    1980, crocevia dello stragismo in Italia: dalla stazione di Bologna agli omicidi Bachelet, Costa, Galli, Amato e Tobagi. E poi l'assassinio di Piersanti Mattarella e la strage di Ustica. Gli interessi dei poteri criminali (da cosa nostra all’eversione nera a pezzi “infedeli” dei servizi segreti, i poteri occulti), a volte convergenti o soltanto paralleli. Dell’omicidio Mattarella restano ancora i segni di quella pista nera il giudice Falcone riconobbe e seguì nella seconda metà degli anni ‘80. Pubblica ha ospitato la giornalista e saggista Stefania Limiti e l’ex direttore dell’istituto “Ferruccio Parri” Emilia-Romagna Luca Alessandrini.

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