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Austria al ballottaggio: chi vincerà?

Decisivi saranno gli indecisi. Il titolo del popolare quotidiano austriaco “Kronen Zeitung” racchiude tutta l’incertezza su come andranno a finire queste elezioni presidenziali in Austria.

La campagna elettorale si è chiusa ieri sera, con i comizi finali, in piazza, dei due candidati: Norbert Hofer, del partito di destra estrema FPOe e vincitore del primo turno, e Alexander Van der Bellen, candidato indipendente sostenuto dai Verdi.

I due hanno scelto luoghi diversi – e anche, rispettivamente, significativi – per lanciare agli austriaci l’ultimo appello a mettere, domani, la croce sul proprio nome.

Hofer, 45 anni, ingegnere, numero due dell’Fpoe e membro della presidenza del Nationalrat, una delle due Camere del Parlamento, ha tenuto il suo ultimo comizio in periferia, al Viktor-Adler Markt nel quartiere di Favoriten: un quartiere ad alta percentuale di migranti soprattutto turchi, dove il partito dei “Freiheitlichen” ha ottenuto parecchi consensi.

E proprio l’immigrazione, il no agli stranieri che non si integrano, che “si uniscono all’Isis e violentano le donne” è stato uno dei temi centrali del suo discorso. Con una distinzione: chi qui invece si è integrato, ha trovato in Austria “una nuova patria” è il benvenuto. Tuttavia, con quasi 500 mila disoccupati, non si possono aprire le porte a chi viene a cercare lavoro se non ce n’è neanche più per gli austriaci. Altro tema ricorrente, la Turchia: un Paese che “non appartiene all’Europa” e se dovesse entrare nell’Unione Europea, allora, dice Hofer, l’Austria dovrà decidere se uscirne. Ma, altra distinzione, questo non vuol dire essere euroscettici: tra “austriaci” ed “europei” non c’è contraddizione.

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Hofer ha ostentato sicurezza – “Diventerò presidente dell’Austria” ha detto più volte dal grande palco – e ha giocato anche la carta della spontaneità, dell’essere una persona che sta e va tra la gente. E alla gente, con bandierine austriache e bicchiere di birra in mano, ieri pomeriggio in discreto numero lo è andata a sentire, piace anche per questo modo di porsi. C’erano famiglie, parecchi anziani, gruppetti di ragazzi e ragazze. Hofer, dicono, è giovane, rappresenta una novità, non guarda solo ai ricchi ma anche a chi ha di meno. “Lo sostengo perché sta dalla parte dell’Austria e non dell’Europa”, dice un ragazzo. In piazza con tanto di palloncino blu, il colore del partito, anche qualcuno che prima votava a sinistra, per i socialdemocratici. Perché ha cambiato idea? “Perchè hanno smesso di occuparsi dei lavoratori”, è la risposta.

Dall’altra parte, anche in termini di distanze geografiche, Alexander Van der Bellen. 72 anni, economista, ex presidente dei Verdi, ieri pomeriggio ha invece scelto il Votivpark, nel centro di Vienna vicino all’Università, per chiudere la sua campagna. Un comizio “verde”, non particolarmente formale, con un piccolo piedistallo in mezzo al prato e centinaia di sostenitori, in maggioranza giovani, ad ascoltarlo in piedi o seduti sull’erba.

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Quella di domani, ha detto, è una scelta importante: la scelta tra “un’Austria aperta, della quale tutti possiamo essere orgogliosi” oppure “qualcosa in cui non voglio neanche addentrarmi: piccola, reazionaria”. Van Der Bellen, che al primo turno è rimasto indietro di oltre 10 punti, mostra comunque ottimismo in una possibile rimonta. Nelle ultime settimane ha incassato sostegni importanti, in primis quello di Irmgard Griss, finita terza il 24 aprile, con un potenziale bacino di 800 mila voti.

E anche quello di politici dei due grandi partiti tradizionali, Popolari e Socialdemocratici. Ma non solo: Van Der Bellen è diventato per forse non pochi austriaci una sorta di “male minore”, in confronto alla prospettiva di avere un presidente di estrema destra. A loro, a chi ancora non ha deciso se e per chi votare, era andato ieri già alla mattina il suo appello finale: “anche se avete riserve nei miei confronti – ha detto – riflettete valutate se non siano minori” di quelle verso di Norbert Hofer.

Basterà? La risposta la sapremo domani.

  • Autore articolo
    Flavia Mosca Goretta
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    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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