Approfondimenti

I Liberali con il mito di Hitler/1

Una identità mista

Il Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ) nacque nell’Aprile del 1956 come evoluzione politica del Raggruppamento degli Indipendenti (VdU): una coalizione elettorale nazionalista composta, tra gli altri, dal Partito della Grande Germania-GDVP (erede di una formazione pangermanica antisemita nata negli ’20 e poi confluita quasi interamente, dopo l’Anschluss, nel Partito Nazionalsocialista Tedesco-NSDAP).

Da subito questa nuova creatura politica si caratterizzò come il partito di riferimento per gli ex-nazisti austrici e per tutti i nazionalisti; non a caso, infatti, come primo segretario del FPÖ venne scelto Anton Reinthaller, un ex-SSbrigadeführer, incarcerato dal 1950 al 1953 (e libero grazie ad un’amnistia) in quanto membro dell’NSDAP, ex-Ministro dell’Agricoltura a livello regionale sotto il Terzo Reich.

Il Partito Liberale Austriaco teneva quindi insieme, fin dall’inizio, due anime ben distinte: quella liberale e quella pangermanico/filonazista, ragione percui venne sempre tenuto lontano dall’alveo di governo per accordo tra i due principali partiti del sistema politico del Paese (i Socialdemocratici (SPÖ) ed i Cristiano Democratici (ÖVP)).

Tuttavia l’FPÖ potè contare fino ai primi anni ’80 su di un sostegno stabile, quantificabile in circa 300.000 voti, attestandosi sempre tra il 5-7%, e rimanendo costantemente la terza forza politica austriaca, nonostante fosse unanimamente considerato un impresentabile partito di ex-nazisti.

L’unica spregiudicata apertura ai Liberali avvenne nel 1971, quando lo storico leader socialdemocratico Bruno Kreisky, gli propose un accordo di desistenza anti-ÖVP; ma si trattò di un esperimento rapidamente concluso, durato circa un anno soltanto.

Nel 1975 lo stesso cancelliere della SPÖ venne pesantemente criticato da Simon Wiesenthal e da tutta la comunità ebraica intermazionale per aver stretto una alleanza momentanea con l’allora padre-padrone del FPÖ Friedrich Peter, rivelando come questi avesse partecipato, da ufficiale delle SS, a massacri di civili sul fronte russo durante la guerra (lo Kreisky-Wiesenthal-Peter Skandal).

È significativo sottolineare, però, quanto questo strano partito liberal-nazionalista abbia continuato ad essere importante, anche al di là dei risultati elettorali, grazie a gruppi sociali decisamente nostalgici; il tutto in un Paese che faticava a metabolizzare il suo passato nazista e preferiva, all’apparenza, rimuovere questa capitolo della propria storia.

Va considerata, inoltre, la particolare posizione di frontiera dell’Austria nell’Europa della Guerra Fredda: la nazione alpina infatti rimase occupata dalle truppe dei paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale (compresa ovviamente l’Armata Rossa) fino al 1955 e scelse per sè, con un esplicito accordo diplomatico, il ruolo di zona neutrale tra la NATO ed il Patto di Varsavia (confinanando, infatti, direttamente sia con le atlantiche Germania Ovest e Italia che, ad est, con le socialiste Cecoslavacchia, Ungheria e l’eretica Jugoslavia di Tito).

L’isolamento dei Liberali cessò però nettamente quando dal 1983 al 1987, a causa di una tornata elettorale sfavorevole alla sinistra, parteciparono a pieno titolo ad una coalzione di governo, nuovamente con il SPÖ, ottenendo il posto di vice-cancelliere per l’allora leader FPÖ Norbert Steger ed altri incarichi di governo.

Anche in questo caso non mancarono le accuse di estremismo, come quando, nel 1985, iI Ministro della Difesa, (il liberale Friedheim Frischenschlager) si recò pubblicamente ad accogliere all’aereoporto di Graz, il criminale di guerra nazista Walter Reder, liberato anzitempo dalle carceri italiane (per una grazia concessa da Bettino Craxi) dove era detenuto dal 1948 per aver preso parte alla strage di Marzabotto ed all’esecuzione sommaria di 2700 civili nell’appennino tosco-emiliano nel 1944 (lo Reder Skandal).

Ma anche questa volta I Socialdemocratici, pur con qualche imbarazzo, mantennero l’accordo con il FPÖ.

L’Era Haider

All’interno del Partito Liberale Austriaco, però, le cose stavano cambiando: la linea moderata di Steger, nonostante l’accesso ad incarichi di governo, venne fortemente criticata nel congresso del 1986; gli si preferì come segretario, infatti, il giovane leader regionale della Carinzia, Jörg Haider.

La storia del Freiheitliche Partei Österreichs stava per cambiare per sempre.

Quando divenne segretario, Jörg Haider aveva trentasei anni; ma la giovane età non deve trarre in inganno: il nuovo carismatico leader era nato e cresciuto nel FPÖ fin dal 1970, essendo stato prima il portavoce dei Giovani Liberali, e, successivamente, il responsabile del partito nella ricca Carinzia.

Anche il padre Robert veniva dal FPÖ, inoltre era stato, in gioventù, un militante della Legione Austriaca, un gruppo paramilitare semiclandestino che già a metà degli anni ’30 era diventato una succursale del Partito Nazionalsocialista Tedesco.

Jörg, invece, si era fatto politicamente le ossa nei gruppi liberali studenteschi, frequentando, durante i suoi studi di giurisprudenza all’Università di Vienna, alcuni circoli giovanili reazionari ed antisemiti (le Burgenschaften); sarà proprio tra questi giovani rampolli dell’ex-nobilità austroungarica che incontrerà Andreas Möltzer, un intellettuale xenofobo che lo inizierà al pensiero völkisch.

Haider fin da subito causò dei problemi al FPÖ, facendolo espellere dall’Internazionale Liberale (per esplicita richiesta dell’italiano Luigi Malagodi) a causa di un articolo negazionista apparso su Aula, una delle riviste giovanili liberali, e per avere organizzato un congresso nazionale a Braunau am Inn, paese natale di Hitler.

Tuttavia il carisma del neosegretario riuscì presto a fare breccia anche nell’elettorato cristiano-democratico, facendo raggiungere al FPÖ, nelle Elezioni Nazionali del 1990, il 16,6% (+ 7% rispetto al 1986) con quasi 800.000 preferenze.

Mentre Haider stesso, nella votazioni per la Presidenza della Carinzia del 1989, prese il 30,3%, divenendo governatore regionale.

I guai però non erano finiti: il segretario liberale, infatti, dovette dimettersi nel 1991 dopo aver, in un dibattito parlamentare sulla disoccupazione, dichiarato: “durante il Terzo Reich si adottò una politica del lavoro efficace cosa che il governo (di Vienna) non è mai riuscito a fare. Questo andrebbe detto una volta buona!”.

La carriera politica di Jörg Haider sembrò finita per sempre; ma il quarantenne leader FPÖ riuscì a capovolgere la situazione con una brillante campagna propagandistica in stile pubblicitario, trasformando le sue debolezze in punti di forza.

Fu così che l’ex-governatore della Carinzia, noto per le sue uscite filo-naziste ed antisemite, decise di attaccare frontalmente l’ingessato mondo politico austriaco, presentandosi come l’outsider, l’uomo controcorrente simbolo della rottamazione della vecchia classe dirigente.

“Tutti sono contro di lui, perché lui combatte per voi. Semplicemente sincero. Semplicemente Jörg”: questo lo slogan scelto dal FPÖ per costruire la perfetta simbiosi tra il partito ed il suo spregiudicato leader: una assoluta novità per lo stanco agone politico austriaco in cui il duopolio SPÖ-ÖVP si alternava al potere ininterrottamente dal 1948.

L’obiettivo era convincere, in primis, i ceti conservatori più abbienti, delusi dai Cristiano Democratici e spaventati dall’Unione Europea e da una breve recessione economica.

Haider, che spesso nelle sue uscite pubbliche si travestiva da Robin Hood, iniziò così la sua guerra “per una Austria migliore”, rivendicando da destra: meno tasse, meno Stato e stop all’immigrazione.Ed i risultati non tardarono ad arrivare: fu così che nelle Elezioni Nazionali del 1994 il FPÖ prese il 22,5% (+5,8%) con 1.080.000 preferenze, mentre l’ÖVP scese al 27,6%, perdendo un significativo 4,5%; in Carinzia, invece, i Liberali raggiunsero il 33,5%.

Jörg Haider, l’uomo che tutti davano per finito, era rientrato prepotentemente sulla scena politica nazionale.

L’articolo è tratto dalla serie Viaggio nell’estrema destra europea, un progetto dell’Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia, curato dal ricercatore storico e collaboratore dell’Università Statale di Milano Elia Rosati.

  • Autore articolo
    Elia Rosati
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    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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