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Ue-Turchia, il negoziato illegale

La Commissione europea pubblica il primo rapporto su come ha funzionato il primo mese di negoziato Unione-Turchia. Secondo il meccanismo 1:1, l’accordo prevede che la Grecia non prenda più nuovi profughi e li rispedisca tutti ad Ankara. Per ogni persona rispedita nei campi turchi, l’Europa deve farsi carico di un profugo siriano da ricollocare nell’Unione. Per ora è successo solo a 103 persone. Troppo poco contando che in Grecia ci sono ancora oltre 50 mila profughi bloccati nel Paese e oltre 7mila sono arrivati via mare l’ultimo mese.

Nonostante i risultati non proprio trionfali, il ministro dell’Interno Angelino Alfano arrivando a Lussemburgo per un summit con i colleghi europei, ha toni ottimisti: “Io credo che sia stato giusto fare questo accordo, credo che sia una buona soluzione quella di continuare a collaborare e credo che il modello dell’accordo tra Ue e Turchia, quando ce ne saranno le condizioni, potrà essere replicato anche in Libia”. Eppure ci sono ancora molti dubbi sulla legalità del negoziato. E, di conseguenza, sulla sua efficacia.

Yves Pascoaou è uno degli esperti di immigrazione più influenti d’Europa. Lavora per lo Euorpean Policy Center, un think thank che come presidente onorario Herman Van Rompuy, l’ex numero uno del Consiglio europeo. “L’accordo non funziona per due semplici motivi – spiega a Radio Popolare -. Non funziona per i migranti irregolari, perché sono rispediti indietro in base ad un accordo di riammissione su cui si sta ancora lavorando. Non funziona per chi chiede asilo perché non c’è nulla che mi faccia dire che la Turchia è un Paese terzo sicuro”. Solo i Paesi che rispettano in pieno dei criteri stabiliti dalla Commissione (tra cui, per esempio, il principio di non refoulment, in sostanza evitare di respingere i migranti in altri Paesi) possono rientrare in questa lista. E la Turchia, denunciano le ong, non ci può stare. Il paradosso, continua Pascoaou, è che “la Commissione stessa promuove dispositivi che violano le regole che ci siamo dati noi stessi”. L’accordo, quindi, non funziona anche per una questione morale ineludibile: siamo certi che un profugo in Turchia sia al sicuro?

Matteo Renzi nei giorni scorsi ha presentato un piano italiano per affrontare la questione migranti: il Migration Compact. Dagli esperti europei sono arrivati diversi apprezzamenti, se non altro per il tentativo di mettere a sistema diversi interventi: dalla cooperazione fino alla realizzazione di infrastrutture nei Paesi di provenienza. Il metodo per finanziare gli interventi è usare bond con Ue e Paesi africani per permettere loro di entrare nel mercato finanziario, con l’appoggio della Banca europea per gli investimenti e altre organizzazioni finanziarie internazionali. “L’idea interessante – commenta Pascoaou – ma non so se possa funzionare sul piano economico. In più le prime reazioni politiche mi sembrano contrarie”. In effetti, dopo Angela Merkel che ha detto al piano, anche il presidente della Commissione Jean Claude Junker in una lettera esprime apprezzamento per il tentativo, ma boccia gli Eurobond.

Per migliorare il controllo alle frontiere, l’Italia si auspica che Bruxelles acceleri sulla creazione di una Guardia costiera europea, progetto in fase di discussione all’Europarlamento da mesi. “Penso che le possibilità che uno strumento così veda la luce sono alte – spiega Pascoaou – ma accanto a questo ci dovrà essere una nuova missione di Frontex, Frontex Plus, con un mandato maggiore e solo per la sorveglianza delle frontiere e non il salvataggio”. Intanto nel Mediterraneo si continua a morire.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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    In queste ore sta causando forti critiche una sentenza con cui un uomo a Torino è stato assolto dall’accusa di maltrattamenti. Secondo indiscrezioni di stampa, nelle motivazioni il giudice spiegherebbe di ritenere poco attendibile l’ex moglie dell’imputato su questo punto, accusandola di aver “sfaldato un matrimonio ventennale” e di aver comunicato la separazione “in maniera brutale”. Anche una minaccia di morte pronunciata dall’uomo sarebbe da contestualizzare: “L’amarezza per la dissoluzione della comunità domestica era umanamente comprensibile” avrebbe scritto il giudice. Nelle motivazioni si parlerebbe anche di “uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane”. Il tutto colpisce ancora di più perché l’ex marito ha picchiato la donna al punto da causarle una lesione permanente al nervo oculare e la ricostruzione del volto con 21 placche di titanio. Per questo è stato condannato a un anno e mezzo per il reato di lesioni, mentre la magistrata dell’accusa aveva chiesto tre anni in più. “Il verdetto viviseziona e mortifica la vittima” ha detto l’avvocata di parte civile Annalisa Baratto. Reazioni simili sono arrivate da diversi membri dei partiti di centrosinistra in parlamento, ma anche dalla Lega. Francesco Menditto, procuratore di Tivoli, si occupa da anni del tema della violenza di genere. L'intervista a cura di Andrea Monti.

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    1) L’area meridionale di Gaza è un oceano di tende. Mentre l’esercito israeliano continua a bombardare il nord, sempre più persone si spostano verso sud, ma non c’è più né posto né speranza. In Esteri la testimonianza dalla striscia. (Irdi Memaj - Emergency) 2) Nel giorno dei funerali delle vittime dell’attacco israeliano a Doha, il Qatar chiede alla regione una risposta collettiva. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti, l ’omicidio del podcaster di area MAGA Charlie Kirk e le rischieste di vendetta dell’estrema destra gettano benzina sul fuoco della crescente violenza politica. (Arianna Farinelli - City University di New York) 4) L’odio verso la comunità lgbt come arma politica. Un rapporto evidenzia come nelle campagne elettorali in tutto il mondo nel 2024 sia cresciuta la retorica omofoba e transfobica. (Valeria Schroter) 5) Contro i privilegi delle élite corrotte. In Indonesia scoppia la rabbia di piazza davanti alle crescenti disuguaglianze sociali. (Paola Morselli - Ispi) 6) World Music. A Garota Nao, l’artista portoghese che unisce la musica con l’impegno politico. (Marcello Lorrai)

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    “Potevano entrare tutti quelli che non facevano entrare negli altri locali” racconta la cantante e musicista Patrizia Di Malta ricordando il celebre Plastic. Nel locale “ci si sentiva quasi in una piccola New York”: era un catalizzatore di musica, mode e culture alternative internazionali, nonchè punto di riferimento della comunità queer. “Anche solo fare la fila fuori era parte dell’esperienza” continua Piergiorgio Pardo, “c’era una selezione all’ingresso, pensata per far stare bene persone eccentriche che lì non si sentivano giudicate”. Ascolta l’intervista di Elisa Graci e Dario Grande.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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