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Fase 2, il Ministro Boccia: “Chi sceglie una maggiore riapertura se ne assumerà la responsabilità”

Conte Fontana Lombardia zona rossa

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile, quello che fissa le prime tappe della cosiddetta fase 2, ha generato un po’ di malcontento tra i cittadini che immaginavano un quasi “liberi tutti” già dal 4 maggio e le Regioni che ormai da settimane facevano pressioni per una riapertura prematura, quelle stesse Regioni in cui il numero dei contagi fa fatica a diminuire.

In queste ore il premier Conte si è recato in Lombardia e Liguria per fugare questi dubbi sulla posizione cauta del governo verso la riapertura e nei prossimi giorni verranno diffusi i dati delle simulazioni eseguite, così da fornire a tutti una panoramica ancora più trasparente della situazione.

Francesco Boccia, ministro per gli affari regionali e le autonomie, è intervenuto a Radio Popolare anche per chiarire che le Regioni che decideranno per una maggiore riapertura rispetto a quando deciso dal governo se ne assumeranno la responsabilità davanti ai propri cittadini e a tutti gli italiani.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

I giornali la dipingono come uno dei sostenitori della linea della prudenza insieme al Ministro della Salute Roberto Speranza. Immagino sia soddisfatto della filosofia che ha ispirato le regole per ripartire.

Io penso che chi ha responsabilità di governo e in questo momento rappresenta le istituzioni, se se non utilizza prudenza e grande senso di responsabilità è un incosciente e irresponsabile. Io ogni giorno, e immagino tutti gli italiani che stanno vivendo questa rivoluzione epocale delle proprie vite, mi chiedo come potremmo vivere in sicurezza e tenere in sicurezza i nostri genitori, i nostri nonni e i nostri figli in una nuova normalità. Chi ha responsabilità istituzionali deve avere questa come stella polare quotidiana. Quasi 27mila italiani non ci sono più e siamo a più di 200mila contagiati. Il nostro Paese ha vissuto questi due mesi tenendosi per mano e con un grande senso di comunità che sarà il patrimonio sul quale ricostruire questa nuova normalità.
Io trovo irresponsabile questa corsa alla riapertura, soprattutto nei territori più colpiti. Irresponsabile nei confronti di tutti gli italiani che ci chiedono di vivere in sicurezza. È evidente, anche io vorrei che domani tutto tornasse come prima, ma dobbiamo avere l’onestà e il rigore che purtroppo non sarà come prima fino a quando non ci sarà un vaccino. Noi abbiamo dovuto proteggere le vite in una fase in cui non sapevamo cosa c’era davanti. Questo lo abbiamo grazie al lavoro straordinario degli operatori sanitari.
Non è ancora finito. Alcune delle Regioni che lamentano la linea della prudenza, se così possiamo definirla, sono le stesse Regioni che ci chiedono ancora aiuto di medici e infermieri ogni settimana. Dalla prossima settimana arriveranno 1.500 operatori sanitari che andranno anche nelle RSA e nelle carceri. Queste sono tutte cose che faremo soprattutto nelle aree nel nord più a rischio, dove i contagi sono ancora alti, inviando 1.500 volontari che arrivano dal sud e vanno al nord. O ci rendiamo conto che la nostra vita è cambiata, oppure non si capisce perché il governo è stato prudente e graduale. Tutte le decisioni che abbiamo preso sono state prese sempre confrontandoci con le parti in causa, dalle parti sociali alle Regioni.

Cosa farete con quelle Regioni, come il Veneto o la Liguria, che si stanno già muovendo con ordinanze regionali che vanno nella direzione di maggiore riapertura?

Stiamo studiando in queste ore le ordinanze, sono conseguenti al DPCM del governo e che ha dato, come sempre, le linee guida al Paese dalle quali non ci si può muovere. Nella primissima fase, lo ricorderete tutti, c’era la corsa alla restrizioni. E il governo aveva detto con chiarezza: noi fissiamo dei vincoli, ma potete stringere di più. Questo accade perché nella nostra Costituzione è scolpita la responsabilità delle Regioni sull’organizzazione dei sistemi sanitari territoriali. In Italia i sistemi sanitari territoriali sono 21 e quindi abbiamo consentito di dare restrizioni maggiori. Nella seconda fase si può fare tutto tranne che disporre di maggiori aperture perché sarebbe irresponsabile. Per il momento le ordinanze che stiamo analizzando sono ordinanze che prendono le cose che il governo ha deciso di far ripartire il 4 maggio e provano ad anticipare di qualche giorno la riapertura. Io dico una cosa: in queste ore pubblicheremo i dati delle simulazioni, perché è bene che tutti sappiano quali sono gli scenari così da farsi un’idea di cosa potrebbe accadere se si ritornasse al passato. Se noi domattina riaprissimo tutto, così come prima dell’emergenza, all’improvviso i contagi nel giro di 20-25 giorni tornerebbero oltre 2,5 e questo significherebbe mandare nuovamente in crisi gli ospedali. Sarebbe da irresponsabili.
Nel Mondo la situazione non è migliorata, sotto alcuni aspetti è peggiorata. L’Italia è 20-25 giorni in avanti e in condizioni migliori di tutti gli altri Paesi. Il nodo vero è uno solo: chi apre di più rispetto a quello che lo Stato ha detto se ne assume la responsabilità davanti ai propri cittadini e davanti agli italiani. Io continuerò a lavorare fianco a fianco con tutte le Regioni per accompagnare questa difficilissima e doverosa rotta. Se qualcuno esce fuori da questa rotta se ne assume le responsabilità e ovviamente, se le apertura dovessero mettere a rischio la salute, lo segnaleremo e le impugneremo.

Come funzionerà il nuovo meccanismo di raccordo con le Regioni?

Quando siamo partiti con l’emergenza c’era il caos assoluto perché servivano ventilatori polmonari e mascherine. C’è stata una fase in cui alcuni Regioni facevano conferenze stampa e dicevano che non arrivavano i materiali e che non si sapeva dove fossero. Da quando abbiamo messo in distribuzione i materiali con i militari e ogni giorno abbiamo caricato sul sito della Protezione Civile quello che veniva distribuito sono improvvisamente finite queste rivendicazioni. Io continuo a pensare che il metodo della trasparenza assoluta sia la cosa che funziona di più. I dati sulla condizione del contagio in ogni Regione, ma anche i dati delle terapie intensive e sub-intensive, o i dati in cui adesso ci sono dei posti letto in cui far andare le persone positive che vivono in contesti di disagio o in case molto piccole non potevano essere raccolti in un primo momento perché non c’era l’organizzazione che abbiamo messo in piedi ora. Aggiornare i dati sarà necessario perché così i Presidenti delle Regioni potranno rendersi conto, ad esempio, se aumentano o diminuiscono le terapie intensive.

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