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Zingaretti: “Torniamo a combattere”. E ora il Pd deve farlo

Nicola Zingaretti

Ora vediamo chi è più forte. Vediamo se il Partito Democratico riesce a mantenere la promessa fatta dal suo segretario alla fine della tre giorni di Bologna: “Torneremo a combattere“.

Zingaretti, a lungo accusato di essere troppo debole, chiudendo l’assemblea nazionale ha detto cose. Ha avanzato quattro proposte concrete, più una. Quattro cose più una che il Parlamento e il Governo devono fare da qui alla fine della legislatura, ha detto. Cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, ossia Ius Culturae; revisione delle leggi sulla sicurezza volute da Salvini; equo compenso per tutti i lavori; parità di salario tra donne e uomini. E in più, politiche fiscali per favorire investimenti produttivi.

Combatteremo per farlo” ha urlato dal palco. Dopo pochi minuti, Di Maio faceva dire a un portavoce che su Ius Culturae e decreti Sicurezza il Movimento 5 Stelle è ‘sconcertato’.

Combattere significa combattere. Significa tenere il punto, significa che la partita è vitale. I militanti del Pd arrivati a Bologna, e soprattutto gli elettori che hanno visto un bagliore di iniziativa da parte del Segretario, sarebbero parecchio delusi se poi non se ne facesse nulla.

Il clima, alla fine, tra le persone che si aggiravano tra gli stand dei marchi dell’industria italiana del cibo che compongono ‘Fico’, nel cui centro congressi si è tenuta la giornata finale, erano carichi per il ritrovato orgoglio. Durerà se il Partito Democratico si comporterà di conseguenza.

Anche perché l’Assemblea che doveva servire anche a chiudere definitivamente con il renzismo ha dimostrato che Renzi non c’è più fisicamente ma aleggia ancora come un fantasma. Più volte attaccato, senza essere nominato, negli interventi dal palco. Preso come metro di paragone da chi sostiene che si debba cambiare radicalmente strada e da chi invoca una sostanziale continuità con il passato. Perché uscito di scena Renzi, nel Pd permane il problema di sempre. Due culture, due visioni delle cose che si confrontano, si misurano, si scontrano se necessario.

Bastava vedere gli ospiti di domenica mattina: da un lato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, dall’altro Elly Schlein, che ha fondato una lista di sinistra che appoggia il Partito Democratico alle regionali emiliano romagnole. Entrambi hanno parlato dell’Ilva. Il primo per dire che bisogna rimettere lo scudo penale e che bisogna evitare atteggiamenti muscolari nella trattativa. La seconda per dire che a Taranto occorre una riconversione industriale in chiave ecologica.

Diversità che si riflettevano nei punti di vista dei dirigenti del partito che prendevano la parola. Giorgio Gori diceva che si deve lavorare in continuità con il jobs act e i governi Letta, Renzi e Gentiloni. Maurizio Martina invocava un “fisco equo per le multinazionali“. In mezzo gli uomini di governo, da Franceschini a Guerini, a parlare di pazienza, di fatica, di mediazione. Si riferivano esplicitamente al rapporto con il Movimento 5 Stelle. E implicitamente agli equilibri interni.

Senza Renzi il baricentro si è spostato, senza dubbio, tanto che ora il Pd torna ad esempio a parlare di ‘campo largo’ pensando alla politica delle alleanze e archiviando sia l’idea di una autosufficienza maggioritaria che l’automatismo tra carica di segretario e candidato premier. Ma l’unità invocata da molti può al massimo essere una pratica, come ha chiesto, con forza, il candidato alle regionali Bonaccini, che se la gioca rischiando.

A rischiare, in Emilia Romagna il 26 gennaio, è tutto il partito e sarebbe lo stesso governo Conte a vedersela brutta se vincesse Salvini, anche se ovviamente tutti negano. Il collante è la narrazione della ‘Italia migliore’ che il Pd vuole rappresentare. L’Italia che decide di lottare contro il sovranismo reazionario in un orizzonte culturale, lo ha detto Zingaretti e lo hanno ripetuto altri, di democrazia liberale. L’Italia antifascista. In queste terre, con Salvini che parla di ‘liberazione’ è un discorso che vale doppio e accanto a Zingaretti, in prima fila, c’è Ferruccio, partigiano, 92 anni di Marzabotto. Un’ovazione per lui.

I valori come colla se la colla delle proposte concrete tiene poco perché chi fa la miscela non è d’accordo sugli ingredienti. Non a caso, subito prima del segretario hanno fatto parlare Stefano Massini, scrittore e drammaturgo, diventato abbastanza famoso in televisione di recente.

Serve un nuovo umanesimo” ha detto. Nientemeno. “Servirebbero delle idee da trasformare in azioni” ha detto una militante dalla platea rivolgendosi alla sua vicina di posto.

Poco dopo, è salito sul palco Zingaretti e ha detto: “Dobbiamo rifondare la nostra identità e capire cosa ci è successo“.

Foto dal profilo FB di Nicola Zingaretti

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    Luigi Ambrosio
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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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