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“Solo un miracolo può fermare la guerra”

Nessuno è in grado di prevedere quello che succederà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane in Siria. Ma di sicuro nelle ultime 48 ore i siriani hanno vissuto una situazione nuova. Il fischio delle bombe e il rumore delle esplosioni sono quasi scomparsi. Nonostante alcune violazioni la tregua, concordata da Russia e Stati Uniti, ha ridotto al minimo le operazioni militari. Almeno per ora. “La sensazione è che sia tutto molto fragile – ci racconta una fonte di Radio Popolare da Idlib, nel nord-ovest del Paese – ma per lo meno sopra le nostre teste non ci sono quasi più aerei”.

La provincia di Idlib, tra il confine turco e la costa mediterranea, è una di quelle regioni dove il rispetto della tregua è più a rischio. La regione è controllata quasi esclusivamente da Al Nusra, il braccio siriano di Al Qaida, esclusa dal cessate il fuoco. Il problema è che Al Nusra, come in altre zone del Paese, combatte e si coordina con molti altri gruppi ribelli moderati, che invece hanno aderito alla tregua. “I miliziani di Al Nusra hanno lasciato i centri abitati e si sono spostati sulle montagne – ci spiega un attivista dell’opposizione da Ariha, un centro colpito più volte dall’aviazione russa nelle ultime settimane – proprio per non dare al regime di Assad e ai suoi alleati un pretesto per bombardare, ma temiamo che a un certo punto le bombe arriveranno di nuovo. Sarebbe già qualcosa se evitassero almeno di colpire i civili, le scuole, gli ospedali”.

I raid sui gruppi islamisti (oltre ad Al Nusra anche l’ISIS, ovviamente, è stato escluso dalla tregua) sono in effetti una variabile difficile da controllare. Nelle ultime ore, per esempio, ci sono stati bombardamenti sulla provincia di Aleppo, sempre nel nord, in zone dove operano diverse organizzazioni armate e non è ancora chiaro quale sia stato l’obiettivo. “Sono convinto che dall’alto siano in grado di capire dove stanno sganciando le bombe – ci dice ancora un attivista da Ariha, nella provincia di Idlib – il loro obiettivo è terrorizzare la gente e farla scappare. I russi guardano la Siria come se fosse Grozny, in Cecenia. Per fermare definitivamente la guerra ci vorrebbe un miracolo”.

La fiducia in questo cessate il fuoco è minima. Fino a pochi giorni fa molti siriani, soprattutto nel nord, tentavano ancora di scappare. “La gente vuole ancora partire – ci spiega Zouhir, un giovane cittadino di Aleppo. Tutti temono che presto saremo sotto assedio e non si fidano di quello che dice la comunità internazionale. In effetti in tutti questi anni le cose sono sempre e solo peggiorate. Abbiamo ascoltato tanti bei discorsi ma nessuno ha fatto qualcosa per noi. L’occidente ha condannato Assad in continuazione, ma gli ha sempre lasciato mano libera. Credetemi, è difficile vedere una via d’uscita”.

Nelle ultime settimane i raid russi si sono concentrati proprio sulla zona di Aleppo. Se riuscisse a riconquistare la più grande città siriana il regime avrebbe il controllo di quasi tutti i principali centri urbani della Siria occidentale e si presenterebbe a un eventuale negoziato da una posizione di forza. L’inviato ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha annunciato la ripresa dei negoziati tra governo e opposizione per il 7 marzo, ma in pochi credono che ci possa essere una soluzione politico-diplomatica alla crisi. “Qui c’è ancora chi crede nella rivoluzione – racconta Zouhir da Aleppo –. C’è chi fa l’attivista, c’è chi raccoglie informazioni e denunce, c’è chi combatte sulla linea del fronte contro i soldati di Assad e le milizie straniere che lo appoggiano. In fondo anche io credo sia giusto continuare a resistere. So bene che rischiamo di morire tutti, ma resisteremo fino alla fine”.

Anche le potenze regionali e quelle internazionali, che hanno alimentato la guerra siriana, hanno dei dubbi. Lo dimostra il fatto che quella che noi chiamiamo tregua è stata invece pensata e definita da russi e americani semplicemente come “interruzione dei combattimenti”. In effetti oltre ad Assad, che solo pochi giorni fa dichiarava di voler riconquistare tutto il Paese, anche gli attori esterni sono convinti che questa guerra la si possa ancora vincere con le armi. E anche se dovessero concordare sul serio di fermare definitivamente le armi avrebbero sempre priorità in contrasto tra loro. Gli Stati Uniti vogliono sconfiggere lo Stato Islamico, la Russia e l’Iran, che hanno tenuto in vita il regime, puntano a eliminare i gruppi ribelli, la Turchia vuole fermare le milizie curde nel nord della Siria, l’Arabia Saudita vorrebbe tanto indebolire l’Iran facendo cadere il suo alleato a Damasco.

Forze e interessi contrapposti, che rischiano di schiacciare ancora di più la popolazione civile. Il primo obiettivo del cessate il fuoco dovrebbe essere la consegna di aiuti umanitari ai tanti centri sotto assedio, come Madaya tra Damasco e il confine libanese. Ma i convogli delle Nazioni Unite e della Croce Rossa fanno ancora molta fatica a muoversi. “Sabato, il primo giorno della tregua – ci racconta Hussam da Madaya – è morto per mancanza di cibo un altro bambino. Si chiamava Mohammed Ali Ayoub e aveva 11 anni”. Anche nella zona di Madaya ci sono stati sporadici combattimenti. “L’esercito siriano e gli Hezbollah libanesi – ci dice Hussein, sempre da Madaya – hanno fatto esplodere un intero edifico ad Al Zabadani, a un paio di chilometri da qui. Hezbollah considera questa zona suo territorio e ha trasformato la nostra vita in un incubo”.

Il rispetto della tregua dovrebbe essere verificato da una task force presieduta da Russia e Stati Uniti. Washington e Mosca dovrebbero scambiarsi continuamente informazioni, pur avendo due centrali operative separate. Gli americani fanno base ad Amman, in Giordania, i russi a Latakia, direttamente in Siria, dove c’è anche la loro aviazione. Le Nazioni Unite dovrebbero poi raccogliere informazioni in via indipendente attraverso le loro fonti sul campo.

Per ora i siriani che non sono andati via e che da cinque anni sopportano la guerra si accontentano di questa relativa calma. “Non siamo ottimisti – ci racconta una fonte di Radio Popolare da Damasco – ma siamo almeno felici. In queste ore la vita è quasi normale”. Gli chiediamo se Assad sia sul serio intenzionato a far durare questa tregua. “Non aveva alternative. È stata un’iniziativa russa. Ha dovuto accettarla”. Quale sia l’obiettivo russo, poi, è tutto un altro discorso.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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