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Aiuti necessari ma non sufficienti

Le immagini dei cento camion bianchi che lasciano Damasco, diretti verso cinque città assediate in Siria, sono sicuramente una notizia positiva. Ma non possono bastare per alleviare le sofferenze di mezzo milione di persone intrappolate. Anche se il regime siriano ogni tanto consente il passaggio di aiuti, come aveva fatto a metà gennaio, la realtà sul campo non cambia. Quelle enclave restano circondate.

Quattro sono città non lontane da Damasco. I camion della Mezzaluna rossa ieri sono arrivati per primi a Mouadamiya al-Sham, sobborgo della capitale assediato dal regime. A Kafr Batna, altro sobborgo della grande Damasco, gli aiuti arriveranno entro la fine della settimana.

Le altre località della lista sono Zabadani e Madaya – due cittadine sulle montagne a nord di Damasco – e Foah e Kefraya, due villaggi assediati dai ribelli vicino ad Aleppo. Qui ci sono anche problemi di sete perché manca il diesel per far funzionare le pompe per estrarre acqua dal sottosuolo, raccontano gli abitanti .

Più difficile raggiungere la città di Deir Azzor, assediata dall’Isis, nell’Est della Siria. L’Onu sta considerando la possibilità di paracadutare cibo e medicine.

foto camion

Tra i centri a cui sono destinati gli aiuti non c’è Aleppo, nel Nord della Siria, dove i bombardamenti russi continuano a favorire l’avanzata del regime e delle sue milizie. Si tratta dunque di aiuti che il regime siriano blocca o lascia affluire in base a calcoli politici. Senza curarsi di una popolazione allo stremo.

Prima che arrivassero gli aiuti a gennaio la popolazione era debole, malata, affamata. Diverse persone non avevano nemmeno la forza di muoversi e camminare”, racconta Hussein, un cittadino di Madaya, uscito da poco dalla città dove rimangono ancora la sua famiglia e i suoi amici.

“Da giugno 2015 a gennaio 2016 sono morte per l’assedio di Madaya almeno 64 persone. Alcuni per la fame, altri per le malattie. Altri ancora sono morti mentre provavano a uscire dalla città: colpiti dai cecchini, dai militari ai posti di blocco, oppure dalle mine posizionate dal regime e dagli Hezbollah libanesi. Madaya è stata per mesi l’inferno, un campo di sterminio”.

“Ovviamente l’assedio ha bloccato completamente l’arrivo di cibo. La gente mangiava topi, insetti, erba e foglie degli alberi. C’è anche chi si è avvelenato ed è morto, mangiando le foglie degli alberi. Il poco cibo veniva razionato e distribuito poco alla volta. Una famiglia di cinque persone aveva diritto a circa una tazza di riso per diversi giorni. Dall’11 di gennaio, con l’arrivo dei primi convogli delle Nazioni unite, le cose sono leggermente cambiate. È arrivato del cibo che tra una o due settimane sarà però finito”.

Madaya è una roccaforte del movimento anti-Assad. E gli abitanti vedono in questo assedio una specie di punizione. “Ovviamente Madaya è sempre stata una città dell’opposizione. Non è un segreto”, continua Hussein. “Nel marzo del 2011 tra le prime manifestazioni contro Assad ci furono anche quelle di Madaya. Proprio per questo il regime, con l’appoggio iraniano e degli Hezbollah libanesi, ci sta punendo”.

E c’è anche un altro massacro attribuito stavolta alla coalizione guidata dagli Stati Uniti. Una bomba ha colpito mercoledì un panificio in una zona controllata dall’Isis. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, c’erano tantissime persone in fila dall’alba per comprare il pane. I civili uccisi sono almeno 15 e i feriti 20.

Ascolta qui l’intervista a Hussein, abitante di Madaya, realizzata da Emanuele Valenti

MADAYA

 

 

  • Autore articolo
    Michela Sechi
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    Poveri ma belli - 01-07-2025

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