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L’attacco ai sindacati

Come spesso avviene, il dibattito legale cui si assiste in queste ore nell’aula della Corte Suprema degli Stati Uniti avrà enormi conseguenze sulla società e la politica americane.

I nove giudici della Corte stanno infatti esaminando il caso portato nella capitale USA da dieci insegnanti californiani, che dicono che la quota associativa che sono obbligati a pagare al sindacato viola il Primo Emendamento, quello che tutela la libertà di espressione e di culto – forse il più sacro e inviolabile tra i diritti americani.

Per la legge della California, e per almeno altri venti Stati americani, i lavoratori pubblici che decidono di non aderire ad alcun sindacato devono comunque pagare il cosiddetto “agency fee”, una certa somma di denaro che serve a coprire le spese per le attività di contrattazione che il sindacato compie a vantaggio di tutti i lavoratori – anche quelli che non ne fanno parte.

Il pagamento dell’“agency fee”, riconosciuto da una sentenza della Corte Suprema del 1977, è però da anni sotto attacco, soprattutto ad opera di gruppi e fondazioni conservatrici. Si dice infatti che la contrattazione collettiva con il governo è “sempre e comunque politica” e che i lavoratori sono costretti a pagare di tasca propria per posizioni politiche, quelle del sindacato, che non condividono; un fatto dunque di violazione dei diritti individuali, di soggezione forzata dell’opinione del singolo a quella di un’associazione collettiva. Di qui la causa intentata da dieci insegnanti del Golden State, che è arrivata alla Corte Suprema con la dicitura legale Friedrichs v. California Teachers Association, No. 14-915.

In realtà, dietro i dettagli legali, c’è un caso che potrebbe avere conseguenze enormi sul sindacato americano, già seriamente provato da anni di emorragia di iscritti, sconfitte contrattuali, diminuzione di influenza (tranne, forse, che nel settore della grande ristorazione). Una sentenza dei giudici della Corte a favore dei dieci insegnanti equivarrebbe infatti a una vera e propria débâcle finanziaria. A poter scegliere di non pagare la quota associativa sarebbero infatti non soltanto quelli che non condividono le battaglie del sindacato, ma anche tutti quei lavoratori che mirano semplicemente a risparmiare, continuando comunque a godere dei servizi del sindacato.

L’avvocato delle unions, durante la discussione in aula, ha definito “un’astuzia” la richiesta di non pagare più l’“agency fee”. I non-membri hanno già oggi infatti la possibilità di ottenere un risarcimento dal sindacato per attività politiche che non condividono: per esempio, campagne e propaganda a favore di certi candidati. Diversa però, aggiungono le unions, è l’attività di contrattazione collettiva, che viene svolta a favore di tutti i lavoratori e di cui tutti devono accollarsi “il giusto onere”. Questo tipo di interpretazione è del resto fatta propria dall’avvocato dello Stato della California, che riconosce che “contrattare con il governo californiano ha sicuramente implicazioni politiche”, che sono però meno importanti della necessità del governo stesso di “gestire i propri spazi di lavoro”. In altre parole, la California appoggia il sindacato in nome della possibilità di avere un interlocutore unico con cui negoziare paghe e orari.

L’opinione di unions e California non sembra aver però convinto la maggioranza dei giudici – la Corte è divisa tra cinque conservatori e quattro liberal. Il giudice Anthony Kennedy ha parlato dello sconforto di un lavoratore “costretto a pagare 500 dollari per sostenere opinioni politiche che non condivide”. E Antonin Scalia ha fatto notare che i sindacati federali, quelli che hanno a che fare con il governo centrale, non fanno pagare alcuna “tassa ai non-membri, eppure prosperano lo stesso”.

Una decisione della Corte è attesa nei prossimi mesi. Da quello che si è visto, è ascoltato, in aula, non sembra però esserci molto spazio per dubbi o interpretazioni. La quota sindacale cui i non-membri vengono soggetti sarà, con ogni probabilità, cancellata. La decisione dovrebbe coinvolgere almeno dieci milioni di lavoratori e avere pesanti effetti sulle casse, e l’influenza, del sindacato stesso.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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