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Manovra: “Mancano almeno 14 miliardi”

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte

La manovra economica è basata su un numero, il 2,4% dello sforamento debito/Pil. In concreto, cosa vuol dire in numeri? L’abbiamo chiesto ad Alessandro Santoro, economista dell’Università Bicocca di Milano: “È un parametro che da solo non basta e significa al massimo 6-7 miliardi di risorse in più, largamente insufficienti per finanziare tutte le promesse“.

Bisognerà tagliare. Dove? L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.

Spieghiamo prima di tutto cos’è questo 2,4%. Tecnicamente si chiama rapporto tra disavanzo e PIL programmato, cioè è quello che il governo programma di raggiungere alla fine del 2019. Questo significa, in pratica, che secondo i calcoli e le previsioni del governo, alla fine del 2019 le spese che la pubblica amministrazione sostiene saranno superiori alle entrate di 2,4 punti di Pil, cioè circa 43 miliardi di euro. Per capire che cosa concretamente verrà fatto nel 2019 dal governo ci mancano almeno altri due numeri. Il primo numero è lo stesso rapporto deficit-PIL a politiche invariate. Cosa significa? Ci sono già le spese ed entrate che sono programmate e che derivano da tutte le politiche adottate fino ad oggi. E già queste determinano un disavanzo che vale circa un punto di PIL. Poi ci sono tutte le altre cose che stanno fuori dalle promesse elettorali in senso stretto, quelle di cui abbiamo sentito parlare e che comunque dovranno essere coperte: la abolizione della clausola di salvaguardia dell’IVA – che sarebbe un aumento dell’IVA che scatterebbe automaticamente che il governo non vuol far scattare – più tutte le spese che lo Stato deve sostenere ogni anno come le missioni militari all’estero o il rinnovo dei Contratti Pubblici. Queste sono spese che di solito i governi devono confermare. E poi c’è la spesa per interessi, che probabilmente sarà leggermente in aumento.

Il margine di manovra è più ridotto di quello che viene annunciato e c’è un buco da finanziare. Bisogna capire con che cosa finanziarlo.

Se sommiamo tutte queste voci di spesa e tutte le entrate normali, che non sono frutto di nuove politiche, e ovviamente anche il non aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA, queste mangiano già circa 36-37 miliardi di quei 43-44 miliardi che corrispondono al 2,4%. Quindi in realtà rimangono 6-7 miliardi disponibili per nuove politiche, vale a dire per il reddito di cittadinanza, per la riforma della Fornero e l’introduzione della quota 100 e per la cosiddetta flat tax che poi in realtà è l’estensione del regime dei minimi per la nuova IRES. A questo punto dobbiamo chiederci qual è il terzo numero perché le politiche annunciate dal governo, per come sono state annunciate, hanno un costo ben superiore a 6-7 miliardi. Se le sommiamo tutte – 10 per il reddito di cittadinanza, 8 per l’abolizione della Fornero, altri 3 sparsi qua e là – sono 21 miliardi. Se dal maggior disavanzo ne prendo 6 0 7, ma ne devo spendere 21 vuol dire che me ne mancano 14-15. Dove si troveranno questi 14-15 miliardi? Sempre ammesso che i calcoli che stiamo facendo, che sono basati sulle indiscrezioni giornalistiche e sulle dichiarazioni, perché non abbiamo nulla di certo, siano giusti, non c’è che una possibilità, visto che il disavanzo è stato fissato il 2,4%: bisogna coprirli con tagli di spesa o con maggiori entrate. Si fa ogni tanto confusione dicendo che questi miliardi in più che servono arriveranno dalla pace fiscale o condono che dir si voglia: prescindendo un attimo da quello che è il valore etico e andando a fare soltanto i conti, anche se questo condono fiscale si facesse e fosse di grandi dimensioni, quei soldi sono una una tantum, cioè arrivano una volta, mentre queste maggiori spese sono costanti nel tempo. E per un banale principio di logica elementare, non si può coprire una spesa permanente con un entrata una tantum.

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte
Foto | Palazzo Chigi

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intervista Alessandro Santoro

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    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

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    1) Israele, la diffusione del video delle torture nel carcere di Sde Teiman non è il problema. Gli abusi e l’impunità lo sono. (Daniel Solomon - physicians for human rights) 2) New York al voto. Trump minaccia gli elettori che devono scegliere il prossimo sindaco della città, in un’elezione che potrebbe rimodellare il partito democratico. (Roberto Festa) 3) E’ morto Dick Cheney. Il potente vice presidente americano artefice della guerra al terrore che plasmò gli stati uniti contemporanei. (Martino Mazzonis) 4) Francia, la battaglia contro il fast fashion è persa prima ancora di iniziare. A Parigi apre il primo negozio fisico di Shein, il colosso cinese noto per il pesante impatto ambientale e le vergognose condizioni dei lavoratori. (Francesco Girgini) 5) Spagna, la riconciliazione con il Messico passa dall’arte e dalla cultura. Madrid non ha ancora chiesto scusa per il periodo coloniale ma con una mostra e l’assegnazione del premio Cervantes prova a ricucire lo strappo. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Belem 2025, ultima chiamata. Diario dalla Cop30: la flotilla dei popoli indigeni partita dal messico in viaggio verso il Brasile. (Alice Franchi) 7) Rubrica Sportiva. Il ritiro di Bopanna, il grande veterano del tennis mondiale. (Luca Parena)

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