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Il successo del metodo Macron

L’Assemblea nazionale, il parlamento francese, ha ratificato la riforma del lavoro voluta da Emmanuel Macron. Il presidente aveva già firmato i decreti a fine settembre ma questo voto, e quello in seconda lettura al Senato previsto a gennaio, concludono l’iter parlamentare del nuovo codice del lavoro, senza introdurre sostanziali modifiche al testo presidenziale.

Annunciata come la riforma faro del quinquennio già durante la campagna elettorale, la legge va ben oltre la contestata Loi El Khomri voluta da François Hollande in termini di flessibilità del lavoro. Le nuove regole permettono infatti alle aziende di modificare quasi tutti gli elementi del contratto di lavoro senza dover per forza rifarsi alle convenzioni nazionali. Dalla durata del contratto al preavviso di licenziamento e alla remunerazione, senza dimenticare le ferie, buona parte delle condizioni di lavoro potrà essere definita sulla base di negoziati diretti tra lavoratori e direzione aziendale.

I contratti a tempo determinato vengono liberalizzati. Fin’ora erano soggetti a regole molto precise valide per tutti: di una durata massima di 18 mesi consecutivi, non potevano essere rinnovati più di due volte. Con la nuova legge, invece, la durata e il numero rinnovi non sono più definiti a livello nazionale ma ogni settore potrà stabilire le proprie regole.

I licenziamenti economici vengono semplificati, in particolare eliminando la norma detta della “salute globale dell’azienda”. In pratica, se un’azienda internazionale ha i conti in attivo in altri paesi ma non in Francia, il licenziamento economico viene considerato giustificato. Per quanto riguarda i licenziamenti ingiustificati, viene fissato un tetto alle indennità destinate al lavoratore, di fatto permettendo alle aziende di calcolare il costo dei licenziamenti illegittimi.

Altra novità, le regole per le aziende con meno di 50 dipendenti vengono semplificate. Il datore di lavoro potrà, tra l’altro, negoziare direttamente con i rappresentanti del personale, senza che questo faccia parte di un sindacato.

La riforma risponde a due preoccupazioni principali del governo. Da un lato, la Francia vuole rassicurare i possibili investitori stranieri, che secondo il governo evitano il paese a causa dell’elevato costo del lavoro e delle difficoltà di licenziamento dei lavoratori. Dall’altro si cerca di riportare il dialogo sociale a livello aziendale, indebolendo il ruolo dei sindacati e mettendo l’accento sulla possibilità, per dipendenti e imprese, di adattare le condizioni di lavoro alla realtà aziendale e locale.

Emmanuel Macron ha giocato molto bene le sue carte durante l’iter della riforma. Anche se ha detto da subito che avrebbe fatto ricorso ai decreti legge, ha organizzato delle riunioni separate con i diversi sindacati e il MEDEF, la Confindustria francese, concedendo qualche piccola modifica agli uni e agli altri. Si è rifiutato di trattare solo con il principale sindacato (la CFDT, moderato), è riuscito a convincere Force Ouvrière, uno dei più accaniti oppositori della Loi El Khomri, a dissociarsi dalle proteste ed ha saputo tenere a bada Pierre Gattaz, il presidente del MEDEF noto per le sue provocazioni. Un metodo, insomma, che gli ha permesso di mostrarsi fermo e allo stesso tempo pronto al dialogo, contrariamente ai suoi predecessori che avevano posto la fiducia sulla Loi El Khomri scatenando la reazione della piazza, ma anche di frammentare il fronte sindacale, indebolendone la capacità d’azione.

Le manifestazioni ci sono state, certo, ma non hanno avuto nulla a che vedere con quelle del maggio 2016, né in termini di partecipazione né in termini di durata. Anche sul fronte politico, la sinistra lacerata dopo le elezioni non è riuscita a fare fronte comune. Nonostante un’accanita battaglia in aula a colpi di emendamenti, quasi tutti respinti, i partiti hanno fatto fatica a far sentire il proprio disaccordo. Sola eccezione, il carismatico e mediatico Mélenchon di France Insoumise, che si è autodefinito il principale oppositore di Macron, in aula e in piazza.

Forte di questo successo, il presidente prepara già le prossime battaglie. Dopo aver rivoluzionato il codice del lavoro, il prossimo obiettivo è di adeguare le formazioni professionali e le indennità di disoccupazione, in particolar modo riformando gli ammortizzatori sociali dei lavoratori indipendenti, in modo da poter completare la riforma di tutto il sistema lavoro francese.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    Già vincitore di un Leone d’Oro per “Sacro Gra” nel 2013 e di un Orso d’Oro tre anni dopo alla Berlinale, Rosi riceve anche il Premio Speciale della Giuria di Venezia 82. In “Sotto le nuvole” l’esplorazione si sposta nella Napoli della circumvesuviana, in un bianco e nero inedito per la città dei mille colori, tra la terra che ogni tanto trema, sotterranei archeologici in mano alla camorra, la centrale dei Vigili del Fuoco, le fumarole dei Campi Flegrei e il Porto di Torre Annunziata con con una nave siriana che scarica grano ucraino. “È il mio primo film non politico” sostiene Rosi, eppure nel fuoricampo di “Sotto le nuvole” il non detto arriva anche in senso politico. L'intervista di Barbara Sorrentini

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