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Hong Kong, vince il partito filo-Pechino

Le elezioni di domenica per eleggere i consigli dei 18 distretti in cui è divisa Hong Kong, la metropoli sul delta del Fiume delle Perle, hanno suscitato un interesse superiore, certamente, al loro valore intrinseco.

A concentrare l’attenzione su un voto che ha portato 900 candidati a confrontarsi per i 431 seggi disponibili nei consigli distretturali il fatto che si è trattato della prima consultazione elettorale dopo le proteste e le occupazioni che per oltre due mesi hanno paralizzato nell’autunno dello scorso anno aree strategiche di Hong Kong.

Dai risultati del voto è uscita la scontata vittoria, ma con maggiore frammentazione e sintomi di insofferenza delle giovani leve di votanti, dei partiti filo-governativi e filo-Pechino, che hanno avuto 191 seggi. Hanno migliorato le proprie posizioni rispetto alle elezioni del 2011 i partiti democratici di varia affiliazione, arrivando a 83 seggi, con l’affermazione a sorpresa dei Neo-democratici i cui candidati hanno vinto in 15 dei 16 seggi seggi dove si sono presentati.

Due i dati sostanziali usciti dal voto di domenica. Il primo la messa sotto pressione della “vecchia guardia”, sia dei partiti al potere, sia dell’opposizione pan-democratica. In questo secondo schieramento, la sconfitta di due parlamentari veterani del Partito democratico come Albert Ho e Frederick Fung, ha evidenziato la necessità di un rinnovamento di volti e di idee. Nel partito il cambiamento generazionale già avviato, si può avvalere sostenuto dall’energia del vice-presidente dei Democratici, Lo Kin-hei.

Il secondo dato è la scalata di nuovi protagonisti esterni alla politica tradizionale. Tra i nuovi eletti nei consigli distrettuali della metropoli dal 1997 Regione amministrativa speciale della grande Cina, vi sono anche militanti del Movimento degli Ombrelli. Un riferimento a quelli usati per ripararsi dagli spray irritanti e dall’acqua degli idranti utilizzati lo scorso dalla polizia contro i manifestanti durante l’occupazione avviata per impedire che passasse la nuova legge elettorale locale che non concedeva libera scelta di candidati e suffragio universale richiesti da tempo. La scarsa fama e l’inesperienza non hanno impedito a una cinquantina di cosiddetti “guerrieri dell’Ombrello”, in maggioranza studenti universitari, di candidarsi vincendo almeno sette seggi. Un impegno non facile, ma che i candidati ritengono possa portare agli elettori benefici concreti e non solo le promesse abituali dei politici di maggiore esperienza.

Come ricorda l’analista politico Joseph Cheng, alla fine dell’occupazione dopo quasi tre mesi di aree cruciali, nel dicembre scorso, la maggior parte della popolazione si era ritrovata in dissenso con le iniziative degli studenti. Da qui la necessità di ricostruire il consenso con proposte concrete.

Che non mancano di ambiguità, dato che, tornando alle elezioni del 22 novembre, diversi candidati del movimento studentesco si sono proposti non solo come alternativa ai candidati filo-Pechino, ma anche contro altri di parte democratica. All’accusa di operare per frammentare l’opposizione e di favorire il controllo di Pechino sul territorio, la loro risposta è stata di volere agire per propiziare una svolta interna al sistema, contraria non solo ai limiti imposti da Pechino, ma anche all’immigrazione di cinesi dall’entroterra e alla loro crescente pressione sulle risorse di Hong Kong.

Il timore che il connubio tra politica cinese e poteri economici locali porti a una pressione ulteriore su risorse, potere d’acquisto e in generale benessere degli abitanti va diventando determinante. A fianco dell’abituale opposizione dei democratici locali al tentativo di Pechino di limitare diritti e possibilità garantiti dalla Legge base (la mini-costituzione) che è erede diretta degli accordi cino-britannici che consentirono il ritorno pacifico di Hong Kong alla madrepatria cinese dopo oltre150 anni di controllo coloniale ma anche di decenni di diritti e benessere ignorati nella Cina maoista prima e del socialismo di mercato poi.

L’esperienza dell’occupazione che nell’autunno dello scorso anno portò la sfida di studenti, intellettuali e attivisti al governo locale e alla lontana Pechino che lo controlla non resta solo cronaca del passata. Al contrario, si è riproposta spesso nel 2015, sia con i procedimenti giudiziari in corso contro i suoi protagonisti, a partire dai leader dei movimenti Occupy Central, Scholarism e Federazione degli Studenti, sia per il continuo impegno dei partiti democratici a mantenere aperti spazi di libertà e diritti in un serrato confronto politico.

Tuttavia, se il governo interviene come può, magari forzando la mano sulle sue prerogative anche con il rischio di sollecitare a una nuova iniziativa di piazza, gli oppositori sanno sfruttare al meglio gli spazi rimasti di manovra legale.

La stessa polizia di Hong Kong, abitualmente rispettata più che temuta, è stata portata davanti a un comitato delle Nazioni Unite per la violenza usata contro un esponente dell’opposizione democratica. Ken Tsang, attivista per le libertà civili e parlamentare del Partito civico, venne aggredito e duramente picchiato da poliziotti in borghese nel Tamang Park, adiacente al Palazzo di governo, il 14 ottobre 2014. Le modalità del pestaggio hanno convinto Tsang a portare davanti al Comitato Onu contro la tortura presso l’Alto Commissariato per i Diritti umani a Ginevra il suo caso. Una iniziativa che vuole anche premere sulle autorità di Hong Kong affinché i sette poliziotti e l’ispettore già sotto processo per aggressione, abbiano una condanna commisurata all’eccezionalità del loro comportamento.

  • Autore articolo
    Stefano Vecchia
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