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“Io, sopravvissuto al Bataclan”

Bataclan

“Oggi provo un rimorso ridicolo. Ho l’impressione di essere egoista all’idea di provare gioia per essere rimasto in vita“.

Sono le parole di Amaury Baudoin, 24 anni, parigino, che la sera di quel venerdì 13 novembre era al concerto del Bataclan. Ha accettato di raccontare a Radio Popolare quello che ha vissuto e quello che sente ora, diversi giorni dopo la strage, nonostante si senta spaventato e per nulla a suo agio davanti ai microfoni.

“Durante il concerto ovviamente c’era molto movimento, era un concerto rock, e io e la mia fidanzata Isobel ci siamo persi di vista prima dell’attacco”, racconta Amaury. “Io ho provato a cercarla, ero abbastanza davanti mentre lei era in mezzo alla sala. A un certo punto sono entrate delle persone armate e hanno sparato per fare il maggior numero di morti nel modo più elementare e barbaro possibile. Noi abbiamo avuto molta fortuna, soprattutto Isobel. È stata una scena orribile, spaventosa e non ci sono parole per descriverla”.

“In Francia – prosegue Amaury – quando c’è stato l’attentato a Charlie Hebdo il mondo dell’informazione l’ha trattato come uno show televisivo, mentre tutte le parole che sono state usate per descrivere la carneficina del Bataclan sono deboli rispetto a quello che abbiamo visto. Quando sono entrati e hanno cominciato a sparare, come molti hanno già raccontato, si sentivano come dei petardi, che sembravano inoffensivi, e quindi non mi sono spaventato subito. Poi mi è arrivata una scheggia nella coscia, niente di grave, solo un bel graffio, e un’altra nella schiena, dove ho ancora un ferro che mi tolgono domani. E quando sono stato raggiunto da questi colpi ho capito che non era normale, mi sono guardato dietro le spalle e ho visto il profilo di un uomo con un’arma. Più per istinto che per altro, mi sono precipitato in avanti, ho scavalcato le transenne. Le persone che stavano davanti a me non avevano capito minimamente quello che stava succedendo e anzi si lamentavano del fatto che gli stessi andando addosso. Ho saltato e mi sono nascosto dietro le quinte“.

“Tutto quello che potrei raccontare dell’orrore che c’è stato dentro l’edificio, però, non fa altro che confinare le persone nel terrore e fa solo il gioco dei terroristi, dice Amaury. “Non è quello che io voglio fare, non ci sto. Quindi adesso sento che vorrei smettere di parlare dell’attacco, che è stato freddo e barbaro”.

E allora fermiamoci qui, e parliamo del fatto che hai voluto prima di tutto affidare la tua testimonianza a Facebook: perché?

“Lo abbiamo scritto, io e Isobel, perché per forza di cose i nostri genitori e i nostri amici erano molto choccati, e ovviamente anche noi. Le persone attorno a noi si facevano delle domande ma non osavano chiedercele ed era anche per noi un modo per espellere, per lasciare andare, per sbarazzarsi di questa storia, per mettere tutto davanti a noi, prendere un po’ di distanza, guardarla dal lato buono. Abbiamo avuto molta fortuna ed è quello che dico nel mio testo: oggi provo un rimorso ridicolo. Ho l’impressione di essere egoista all’idea di provare gioia per essere rimasto in vita”.

“Ci sono già state tante cose che sono scaturite da questo avvenimento. Ci sono delle persone che hanno pubblicato sotto al mio post delle immagini del teatro del Bataclan dopo la strage, con un distacco fenomenale come se fosse per loro una gara del brivido. Un’immagine non parla, un’immagine non testimonia, non sostituisce una persona. È terribile vedere queste immagini che circolano, per un semplice desiderio di brividi. Faccio fatica ad ammettere che delle persone che sono state prese in ostaggio come me o, peggio, delle persone estranee a tutto questo siano uscite per strada a fare foto o a filmare l’orrore, a filmare i feriti. Per poi andare a venderle alle televisioni perché venissero diffuse. È qualcosa di orribile, perché per tutti noi che eravamo lì dentro fanno l’effetto di ributtarci dentro a quell’orrore. È orribile per le famiglie in lutto vedere ri-morire i loro figli per la seconda volta. C’è una specie di voyeurismo perverso in questa cosa che è assolutamente insostenibile per noi”.

A proposito del lato buono, di cui parlavi prima, nei vostri racconti avete voluto sottolineare anche la gioia di ritrovarvi, tu e la tua fidanzata, e avete voluto condividere le esperienze di aiuto, di soccorso, di solidarietà e di amore scaturite dopo l’attacco. E questa parte del racconto ci ha colpiti tanto quanto il racconto dell’attacco stesso.

“Io, noi, abbiamo avuto una fortuna inaudita – dice Amaury Baudoin a Radio Popolare. Purtroppo non tutti possono essere qui a dire la stessa cosa. Ho visto quello che non auguro a nessuno di vedere. E tutti i miei pensieri e tutta la mia compassione vanno a quelli che non hanno ritrovato i loro amici, alle famiglie in lutto, alle persone con un destino demolito”.

“E… vorrei riparlare di Charlie Hebdo. Quando gli attentati hanno colpito Charlie Hebdo io stavo dall’altra parte. Ero tra quelli che si sono sentiti molto colpiti, toccati, ma che non erano coinvolti direttamente nell’avvenimento, non ero io tra i bersagli. È terribile dire a se stessi che adesso il messaggio dei terroristi è che può succedere a chiunque, ovunque e in qualsiasi momento. E magari la prossima volta potrà essere in qualsiasi Paese, in Germania, in Italia, negli Stati Uniti o non so dove, magari nella vostra città, e potrete essere voi, le vostre famiglie, i vostri amici a trovarvi al nostro posto. In un certo senso non è la Francia a essere stata attaccata: è la libertà, è questo concetto, questa idea che loro non sopportano, che si possa vivere liberi e amare la vita. Perché queste persone non amano la vita, detestano tutto quello che la vita può offrire. E nei giorni di Charlie Hebdo il mondo intero e tutti i francesi sono rimasti estremamente toccati e se c’è stata una manifestazione come quella che c’è stata, se ci siamo riuniti così in tanti è perché in così tanti abbiamo dimostrato la volontà di sostenerci, di riscaldarci, di riprendere la speranza, di tenerci su gli uni con gli altri. È l’amore per la libertà che ci ha fatto uscire fuori, ed è questa massa di persone che ci ha permesso di restare in piedi”.

“Oggi in Francia non si può più fare, lo stato d’emergenza ce lo impedisce. Ci sono state delle manifestazioni di solidarietà spontanee, per dire che non siamo soli, ma la gente ha paura. Non penso che ci sarà un’altra manifestazione come quella dell’11 gennaio. Oggi è il mondo che è stato attaccato, è la libertà che è stata attaccata e quello che chiedo nel mio messaggio è che questa volta il mondo intero, non solo la Francia, si riunisca, che tutto il mondo libero si ritrovi per dimostrare a questi che valgono meno di zero, a questi idioti, a questi scarti che sono soli davanti al resto del mondo che si tiene per mano. È questo che ci ha aiutati a superare Charlie Hebdo, ed è questo che ci aiuterà ad affrontare questa tragedia, che permettera alle famiglie delle vittime di trovare sollievo, forse, e di superare questa prova terribile. E quindi voglio inviare questo appello al mondo libero“.

“È necessario che i musulmani si ritrovino, si riuniscano perché non può essere che i musulmani si lascino inghiottire da questi terroristi. Che si uniscano a noi e che urlino con una sola voce: ‘Noi non siamo d’accordo’. In Francia ci sono alcuni personaggi che trascinano a sé i più deboli e qui sta il pericolo. È necessario che tutti gli altri si mettano insieme per dire a voce alta che noi non siamo d’accordo e che continueremo ad andare ai concerti, continueremo ad andare a bere una birra sulle terrazze dei cafés, continueremo a vivere, che niente si ferma, che non abbiamo paura e che non obbediremo mai a loro”.

Non avere paura, quindi, la risposta, adesso e dopo… Amaury, ti ringraziamo molto per la tua testimonianza, per il tuo appello. Siamo tutti con te, con la tua compagna…

“Vorrei dire un’ultima cosa. Non sono per niente a mio agio con i microfoni e le telecamere”, conclude Amaury, sopravvissuto al massacro del Bataclan. “Sono stato estremamente sollecitato dalle televisioni di tutto il mondo. Sono abbastanza spaventato ma sono contento di averlo potuto fare con voi e se sarà necessario lo rifarò. Riunitevi e fatevi sentire, e sarà l’unica cosa più forte dei terroristi“.

Ascolta l’intervista di Valentina Redaelli ad Amaury Baudoin

Amaury Baudoin

 

  • Autore articolo
    Valentina Redaelli
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    Sui luoghi del tulipano selvatico giallo. L’Università di Pavia, con il gruppo di studio del professor Graziano Rossi, sta ricostruendo da Calvigano la presenza storica di questo fiore tipico dell’Oltrepo pavese, ma anche delle zone limitrofe dell’Appennino Piemontese ed Emiliano, e non solo. L’agricoltura intensiva negli ultimi cinquant’anni ha ridotto gli esemplari di questa pianta spontanea della flora mediterranea. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento racconta come le proprietà delle comunità difendano e migliorino gli ecosistemi. Un aspetto confermato dalla premiazione di Legambiente per quelle trentine del Monte Bondone alla vigilia dell’Overshoot Day, la giornata del consumo annuale delle risorse rinnovabili dei territori. In Valtrompia, a Villa Carcina, provincia di Brescia, da centoquindici anni c’è la Macelleria e salumeria equina Porta, ci siamo fatti raccontare come sono cambiati i consumi e la produzione, anche per la crescita delle temperature. Nelle Multinazionali del Cibo, queste sconosciute Andrea Di Stefano descrive il mercato del tonno e gli impatti ambientali dell’incremento dei consumi, quindi della pesca. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Il ritorno della piante di Fabio Marzano, dedicato al verde urbano e al ruolo ambientale, sociale e alimentare delle coltivazioni in città e nelle aree peri urbane. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti, in collaborazione con la Regione Lombardia, l’agricoltore filologo Niccolò Reverdini introduce gli arazzi disegnati dal Bramantino esposti nell’omonima sala al Castello Sforzesco di Milano.

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