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“L’estremismo non è solo una questione religiosa”

A Marawi, nelle Filippine, l’esercito sta combattendo ormai da un mese con un gruppo che dice di rifarsi all’ISIS. Marawi, una città di 200mila abitanti, si trova nella regione di Mindanao, nel sud del paese.

Capire questo conflitto può aiutarci a capire qualcosa di più anche di altre situazioni di crisi che coinvolgono gruppi dell’estremismo islamico. Anche se in altre zone del pianeta. Alcune dinamiche, infatti, sembrano ritornare.

Abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere quello che sta succedendo nel sud delle Filippine a Mabel Carumba, del Movimento per la Pace di Mindanao.

Perché un gruppo che dice di rifarsi allo Stato Islamico nelle Filippine?

“Mindanao è la regione dove vive da sempre la maggior parte della popolazione musulmana del paese. L’estremismo islamico, invece, è un fenomeno che risale agli anni ’90, quando iniziò a operare il gruppo Abu Sayyaf. In quel momento il nostro paese divenne famoso proprio per le azioni di questa organizzazione armata. Ma se guardiamo ancora più indietro, alla storia di questa regione, alla storia dell’isola di Mindanao, notiamo che c’è sempre stata anche una lotta, quasi continua, per il diritto all’autodeterminazione. Questa regione ha sempre lottato per la sua indipendenza dalla Repubblica delle Filippine. Il gruppo che ha condotto questa lotta è il Fronte Moro per la Liberazione Nazionale, nato negli anni ’70 durante la dittatura di Ferdinand Marcos. Lo stesso Abu Sayyaf è nato da una costola del Fronte Moro. Alcuni miliziani sono poi andati in Afghanistan e in Medio Oriente. Oggi Abu Sayyaf è radicato soprattutto nel sud di questa regione. Hanno detto più volte che vorrebbero creare uno Stato Islamico e da tempo vivono di attività criminali. Sono terroristi”.

Ma la situazione è ancora più complessa, oggi ci sono anche altre organizzazioni armate, giusto?

“Sì, c’è poi un altro gruppo, anche questo nato da una scissione dal Fronte Moro, un’altra organizzazione che si rifà alla religione islamica che però negozia e parla con il governo. Anche se adesso il processo di pace è congelato, per l’ostruzionismo all’interno del parlamento di Manila.
Ma l’interruzione del processo di pace ha dato vita a un’ulteriore scissione, in un gruppo molto radicale, che si fa chiamare Maute. Il gruppo che opera nella città di Marawi in questi giorni, di cui parla tutto il mondo perché ha giurato fedeltà all’ISIS, allo Stato Islamico”.

Quindi la questione è religiosa e politica?

“Non solo. Sulla carta Mindanao è una delle isola più ricche del paese. Ma la gente vive in estrema povertà. Ci sono molti problemi economici e sociali. La radicalizzazione, quindi, non dipende solo dall’aspetto religioso, ma anche dalla situazione socio-economica. La gente è scontenta, non ha punti di riferimento ed è facile coinvolgerli nella lotta armata”.

Quali sono le responsabilità del governo?

“Il governo filippino pensa di risolvere il conflitto con la linea dura, per esempio con la legge marziale. Ma non funziona. Molta gente pensa che così le cose possano solo peggiorare. La legge marziale non fa altro che alimentare ulteriormente il conflitto e rendere più allettante la prospettiva di una regione controllata dagli estremisti. Poi è vero che Marawi è la principale città islamica di tutte le Filippine, ma a Marawi ci sono anche non musulmani. Per esempio c’è una grande università con studenti che arrivano da fuori”.

Come potrebbe finire l’assedio di Marawi?

I raid aerei continuano. Molte infrastrutture sono state distrutte. Maute è un gruppo minoritario, che non rappresenta la popolazione locale. Il governo sostiene che si siano alleati con Abbu Sayyaf, ma per quello che sappiamo noi questo non corrisponde al vero. La battaglia di queste settimane cominciò quando l’esercito tentò di arrestare, senza successo, un rappresentante di Abu Sayyaf nella città di Marawi, ma parlare di un’alleanza è esagerato. In ogni caso questa situazione conferma l’estrema complessità del problema, al quale va aggiunto il tentativo, da parte di diversi gruppi armati, di attrarre l’attenzione dell’ISIS. La popolazione non supporta Maute, questo gruppo radicale islamico. Molti islamici stanno aiutando la minoranza cristiana a fuggire dalla città. E come dicevo chiedono continuamente al governo di fermare i bombardamenti. Ci sono ancora molti civili intrappolati, non sappiamo quanti, è anche complicato far uscire i cadaveri”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Iniziamo parlando del festival Coachella 2026 di cui è appena stata annunciata la lineup e ricordando Victor Jara, cantautore cileno simbolo della canzone sociale e di protesta che scomparse oggi 52 anni fa durante la dittatura Pinochet. Proseguiamo con il mini live in studio delle Guthrie Family Singers, trio di discendenti di terza e quarta generazione dell'icona folk americana Woody Guthrie. Nell'ultima parte accenniamo al concerto di raccolta fondi per la Palestina del 18 settembre, organizzato a Firenze da Piero Pelù, e ricordiamo la stella del cinema Robert Redford appena scomparsa.

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