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Quando è troppo è troppo

Hollande il pitocco e Valls lo scherano. Così leggendo tra le righe, ma nemmeno poi tanto, la gran signora della sinistra francese Martine Aubry, madrina delle 35 ore, e Dany “il rosso” Cohn Bendit, leggenda del maggio ‘68 e oggi nume tutelare dei Verdi francesi, definiscono il presidente d’ora in poi pseudosocialista e il suo primo ministro che pseudosocialista era già da tempo.

Con loro, oltre ad alcuni socialisti di rango, Daniel Cohen, l’economista riconosciuto – in dualismo con Piketty – come il migliore di Francia sul piano scientifico, nonché una delle teste più fini della sinistra. Un bel terzetto di mischia sceso in campo con un documento titolato “Sortir de l’impasse”, che è anche un sito internet così inaugurato.

Documento ripreso a piena pagina da Le Monde e così il terzetto di mischia diventa un quartetto. Il prestigioso quotidiano da mesi critica Hollande e Valls, con toni assai inusuali per durezza e spesso con editoriali non firmati, cioè rappresentativi dell’intero giornale, specie in occasione della sciagurata decisione di far votare all’Assemblea nazionale la possibile decadenza della nazionalità per coloro che mettano in pericolo l’integrità e l’ordine dello Stato. Non sono in causa solo i terroristi o supposti tali, giova dirlo e scriverlo ogni volta contro la mistificazione mediatica, bensì tutti coloro che lo stato giudichi pericolosi e/o sovversivi per il suo ordine.

Su quel voto i deputati socialisti si sono spaccati in due, con i Verdi tutti contrari meno uno, per cui l’articolo è stato approvato con il concorso massiccio della destra, mentre la ministra della Giustizia Taubira si dimetteva, togliendo anche la foglia di fico alle vergogne del governo di Hollande e Valls, tra l’altro seguita a stretto giro di posta, in modo più defilato ma forse più pesante, dal ministro degli Esteri Fabius, che fu primo ministro di Mitterand.

Ma vediamo in sintesi l’intelaiatura di “Sortir de l’impasse”.

C’è uno stato d’animo. Trop, c’est trop – tradurrei “il troppo stroppia”:

“La collera popolare è stata confermata senza appello da quattro sconfitte elettorali. Non è semplicemente il fallimento del quinquennato che si profila ma un indebolimento duraturo della Francia che si prepara, e in tutta evidenza della sinistra”.

C’è una politica economica:

“Un patto con la Confindustria (…), con un milione di posti di lavoro promessi, qualche decina di migliaia al più effettivamente creati. (…) Questi 41 miliardi di euro impegnati per poco o niente (il riferimento è agli sgravi e regalie del governo agli industriali nell’ambito del cosidetto patto sociale – io governo ti do una montagna di soldi, tu padrone delle ferriere mi garantisci almeno una collina di posti di lavoro, ma non c’è neppure una collinetta, ndr) e che sarebbero stati così utili alla nuova economia, all’ecologia, all’istruzione e formazione, ai territori, per l’accesso al lavoro di quelli che ne sono più lontani, al potere d’acquisto, agli investimenti pubblici e privati”.

Ecco tracciato un possibile programma di economia politica di sinistra riformista.

Ci sono la nazionalità, l’identità e l’accoglienza dei profughi:

“Questo desolante dibattito sulla decadenza della nazionalità, (…) contraria al principio di eguaglianza (…). L’identità francese deve essere repubblicana, essa si definisce come una comunità non d’origine, ma di destino, fondata sui valori di liberté, égalité, fraternité e laïcité (…)”.

Poi si prende di mira Valls:

“L’indecente discorso di Monaco a proposito dei rifugiati (…) La missione della Francia non è di alzare muri, ma di costruire ponti”.

Ci sono i rapporti di classe:

“Ecco che ce la si prende con il codice del lavoro! La sinistra ha appreso dai movimenti operai che non c’è libertà senza eguaglianza (…). I salariati subiranno un ricatto permanente (…) con il moltiplicarsi delle facilitazioni per i licenziamenti (…) con limitazione del potere di apprezzamento del giudice sul motivo economico (…). Ridurre le protezioni dei salariati di fronte ai licenziamenti condurrà sicuramente a più licenziamenti! (…). Chi può fare credere che aumentare il tempo di lavoro diminuirà la disoccupazione? Che i padroni avanzino queste rivendicazioni, perché no (…). Ma che queste diventino leggi della Repubblica, certamente no! Non questo, non noi, non la sinistra!”.

Non può mancare la democrazia:

“E poi diciamolo, il metodo non è più sopportabile. Si brandisce di nuovo la minaccia dell’articolo 49-3 (l’equivalente del nostro voto di fiducia, che esautora il parlamento del diritto al dibattito specifico in nome della disciplina di governo, ndr) (…). Una Francia governata senza il suo parlamento è mal governata. La democrazia è colpita. Ridiamo tutto il suo potere al parlamento, rispettando così la Costituzione”.

Infine il socialismo. E le riforme:

“I valori, l’ambizione sociale, i diritti universali dell’Uomo, l’equilibrio dei poteri, cosa resterà degli ideali del socialismo, quando avremo, giorno dopo giorno, sotterrato i suoi principi e fondamenti? (…) Non c’è né vera riforma, né qualcosa di sociale in molte delle politiche condotte da due anni. Troviamo delle proposte prese dal campo avverso, che non hanno niente di moderno, e che sono inefficaci. Per uscire dall’impasse, servono delle vere riforme, sinonimo di progresso economico, sociale, ecologico e democratico. (…). È questo cammino che bisogna ritrovare! Quello della sinistra, semplicemente!”.

Si tratta di un programma democratico con forti nervature sociali e richiami all’ecologia, e qui sta la novità, perché il Ps francese, e la sinistra tutta, sono tradizionalmente industrialisti e anche nuclearisti. La Conferenza sul clima COP21 a Parigi è stata una parata, ma per la Francia con poca sostanza. Infatti Fabius, che pure l’aveva presieduta, se ne è, in seguito, tenuto alla larga, dimettendosi.

Nel documento si sente la mano di Cohn Bendit, e già è una novità che egli e Aubry abbiano firmato – probabilmente scritto – insieme, non mi pare sia mai accaduto prima. Poi sarebbe una novità rilevante se ne nascesse una collaborazione per il futuro, una sorta di asse politico rosso-verde.

Ora è lecito chiedersi quali saranno le prossime mosse del nostro pacchetto di mischia. Il documento certamente ha fatto il botto, per adesso limitato però all’establishment socialista e agli ambienti intellettuali della gauche, non solo radical chic o gauche caviar, ma in un ambito più largo come il mondo dell’istruzione e della ricerca.

Inoltre il documento affonda il coltello nelle divisioni del Ps che vanno ben oltre la tradizionale, e quasi folcloristica – un po’ come da noi i bersaniani – fronda della cosidetta sinistra socialista. Come è emerso in più di un voto parlamentare, i deputati Ps contrari alla politica del governo aumentano di giorno in giorno.

“Sortir de l’impasse” incrocia con un movimento dentro e fuori il Ps che richiede le primarie per determinare la candidatura di sinistra alle prossime presidenziali, perché è evidente a tutti che la ricandidatura automatica di Hollande potrebbe essere disastrosa per il Ps e la sinistra, portando molto probabilmente al ballottaggio del secondo turno Marine Le Pen e il candidato dei Repubblicani Sarkozy o chi per lui.

I nostri Aubry e Cohn Bendit dicono chiaro che Hollande non avrebbe i voti di una parte molto consistente dei cittadini/e di sinistra, nemmeno sventolando il trattato della paura, rimasto ormai unico stendardo che copre le vergogne, citando essi non a caso l’ira del popolo che ha colpito i socialisti in ben quattro elezioni.

Se Hollande sostenuto da Valls dovesse perseverare nella sua ricandidatura, senza passare per le primarie, il Ps andrebbe a sbattere fino forse a fracassarsi, in uno scenario da incubo dove gli elettori di sinistra fossero obbligati a votare il candidato di destra per scongiurare l’arrivo alla presidenza di Marine Le Pen.

E qualcuno pensa che Valls poi sarebbe disponibile a essere primo ministro di un presidente di destra, in una sorta di coabitazione perversa per tenere insieme a tutti i costi la Quinta Repubblica, ormai deprivata di Liberté, Egalité, Fraternité. Un incubo non solo per la sinistra ma per chiunque abbia a cuore le vivre ensemble, la convivenza civile. Infine bisognerà aspettare per vedere se la rete dei firmatari si costituirà in modo permanente al di là di un movimento d’opinione. Intanto è aperto un sito web che, immagino, proprio dai firmatari dovrebbe essere animato.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Ersilia Bronzini Majno nasce a Milano nel 1859. Sensibilissima alle difficoltà delle donne, soprattutto delle meno fortunate, si unisce presto ad altre pioniere del femminismo italiano, Laura Solera Mantegazza, Alessandrina Ravizza, Anna Kuliscioff. E nel 1899 è cofondatrice dell’Unione Femminile, la prima realtà italiana per l’emancipazione delle donne, alla quale farà seguito la creazione del celebre Asilo Mariuccia, per l'infanzia abbandonata. Lucia Tancredi, che da anni racconta storie di donne che hanno fatto la storia del femminismo, firma il libro "Ersilia e le altre" (Ponte alle Grazie"). L'intervista di Anna Bredice a Lucia Tancredi.

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