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L'Ambrosiano

Matite

«Noi ai manganelli abbiamo risposto con le matite». La frase di Alessandra Todde non è soltanto frutto d’un successo elettorale. La prima Presidente donna della Sardegna mostra capacità di valutazione, idee programmi; vede nelle matite i voti con cui i sardi, in libertà, intelligenza, senso critico han risposto all’arroganza da sindrome di onnipotenza con cui Meloni credeva di trasformare le elezioni nell’isola in una passerella per sé e per i presunti successi suoi più che del Governo visti i manifesti nell’isola. E addita i manganelli con cui poliziotti han caricato inermi studenti minorenni a Pisa come segnale d‘intolleranza a critiche d’una maggioranza autoritaria. C’è voluta una donna per rilanciare la portata di due universi simbolici. I manganelli, si sa, esprimono violenza, sopraffazione, incapacità di confronto e dialogo. Todde ha ricordato quanto Mattarella, primo intervento del genere del Capo dello Stato, ha detto al Ministro degli Interni: «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Parole urticanti a destra. Evocan storia. Anche in Fascisti su Marte di Guzzanti si ricorda la “Madonna del manganello” (non autorizzata dalla Chiesa): dietro il santino figurava uno stornello preghiera: «O tu santo Manganello/ tu patrono saggio e austero / più che bomba e che coltello/ coi nemici sei severo/ di nodosa quercia figlio. / O tu santo Manganello / ver miracolo opri ognor / se nell’ora del periglio / batti i vili e gl’impostor» (curriculum dell’Autore: Pnf, Rsi, Msi). Le matite invece sono ordine vero: libertà, democrazia, volontà popolare, Costituzione antifascista, autonomia non differenziata. Le matite raccontano in immagini traumi e dolori senza parole (i disegni di bambini di Crotone dopo la strage a Cutro, di quelli d’Ucraina, di Gaza, di Israele che oltre gli orrori di Hamas temono la guerra di Netanyahu). Le matite son voglia di riscatto gridata da “Donna, vita, libertà” dall’Iran e dalle donne afghane private di cultura e dignità all’Occidente cieco. Son giornali e satira nei Paesi liberi. Son l’arnese con cui ciascuno può ogni giorno riempire il suo Libro dei sogni perché pace, diritti, rispetto, giustizia, fratellanza, umanità restino mete comuni possibili.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Il fallimento delle sanzioni alla Russia

Quella che, dopo l’invasione dell’Ucraina, doveva essere l’arma più potente in mano all’Occidente per piegare la Russia si è dimostrata un flop. A distanza di due anni dall’inizio della guerra, infatti, possiamo dire che le sanzioni economiche varate contro Mosca non hanno funzionato: e questo perché le sanzioni, misura efficace in altri periodi storici, non sono adatte ai nostri tempi. Per dare risultati concreti, infatti, richiedono un vasto consenso internazionale, difficile da ottenere oggi attorno a una questione dall’enorme impatto come la rottura dei legami economici con la Russia. Eppure, le potenze occidentali non hanno nemmeno cercato di costruire consenso: erano convinte che sarebbero state spontaneamente seguite dal resto del mondo, e proprio questa valutazione errata si è dimostrata decisiva per il fallimento.

Il “fronte delle sanzioni” è composto essenzialmente dall’Europa occidentale, da Stati Uniti, Canada, Australia, Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Paesi importanti, che generano più o meno il 55% del PIL mondiale. Considerando che la Russia vale da sola il 2% circa dell’economia globale, il punto è che si può vivere bene anche facendo affari solo con il restante 43% generato da Paesi quali Cina, India e Brasile, dall’intera Africa e dalla maggior parte degli Stati asiatici.

Secondo i dati economici, nel 2023 è stata l’industria bellica a trainare l’economia russa, che nel 2024, prevede il FMI, dovrebbe crescere del 2,4%, più dell’Italia. La spesa militare, diventata il fulcro dell’economia, quest’anno supererà quella per il welfare, raggiungendo il 6% del PIL, percentuale inferiore solo a quella dall’Arabia Saudita. La disoccupazione, al 2,9%, è ai minimi storici, complici anche l’arruolamento di moltissimi giovani e l’abbandono del Paese da parte di centinaia di migliaia di lavoratori qualificati allo scoppio della guerra. Per il 2024 si prospetta una crescita del 3,5% del comparto industriale e dell’11% delle entrate per la vendita di gas e petrolio. L’inflazione dovrebbe scendere al 4,5%, dopo che la Banca centrale ha alzato i tassi d’interesse fino al 15%, e i conti dello Stato sono in ordine, anche grazie a quanto fatto in questo campo prima del conflitto. Intanto, Mosca è diventata una fornitrice chiave di energia per India e Cina, di fertilizzanti per il Sudamerica e di armi per l’Africa: molto meno occidentale, insomma, e molto più organica ai BRICS, rispetto a tre anni fa. La situazione attuale della Russia dimostra come l’economia dei Paesi “emergenti” abbia raggiunto un peso tale da permettere a una potenza di sopravvivere anche senza relazioni commerciali con le economie occidentali.

Ovviamente il quadro non è solo positivo, anzi. Il gigantesco trasferimento di risorse verso l’industria bellica è stato compiuto a discapito delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici, della manutenzione delle infrastrutture e dell’edilizia, di fatto bloccata. La Russia è oggi un regime a tutti gli effetti, senza libertà politica né di stampa, un Paese dominato dalla propaganda governativa e dove vige la leva obbligatoria per andare in guerra. Ma la sua economia non è crollata e il regime pare essere più forte che mai: l’alibi della guerra, iniziata da Mosca, è servito per aggiornare e potenziare il sistema bellico, in attesa di nuove sfide come quella che si annuncia a breve sul Mediterraneo, dove la Russia sta negoziando l’apertura di una base navale in territorio libico. L’Unione Europea, che è stata la prima ad applicare sanzioni economiche e fornire aiuti militari a Kiev, non è riuscita a formulare nemmeno un’ipotesi di pace tra i contendenti, puntando solo al crollo del regime del Cremlino, più volte annunciato come imminente ma sempre smentito dai fatti. E presto Bruxelles rischia di ritrovarsi con il proverbiale cerino in mano, visto il probabilissimo disimpegno statunitense in caso di vittoria di Donald Trump. E così le ipotesi di pace, finora rifiutate e spesso derise, avanzate in questi due anni da pochi Paesi quali il Brasile, la Cina e il Vaticano diventano più che mai attuali. Se sul piano militare il conflitto è in stallo, se le sanzioni alla Russia non hanno effetti, se gli Stati Uniti decidono di tirarsi fuori, non resta che lavorare per una pace giusta e veloce. Il che vuol dire che dovranno essere prese in considerazione le ragioni di entrambe le parti, piacciano o meno. La pace siglata in base a una visione unilaterale è quella che segue i conflitti vinti nettamente sul campo, ma in Ucraina le armi non sono in grado di far prevalere nessuna delle forze in gioco. Possono solo farci perdere tutti.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Carceri, disumanità, poesia

Scelgo eventi e ricorrenze esemplari d’una settimana tra tante di tempi bui. Alexei Navalny è stato assassinato (o Salvini ha notizie di prima mano da Putin?). Il 24 è il 2° anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Su eliminazione di dissidenti, missili, droni il già tenente colonnello del Kgb punta per restare al Cremlino; l’Occidente è stanco; fatica a cercar armi e pensa alle elezioni più che alla pace. In Israele Netanyahu pare scelga il sacrifico degli ostaggi vittime della disumanità di Hamas; liberare prigionieri delle carceri di Tel Aviv è premessa di Stato palestinese: la sua fine. I morti a Gaza son quasi 30mila. Da noi la Cassazione ha sancito: è reato consegnare i migranti alla Libia: non è porto sicuro. Il Tribunale di Brindisi ha sospeso il fermo della Ocean Viking; class action in arrivo; decreto Piantedosi fa acqua. È il fallimento di Meloni-ci-penso-io: «673 milioni buttati in mare», secondo Mons. Perego responsabile della Cei. La maggioranza tetragona vota per la “deportazione” in Albania. Il governo-Dio-patria-famiglia tira diritto. Non arrossisce dopo le indagini su omissione di soccorso statali a Cutro. Danno e beffa: il naufragio con cento tra morti e dispersi e il nome dato a leggi disumane (“decreto Cutro”): impongono più detenzione a disperati che solo il rispetto del diritto internazionale chiedono e rischi per i fragili (il giovane di 22 anni della Guinea suicida a Ponte Galeria). La passione per i diritti non è nel Dna della destra destra neanche se le vittime sono italiane. Nordio critica i legali di Ilaria Salis (ceppi e catene dell’amico Orban); dopo Firenze non vuole l’omicidio sul lavoro ma più pene a chi sgarra (ispettori pochi però). Ci sono una maggioranza illiberale (identificato chi a Navalny porta fiori come il loggionista del W la Costituzione antifascista), con fastidi e bavagli per la stampa, e un’Italia del riscatto. In carcere a Opera è molto vivo il Laboratorio di lettura e scrittura creativa. Detenuti scrivono poesie e dal legno dei barconi naufragati traggono violini e statue del Presepe. Guida i poeti Silvana Ceruti. Marco Manzoni ha fatto ora un docufilm. Chissà che non arrivi a Palazzo Chigi e ponga domande! La speranza è l’ultima a morire. La poesia la anima. 

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Il limite

È una conquista che la politica abbia detto che Netanyahu ha esagerato, che la disumanità di Hamas non legittimava altre disumanizzazioni. Si pone il problema se arriva la tregua. Alla comunità internazionale (con fiducia va recuperata l’espressione) oltreché bloccare l’assalto a Rafah spetta dare un limite ad Israele: come fermarsi e correggersi negli insediamenti. Sennò è illusione il “due popoli due Stati”: sarebbe una formula-bandiera per fare maquillage a impotenze, imbarazzi, ignavie ch’han fatto degenerare la situazione in Terra Santa. Ad esempio c’è cattiva coscienza in Occidente e in Europa per aver chiuso un occhio al non-limite all’espansione dei coloni israeliani in Cisgiordania e territori occupati; nell’aver elargito aiuti alla parte palestinese voltandosi dall’altra parte mentre i fondi servivano un po’ alla sopravvivenza, a corruzione, a sedare sensi di colpa collettivi ma rendevano fragile l’Autorità in governo e potere negoziale, precarie e discriminanti le condizioni di vita della popolazione (islamica in stragrande maggioranza ma anche cristiana), contribuivano a giustificare integralismo e fanatismo di componenti che non smettono purtroppo di nutrire l’obiettivo terroristico di distruggere Israele. Dare e darsi un limite per Israele sarebbe modo convincente per ribadire il diritto legittimo a difendersi, sapendo che la difesa più efficace è far tutto ciò che dipende da noi se vogliamo creare condizioni di pace e giustizia. Si toglierebbero anche argomenti a chi imputa solo a scelte di Tel Aviv rigurgiti antisemiti ed emergerebbero ambiguità e ipocrisie in Europa. Si tollerano sfilate nazi in Ungheria senza vedere i nessi: le SS glorificate oggi a Budapest realizzarono la Shoah senza mai segni di ravvedimento. In Italia si va con Liliana Segre al Binario 21: bello! Ma poi non si dice antifascista la Costituzione come se non fosse stato il duce a far le leggi razziali e Salò non avesse aiutato i nazisti nel deportare Ebrei nei lager. Un post-repubblichino che chiedesse perdono sarebbe un bel segnale contro l’antisemitismo. Meloni ha l’occasione d’un “riequilibrio” (cui tiene in Rai e Enti) dopo il perdono chiesto per il silenzio istituzionale verso le foibe titine.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

La rivolta dei trattori del protezionismo

L’Europa dei trattori ha ottenuto una grande vittoria: impedire per l’ennesima volta la firma dell’Accordo di libero scambio tra UE e Mercosur, il mercato comune sudamericano formato da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. È una storia di equivoci lunga 25 anni, quella delle trattative per l’accordo, sempre boicott­­ate dalla politica europea e, soprattutto, dalle pressioni esercitate dal mondo dell’agricoltura. Gli agricoltori europei, in particolare quelli francesi, totalmente contrari all’accordo con il Mercosur, non agiscono sulla base di motivazioni ideologiche o di preoccupazioni etiche, magari per la situazione dei diritti umani o per le questioni ambientali in Sudamerica. Più prosaicamente, temono che l’arrivo di derrate alimentari dai giganti agricoli Brasile e Argentina, senza più quote, dazi o restrizioni, metta fuori mercato alcune produzioni europee, quali grano e mais, diversi tipi di frutta, carne e pollame. Il notevole differenziale dei prezzi tra i due mondi agricoli, europeo e sudamericano, non nasce dal differenziale sul costo della manodopera, ma dal fatto che gli imprenditori agricoli d’oltreoceano possono fare economia di scala grazie a produzioni quantitativamente enormi e a una disponibilità di terre pressoché sconfinata.

Per la Francia, che esporta carne e grano nel resto dell’Europa, sarebbe una débâcle; ma per l’Italia, importatrice netta degli stessi prodotti, e per altri Paesi europei ci sarebbe un vantaggio economico. Il nodo resta quindi politico. Durante gli anni in cui il Brasile era guidato da Bolsonaro le trattative erano state interrotte, poiché dall’altra parte dell’Atlantico si stava mettendo a sacco l’Amazzonia per guadagnare nuova terra coltivabile. Ora che al governo c’è Lula, e che in un solo anno il Brasile ha dimezzato gli incendi boschivi, la pregiudiziale ambientale non avrebbe più ragione d’esistere. Tuttavia, è bastato il blocco di qualche strada europea perché la Commissione si affrettasse a dichiarare che l’accordo era sospeso per mancanza di garanzie ambientali. Nelle stesse ore, il gigante del caffè Illy spiegava alla stampa come l’entrata in vigore del Regolamento europeo sulla deforestazione sia destinato a bloccare l’import di materie prime da molti Paesi terzi. Si fa riferimento alla nuova normativa europea secondo la quale, per autorizzare l’import di alcuni prodotti agricoli tropicali, dal gennaio 2025 occorrerà non solo che quei prodotti siano coltivati nel rispetto dei diritti umani e delle normative di legge locali, ma anche che i terreni utilizzati non siano stati deforestati dopo il 2020. Una misura che sulla carta è sicuramente di buon senso, ma che risulterà di difficilissima applicazione in diversi Stati, a partire dall’Etiopia, che produce caffè di qualità superiore, per non parlare del resto dell’Africa e dell’Estremo Oriente. La differenza, rispetto alla situazione di concorrenzialità tra produttori che frena l’accordo UE-Mercosur, è che qui si tratta di prodotti che non possono essere coltivati in Europa.

L’UE si dibatte quindi tra il blocco dei negoziati con il Sudamerica, iniziativa esclusivamente politica e protezionista, e una regolamentazione “woke” che pretende di imporre al resto del mondo elevati standard etico-ambientali, richiedendo certificazioni oggettivamente difficili da ottenere in molti Paesi. Il punto di contatto tra queste due vicende è la sopravvivenza del bastione agricolo europeo, ultimo fortino protetto dell’Europa comunitaria. I processi di privatizzazione, le vendite a gruppi stranieri, le delocalizzazioni che hanno radicalmente trasformato l’industria e i servizi dell’Occidente, si sono fermati davanti a uno dei totem della storia recente dell’Europa: quello della sicurezza alimentare. Anche se antistorica e antieconomica, è ancora vivissima la pretesa di soddisfare internamente il proprio bisogno di alimenti investendo ingenti risorse pubbliche e alzando barriere protettive contro la concorrenza. Tutto ciò, anche se talvolta dettato da buone intenzioni e buoni sentimenti, finisce con l’essere un freno per la presenza europea nel mondo. Sempre più spesso ascoltiamo le lamentele dei nostri politici sull’accerchiamento economico messo in atto dalla Cina, che ormai è diventata il primo cliente e fornitore di Africa e America Latina: ma quale alternative hanno Paesi come Brasile, Costa d’Avorio o Vietnam, se per una ragione o per l’altra l’Europa continua a ostacolare il loro export? L’UE, che da decenni chiede in tutti i forum internazionali che si aprano i mercati del mondo, non intende aprire i propri a quelle importazioni che per molti Stati terzi sono l’unica vera risorsa e merce di scambio… Di logico qui c’è poco. Forse si tratta soltanto di un riflesso condizionato dalla memoria della fame, delle carestie e delle sofferenze che l’Europa ha sofferto in passato.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    La mostra "Il caos e l'uomo" di Emanuele Giannelli alla Fabbrica del Vapore di Milano

    Emanuele Giannelli, scultore italiano di fama internazionale, conosciuto per le sue sculture monumentali che hanno come soggetto l’uomo contemporaneo nel suo processo di ibridazione con la tecnologia e lo sviluppo tecnologico, è alla Fabbrica del Vapore di Milano con la mostra "Il Caos e l’Uomo. Contemporanea tensione", un percorso espositivo sorprendente, efficace ed esaustivo per il pubblico, che prevede l’installazione di circa cinquanta sculture, suddivise tra singole e gruppi scultorei. Il servizio di Tiziana Ricci nella puntata di Cult del 18 giugno.

    Clip - 18-06-2025

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    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Noi e altri animali È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia. Ogni giorno con l’ospite di turno si approfondisce un argomento e si amplia il Bestiario che stiamo compilando. In onda da lunedì a venerdì dalle 12.45 alle 13.15. A cura di Cecilia Di Lieto.

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    Oggi a Cult: il Pesaro Film FEstival 2025; la mostra "Il caos e l'uomo" di Emanuele Giannelli alla Fabbrica del Vapore di Milano; Carlo Rovelli è coautore di "Il volo di Francesca" (Fetrinelli); a Castiglioncello e Rosignano il Festival InEquilibrio 2025...

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    Pubblica di mercoledì 18/06/2025

    Un glossario. Le guerre. Una ventina (per ora) di lemmi, indispensabili «strumenti di costruzione del pensiero». Il glossario è un’iniziativa del Forum Disuguaglianze Diversità (FDD). E’ fatto di «riflessioni comuni». Tutte insieme queste riflessioni rappresentano una necessaria dotazione per costruire percorsi di pace. Pubblica ha ospitato Silvia Vaccaro, responsabile della comunicazione del FDD, fa parte del gruppo di coordinamento del Forum, ha scritto per “Noi Donne” su questioni di genere, movimenti femministi. Vittorio Cogliati Dezza, ambientalista, insegnante, è stato presidente di Legambiente e oggi fa parte del gruppo di coordinamento del FDD.

    Pubblica - 18-06-2025

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    A come Asia di mercoledì 18/06/2025

    A cura di Diana Santini, con Gabriele Battaglia. La guerra, l'escalation, il grande disordine globale visto da Pechino. Il vertice di Xi Jinping con i paesi dell'Asia centrale ad Astana. Ospite in studio Emanuele Giordana: il racconto del suo ultimo viaggio nel Sudest asiatico, dalle scam cities tailandesi alla Birmania, dalla Cambogia al Laos, un viaggio diventato un libro dal titolo Asia criminale.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 18-06-2025

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    OLTRE LA TECNOFOBIA - STEFANO MORIGGI

    OLTRE LA TECNOFOBIA - STEFANO MORIGGI - presentato da Ira Rubini

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi ai microfoni di Radio Popolare. Condotta da Massimo Bacchetta, a cura di Massimo Alberti

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di mercoledì 18/06/2025

    Paola Caridi scrittrice, giornalista tra le promotrici de "L'ultimo giorno per Gaza", analizza le conseguenze sui palestinesi dell'attacco israeliano all'Iran e rilancia l'idea di "sanzioni popolari" al governo di Israele in mancanza di sanzioni europee o italiane. Andrea Braschayko, giornalista italo-ucraino che collabora con vari siti e testate, ci racconta gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina con attacchi mortali per i civili ogni giorno. Federico Barbarossa del Bari Pride ci racconta la preparazione della manifestazione più partecipata per il capoluogo pugliese, sabato prossimo. Parisa Nazari, esule iraniana, tra le più attive rappresentanti del movimento “Donna vita libertà”, ci racconta l'angoscia per la sua città Teheran e gli appelli della dissidenza a fermare le bombe.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 18-06-2025

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