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La scuola non serve a nulla

Pezzo (mai sul pezzo) sul concorso Ordinario

L’avrete capito: sono un campione nell’affrontare questioni sempre fuori tempo, in ritardo e mai sul pezzo. Non vi parlerò infatti di Pasquetta o geopolitica, no: solo di scuola. Ma anche lì, sarebbero giorni che, se uno volesse raccattar facili apprezzamenti Social su questo tema, se ne dovrebbe uscire con un pezzo populista “contro le inutili prove Invalsi”, oppure uno grondante sdegno strappalacrimestoriastrappa sulla maestra condannata a 50 giorni di carcere, rea d’aver avere disturbato gli alunni mentre tinteggiavano di merda i muri della scuola. Vai con tutta la sequela di “Ai miei tempi c’era educazione e rispetto”, “Dove andremo a finire”, “I prof non sono più rispettati” o “Basta Invalsi” ed eccoti garantita viralità e gloria imperitura (ci scometterei: con numerose condivisioni da parte di una categoria, quella dei docenti, che pare purtroppo tra le più sprovvedute anche su molto banali meccanismi del clickbait social. Insomma tra le più gonze nell’abboccare a questi infantili ami web-emotivi).

Ma io non sono bravo in queste cose, sono un perdente, e quindi parlo d’altro.

Vi ho raccontato, l’anno scorso, della mia partecipazione al Concorso Straordinario del novembre 2020, quello riservato ai docenti precari che insegnano da più di tre anni (qui e qui). Ma ne era stato bandito anche un altro, l’Ordinario, destinato invece, pensate un po’, a tutti: sia a chi già insegnava, sia a chi non l’aveva mai fatto (quindi, pure ai laureati freschi freschi). Anche quest’ultima prova concorsuale è stata molto criticata, sia per la modalità di selezione nozionistica “a crocette”, che per l’irragionevole difficoltà delle domande (e infatti, altissima la percentuale di respinti: in media, il 90%). Notare: svolgendosi le prove in diversi giorni, candidate e candidati – tranne i primissimi giorni – andavano a sostenere le prove già conoscendo le difficoltà e le Caporetto delle altre classi di concorso.

Anch’io sono andato a sostenere questo concorso qualche settimana fa.

Arrivo nella sede assegnatami per la prova: Cernusco, una Scuola Secondaria Musicale. Entro; mentre raggiungo la mia postazione nell’aula e mi siedo al computer, ecco la nota grottesca: e dico “nota” non a caso, visto che realizzo appieno solo solo in quel momento, essendo scuola musicale, l’alto volume di quei ghirigori melodici dell’orchestra di sax ( si esercitava nell’aula di sotto!) che durante tutta la prova mai si sarebbero fermati o affievoliti. Musiche? “La Pantera rosa” di Henry Mancini e “I feel good” di James Brown. Va be’.

Comincio la prova, leggo le domande, ascolto la musica. Quesiti difficilissimi, sì: in quale discorso Montale aveva detto quella tal cosa, complessi strumenti satellitari di misurazione geografica sconosciute forse anche agli informatici, in quale vertice internazionale (segreto!) era stato deciso il ritiro degli Usa dal Vietnam e una domanda di grammatica sul participio passato che sembrava formulata da Luca Serianni e Luca Giurato insieme, però entrambi ubriachi marci alla Sagra della Porchetta. Io provo a rispondere, tiro i dadi su quelle che non so, clicco…  scade il tempo.

“I feel good… tara tara tara tà”

Fortunatamente, il risultato lo sapevi subito.

Lo supero, con 82/100. Tra i quindici della mia sede, solo io e un altro: uno brufoloso appena laureato che prende due punti in più con quasi vent’anni di meno.

Felice? Per nulla. Non solo perché c’è stato tantissimo “fattore C”, ma anche perché, come raccontavo, avevo già superato (seppur di pochissimo: 0.30… ho preso 56,30 con un minimo di 56.00!) lo Straordinario l’anno scorso (faccio l’anno di prova, adesso). E allora perché l’ho fatto? Semplice: perché pensavo, dopo 13 anni di precariato (11 e mezzo ai tempi dello Straordinario), di poter essere considerato un docente adatto al nostro sistema scolastico almeno un po’ di più – o comunque migliore – di quello che diceva quella risicatissima soglia di 0.30 oltre il quale sono potuto finire l’anno scorso nel Paradiso dei fortunati. E allora, eccheccazzo, ci volevo riprovare. Credo, per converso, che sia la stessa prospettiva per cui giustamente molti docenti NON si sentono ottimi o pessimi docenti solo per aver superato o meno questo concorso. E credo facciamo tutti bene almeno a pensarla così.

Ma – e qui comincia la parte meno cialtrona della faccenda – aggiungerei anche che, mi pare, questa modalità di selezione dall’Ordinario era folle e assurda sì, ma un po’ meno di quella dello Straordinario: il quale era, certo, fattibile a livello di conoscenze, ma umiliante perché da svolgersi in tempi inumani, cioè due ore e mezzo per scrivere 5 unità didattiche. Per cui, se questo concorso valutava solo il nozionismo e/o la memoria, quello, invece, premiava solo la capacità di scrivere velocemente sulla tastiera (Poi io, disgrafico e disprassico, capirete i disastri…).

Strategie di studio? Per lo Straordinario ho studiato un po’, per l’Ordinario assolutamente nulla. Nessun manuale acquistato: tuttora non ho letto e ignoro quale fosse il programma d’esame. O almeno, non ho studiato “nel modo classico”: ho però invece speso e impiegato molto, davvero molto tempo in questi anni, a preparare il pomeriggio lezioni di Storia, Letteratura e Geografia per i miei scapestrati delle Medie. Lezioni – me la tiro – approfondite, per preparar le quali mi davo come compito il pomeriggio di riuscire a spiegare il giorno dopo tutto ai miei alunni non solo senza mai guardare il libro, ma anche aggiungendo aneddoti e curiosità. Di raccontare la lezione, insomma: ecco che arriva – o ritorna – il Teatro, anche qui. Ed è stato il miglior ripasso. Giuro, a una quindicina di domande almeno, ho saputo rispondere solo perché recentemente avevo preparato una delle mie lezioni-spettacolo per il giorno dopo. “Niente” di più.

Quindi è questo l’unico consiglio che potrei dare ai candidati dei successivi concorsi (ovviamente se uno ha la possibilità di insegnare da precario): preparate lezioni “ricche” per i vostri alunni, perché prima o poi, lì, davvero, “tutto lo scibile umano” lo si affronta. E guardare molti video di Barbero (un paio di domande le cavavi fuori da lì).

E se uno non insegna? Be’, non saprei davvero cosa consigliare. Se non guardare molti video di Barbero.

Dopo aver finito, sono rientrato a casa ancora con tal “Pensiero dominante”: le prove vere per un insegnante sono altre… Ecco, tipo quella che è capitata a me tornando in classe, il giorno successivo al concorso: mi ritrovo, assegnato alla mia classe, un alunno ucraino, uno dei tanti profughi scappati dalla guerra con la famiglia. Ironia della sorte? Parla discretamente inglese ma ovviamente molto meglio il russo: e quindi l’unico vero aiuto per entrare in contatto con il mondo è un compagno di scuola russo, che è seduto accanto a lui e lo aiuta.

E lì ti chiedi se tutto questo potrà mai entrarci, in un concorso…  (Però, avete visto che un po’ di attualità alla fine ce l’ho messa?)

 

 

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Mia cara Olympe

La guerra, la Pasqua e l’elogio del silenzio

Un terzetto al femminile, così consueto nelle nostre case, costituito dalla mia mamma ormai ultranovantenne e cattolica, dalla sua badante georgiana e ortodossa, e da me, non credente, ha assistito, venerdì scorso,  ad una parte della via crucis celebrata da papa Francesco. La televisione è stata accesa, per puro caso, poco prima della tredicesima stazione, la morte di Gesù, e abbiamo visto portare la croce due donne, Irina di nazionalità ucraina e la russa Albina. Silenziose, si sono guardate. Silenziose, le abbiamo guardate. Di silenzio, dopo le polemiche  di parte ucraina sulla scelta del Vaticano, parlava la meditazione di quella stazione. Il silenzio tra di noi, ciascuna con i suoi pensieri, è durato fino ai titoli di coda.

La guerra ha ridotto molti, anche qui in Italia,  al silenzio: non è un unico, uniforme silenzio, non è soltanto e per tutti il silenzio addolorato di chi vede ancora irrompere nella storia umana la brutalità dell’aggressione e la disperazione della difesa. È un silenzio che ha molte connotazioni: è sgomento, è paura, è ansia che si nutre delle notizie di ogni giorno, in qualche caso è rimozione, in qualche altro incomprensione.

C’è poi un silenzio che vorrei elogiare: è il patto del silenzio che abbiamo stipulato tra amiche che si vogliono bene, molto hanno condiviso e condividono e che oggi si trovano, sul giudizio sulla guerra, sulle sue cause e sulla ripartizione delle responsabilità, su sponde lontane. Superflluo spiegare come e perché: le cronache molto hanno già raccontato delle fratture all’interno di quella che per brevità e molto sorvolando chiamiamo sinistra.
A questo patto si potrebbero apporre molti segni negativi, giudicarlo una rinuncia al libero dibattito, un arretrare pavido rispetto alla possibilità del conflitto. Oppure, ed è questo che oggi penso e non lo avrei pensato in altri tempi, si può guardare a questo silenzio come una presa d’atto di un conflitto di idee che vive ma non necessariamente deve agire, se agire, e in questo caso sta succedendo tra tanti, significa mettere a repentaglio la relazione. Nella nostra laica versione il silenzio può essere questo: un piccolo segno reciproco di pace di cui c’è molto bisogno. 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Emmaus, le donne, “racconterai a tuo figlio”: è Pasqua!

La Pasqua 2022 ha un Venerdì Santo che dura da settimane: è nei corpi martoriati dei civili, nelle città distrutte. Il Sabato è il tempo sospeso di uomini e donne a milioni in attesa angosciosa che le armi tacciano. La Domenica, ora com’allora, è il Sepolcro vuoto. Cristo è risorto per i cristiani che hanno creduto all’antica promessa. Neanche tutti tra loro, però. Alcuni son sgattaiolati fuori dal caos di Gerusalemme, han preso la via di Emmaus: a casa! Troppo duro sopportare la sconfitta umana della Croce: la delusione che Gesù non ha fondato un regno in terra; il fallimento di non aver cacciato l’occupante romano sostituendolo con un altro re, di quelli che dominano sul mondo; il pensare l’impensabile: credere che portare ciascuno la propria croce sia liberarsi da se stessi prima che dall’oppressore esterno, dagli egoismi, puntare alla Pace, vivere secondo giustizia e rispetto degli altri, dando la vita per gli amici se necessario.

Solo le donne han creduto l’alba di Pasqua: son corse ad annunciarla a svagati, increduli, smarriti, perplessi. Donne: madri, mogli, figlie allora, di sempre; ora di Kiev e di Mosca: nonostante Putin il censore e Kirill col pastorale trasformato in lancia; anche madri e mogli di San Pietroburgo s’interrogano sul perché della violenza se non hanno una tomba dove piangere figli e mariti. La storia della Pasqua, da quella degli Ebrei liberatisi dalla schiavitù del Paese d’Egitto per la Terra Promessa a quella cristiana, contiene la storia che stiamo vivendo. Dice il Salmo: «Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi [figli del Signore, ndr] in pasto agli uccelli del cielo». Han trovato quei corpi a Bucha. Un SS disse a Primo Levi: «Se anche sopravviverai e tornerai, racconterai e nessuno ti crederà». Levi ha raccontato; così Liliana Segre, Edith Bruck, Boris Pahor perché crediamo.

Urlano il Venerdì le immagini dell’Ucraina, d’ogni guerra. Raccontiamo senza stancarci. «Racconterai a tuo figlio»: la Bibbia chiede si tramandino tappe dell’Esodo, deserto, promessa del Signore. «Racconterai anche se tuo figlio non ti pone domande». Ma le faranno i nipoti, chiedendo ragione dell’oggi. Memoria e futuro è la Pasqua di tutti, risposta alla guerra. 

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La scuola non serve a nulla

Memorie d’un docente candidato alle elezioni dell’RSU

(ma che però non è stato eletto)

Cari colleghi,

ritengo doveroso comunicare quanto segue: alle elezioni per il rinnovo dell’RSU del mio Istituto Scolastico, quelle per eleggere i rappresentanti sindacali a scuola, e alle quali mi ero cum magna fide candidato, ho preso solo 3 voti.

Evidentemente, la mia proposta politica non ha raccolto gli auspicati consensi.

No, non rilascerò patetiche dichiarazioni del tipo “ho non-vinto”, dato che non ci sono giaguari da smacchiare o gioiose macchine da guerra da luddare. No, qui, la sconfitta, è tutta politica. Per cui, dopo le rituali telefonate ai miei avversari per le congratulazioni e i sentiti ringraziamenti a tutto lo staff del mio comitato elettorale, credo sia d’uopo compiere, nei prossimi giorni, un’analisi approfondita. Un’analisi che sia, savasandir, immancabilmente “lucida”; cui far seguire una riflessione, sempre savasandir, obbligatoriamente “stringente”, sui reali motivi della débacle.

Ma alcuni dati emergono di già, e si impongono evidenti all’attenzione con nitore chiarissimo.

Vediamoli.

Innanzitutto, l’elettorato docente non si è rivelato sufficientemente maturo per accogliere la mia sacrosanta proposta d’un intervallo mattutino di 4 ore con ingresso posticipato alle 10; poi, forse non ha creduto alla promessa di un milione di banchi a rotelle (“già sentita”, dicono); e, desumo, solo detrimento m’ha portato l’onda lunga delle critiche al mio progetto didattico proposto in DAD (ma “Leggere, scrivere e far di Covid” resta, per me, ancora un gran bel titolo).

In più, probabilmente troppo ardito è stato prospettare un curricolo di discipline limitate ad Arte, Musica e Teatro, per damsizzare anzitempo gli alunni già alle Medie – che tanto quella lurida fine fanno tutti -, con contestuale eliminazione non già di qualunque disciplina scientifico-matematica, ma proprio, e pure, “fisica”, di tali docenti: lo “STEMinio”, l’avevo definito.

Certo, inspiegabilmente osteggiata è stata anche la mia idea di dotare la sala docenti di biliardo, ping-pong e tappeti elastici, frettolosamente ridicolizzata al grido di “…Chi se ne frega che nei coworking di start-up in Silicon Valley fanno cosi! Qui è già tanto che funziona il computer per firmare sul Registro Elettronico!”

E parimenti, non avrei dovuto dar retta ai ben noti “guru della comunicazione” – e qui andranno fatti i nomi, chiaramente e senza infingimenti: Giovanni, il bidello-alfa della scuola, pure sindacalista. Confesso d’aver sempre nutrito perplessità sullo slogan elettorale propostomi, quello che avete visto invadere ogni spazio disponibile in campagna elettorale:

“MA NO, NON MI DOVETE VOTARE A ME, VOTATE A QUELL’ALTRO, CHE IO MI SONO MESSO SOLO COSÌ A CAZZO, SOLO PER FARE NUMERO NELLA LISTA”.

Ho le mie ragioni per dubitare della sua efficacia.

E l’aver aperto, anche solo in via ipotetica, a necessarie riforme come l’adozione del voto espresso non più in numeri decimali ma in emoticons, l’istituzione dell’ora curricolare di nascondino creativo, la Flipped Classroom anche in Educazione Fisica, con gli alunni che fanno gli esercizi distruggendo tutto nel salotto di casa e poi si dimenticano le scarpe Adidas a scuola? Certo, tutto ciò è stato un boomerang che mi ha nuociuto: però, davvero ci sono colleghi che hanno ancora così paura di queste riforme, imprescindibili per un ammodernamento del sistema scolastico e richieste oramai anche dall’Europa?

Ma forse, più di tutto e semplicemente, gli elettori non hanno compreso questa questione incontrovertibile: che io ero e resto di gran lunga il candidato ideale, il più giusto e meglio preparato per tale incarico. Anche il più bello, figo e carismatico.

In un parola, il MIGLIORE. Ma, purtroppo, ha prevalso la logica del “Voto Umile”.

Spero non dovremo pentircene, tutti, in futuro.

 

 

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  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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L'Ambrosiano

L’incidente di Majakovski e il Servizio Civile di leva per la Pace

“L’incidente è chiuso” è una bella elegia di Majakovski, poeta che mitizzò il sogno rivoluzionario, è morto (suicidato?) sotto Stalin, sempre vive coi suoi versi. Canta la rigenerazione da un amore finito: «Tu ed io / siamo pari. / Non vale la pena di citare / le offese / i dolori / e i torti reciproci. / Guarda com’è pacifico il mondo. / La notte / ha imposto al cielo un tributo stellato. / È in ore come questa / che si sorge / e si parla ai secoli, / alla storia, / alla creazione». La guerra è mattatoio degli amori, fucina di solidarietà e riscosse. I poeti danno parole che proteggono dagli orrori (oggi Bucha; altri ne verranno; angosce da fine di tutto) e seminano speranza contro ogni speranza; evocano Apocalissi (termine di sinistre risonanze, in realtà vuol dire “rivelazione”, mostrare ciò di cui non vogliamo prendere coscienza) e cantano Catastrofi (la parola spaventa ma significa “rovesciare il corrente modo di vedere”).

Majakovski e i suoi fratelli fan guardare lontano con coraggio e visionarietà; sono impregnati del tempo, ne condividono spasmi e attese; attingono allo Spirito del profondo, sino ai recessi dove l’asse terrestre ha uno dei due perni attorno a cui ruota il globo: l’altro è incardinato in cielo. Si sconfigge la guerra se non ci si lascia sopraffare dai suoi orrori. Quanto più essi sono indicibili tanto più la sveglia del poeta fa sorgere la ribellione all’inumano. Se gli eventi sembrano più grandi di quel che pensiamo di saper sopportare reazione istintiva è il contrattacco: sacrosanto per chi si difende, insidioso per gli altri; la guerra intossica l’aria col veleno della violenza prima che con armi. Sulla scia dei poeti la vita chiude i mortali incidenti dei conflitti. Un esempio: in risposta a Putin e ai cloni attivi o mimetizzati istituiamo il Servizio Civile Obbligatorio Europeo: un periodo di ferma e poi ogni anno alcuni giorni di “richiamo”, come coi vaccini.

Le nuove spese militari vadano a fondare generazioni di cittadini della Pace. Da giovani s’impara a riconoscer l’altro, a ricostruire dalle macerie di corpi, anime, case, scuole, ospedali le ragioni, i luoghi, le passioni dello stare assieme. I poeti rendono evidente ciò che visibile non è; a noi di trasformare utopia in storia.

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