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L'Ambrosiano

Draghi e draghette

Ha due facce il clamore suscitato da Draghi che, anticipa, proporrà un “cambiamento radicale” col Rapporto sulla competitività commissionatogli da Von der Leyen. Una positiva: finalmente si parla di Europa. L’altra inquietante: invece di entrare nel merito di temi annunciati dall’ex premier-supertecnico per rilanciare l’Ue son partiti talk show, chiacchiericci su vertici, poltrone, schieramenti. Incombono le europee e latitano riflessioni, idee, pensieri, visioni generali, strategie, politica. E vuoti mentali, frustrazioni, impotenze, sensi di colpa per l’inanità eretta a sistema son coperti con l’immaginario dell’eroe che risolverà tutto. La memoria è corta e tradita. Draghi in veste di Superman è già andato in scena. Con esiti noti: salvatore della Patria per alcuni versi; stress nei rapporti 5 Stelle/Pd; Conte posseduto dal narcisistico “il dopo o sarà con me Presidente o non ci sarà”; il Pd che non ha visto arrivare la Schlein e su tale distrazione s’è messo in croce. Intanto Meloni, rimasta fuori dalla grande ammucchiata, ha vinto le elezioni, è diventata la prima donna premier e forte del successo s’è atteggiata a “draghetta”, un po’ perché le era utile accreditarsi a Bruxelles, Nato, Washington come continuatrice del predecessore, un po’ perché il piglio di “una sola al comando” fa premierato. Tant’è che adesso ha fatto sapere (vedi le pronte dichiarazioni di La Russa) che Draghi «sicuramente ha i titoli per ambire ad ogni ruolo». Cioè: l’ex premier usato per detronizzare la “draghetta” Ursula e dire così che la destra rimpiazza i popolari come centro dell’Europa. Che nemesi per Ursula! Aveva giocato d’anticipo con l’incarico a Draghi di relazionare sulla competitività e intanto pensava d’esser lei a usare la destra facendo coppia fissa con Giorgia contro i migranti. Giochi romani con contorno di manganellate a studenti e inimicizie per giornali, sindacati, sanità pubblica, lasciando che l’Europa stia a guardare guerre, distruzioni, morti, ritorsioni, così implode, i sovranismi vincono, le libertà son ridotte. Venga Draghi, no a SuperMario preso a scudo tipo Gattopardo «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Aborto: il lungo sabotaggio della scelta delle donne

Non so più quante volte e in quanti modi ci hanno provato e continuano a provarci: a cercare di sabotare la legge 194, a svuotarla in ogni modo – non bastasse il livello altissimo di obiezione di coscienza del personale sanitario – a mandare gli antiabortisti di associazioni del terzo settore nei consultori con il camice del ‘sostegno alla maternità”, a promuovere leggi regionali o regolamenti, persino la sepoltura dei feti, il tutto con  l’evidente scopo di minare la  libera scelta delle donne, di colpevolizzarle, di complicare il già complicato slalom cui sono costrette se vogliono interrompere una gravidanza, in ultimo di far arretrare il dibattito pubblico verso le posizioni più oscurantiste.

Qui, ancora una volta, siamo: a scovare persino in un emendamento del Pnrr – passato oggi alla Camera con 185 voti favorevoli, 115 contrari e 4 astenuti, dovrà poi essere esaminato dal Senato –  la riproposizione di un tentativo già fatto molte volte, ovvero quello di aprire le porte dei consultori pubblici ai militanti antiabortisti. Gli stessi consultori che dovrebbero occuparsi della salute delle donne, che lo hanno fatto egregiamente nella loro lunga e importante storia, che per molte di noi sono stati il primo approdo per cominciare a occuparsi del proprio corpo e della propria sessualità… Gli stessi consultori, racconta una mia amica che lavora nell’hinterland di Milano, in cui oggi si è passati da 3 ginecologi  in servizio ad un solo gettonista – neanche lo stesso, capita chi capita – con un’agenda che varia, oggi c’è, domani chissà, e il tempo passa nel tentativo di mettere le toppe e di  cercare di rispondere ai bisogni, che sono tanti, di donne lasciate sempre più sole.

Indecente, tutto ciò è indecente, mentre dalla maggioranza di governo, un giorno sì e pure l’altro, arrivano proclami a sostegno della vita delle donne… E tocca arrabbiarsi, ricordare che questo è un sabotaggio di lunga durata e mai finito, misurare la distanza con la vicina Francia che il diritto ad un aborto sicuro e legale l’ha messo in Costituzione e con quell’Europa che ne ha ricalcato i passi, seppur con una decisione non vincolante.  E ripromettersi di esserci, ancora, in una battaglia che ci ha visto, tante volte, in piazza e al lavoro con altre donne e che però necessita ancora delle energie (e della rabbia) di tutte.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

L’inevitabile “guerra green”

Com’era inevitabile, la transizione energetica si è rapidamente trasformata da opportunità per il clima, e per imprenditori e consumatori lungimiranti, a campo di battaglia tra i giganti dell’economia mondiale. In Cina, la posizione dominante del Paese nella lavorazione di litio, cobalto e terre rare, fondamentali per le batterie di auto ibride ed elettriche, si è sommata alle politiche di sostegno che il governo di Pechino garantisce alle sue industrie di punta, con sovvenzioni più o meno dirette e forniture di energia elettrica a prezzi politici, al di fuori dalle regole internazionali. Ciò ha dato all’industria cinese un vantaggio senza paragoni. Ne risentono le imprese che hanno inventato queste tecnologie o che le hanno sviluppate fin dal principio, come la statunitense Tesla, che ormai perde colpi davanti all’invasione di auto elettrici cinesi low cost. Non solo negli Stati Uniti, molti “grandi” dell’industria dell’auto europea stanno rivedendo le loro strategie di passaggio alla mobilità green proprio perché non sono in grado di competere con le auto esportate da Pechino.

La segretaria al Tesoro degli USA, Janet Yellen, nel suo recente viaggio in Cina ha posto la questione in modo deciso, rinfacciando alla controparte gli aiuti di Stato elargiti all’industria dell’auto e la conseguente sovrapproduzione di macchine a basso costo. Secondo Yellen, in un mercato drogato dalle macchine cinesi non può esistere libera concorrenza. E lo stesso vale per i pannelli solari, sui quali i produttori cinesi riescono a proporre prezzi inarrivabili per qualsiasi altro Paese.

In Cina l’industria dell’auto equivale ormai al 3% del PIL, e se non si porranno limiti, si legga dazi, questo storico settore industriale nato proprio negli Stati Uniti rischia di scomparire in tutto il resto del mondo. La lettura dei cinesi è ovviamente diversa: secondo Pechino, in Cina si produce così tanto perché la sete di prodotti sostenibili è in forte aumento in tutto il mondo. Che poi quei prodotti sostenibili, siano auto o pannelli solari, vengano prodotti in Cina con energia elettrica ricavata dal carbone, oppure che l’estrazione di cobalto, litio e terre rare crei gravi problemi all’ambiente e alle persone, è solo un dettaglio.

Il paradosso è che la crescita della domanda di auto elettriche in Europa è dovuta ai forti incentivi statali e comunitari, che però finiscono con il sovvenzionare ulteriormente l’export cinese. Il dilemma del mondo post-globale e in piena crisi climatica è tutto qui: non si riesce a uscire nemmeno per un attimo dalle categorie di pensiero e di mercato che hanno causato la “febbre” del pianeta Terra. Ogni iniziativa green si scontra con i soliti vecchi interessi dell’industria, degli Stati, della geopolitica. Così si perdono una dopo l’altra opportunità preziose per rallentare il riscaldamento del pianeta. Ora si parla di idrogeno verde e di batterie allo stato solido… Ma il punto è che se non cambia logica non ci sarà mai una vera transizione energetica. Petrolio, gas e carbone, in un modo o nell’altro, paiono destinati a restare al centro della nostra vita per sempre, o almeno finché il mondo sarà abitabile. Spesso si critica il fatto che la terra sia oramai guidata solo dalle logiche di mercato. Ma il problema coinvolge anche l’altro grande attore: la politica, gli Stati che continuano a ragionare in termini di grandezza, di equilibri geopolitici, di crescita economica ignorando l’elefante nella stanza del cambiamento climatico. Che non aspetta e non segue i ragionamenti né del mercato né della politica.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Il prossimo

«Chi è il mio prossimo?» chiese il dottore della legge per incastrare Gesù. Il rabbi di Galilea raccontò la parabola del Buon Samaritano che salvò la vittima dei briganti mentre sacerdote e levita eran passati oltre. Da allora il soccorritore è modello per chi aiuta in umanità poveri, emarginati, fragili. I dottori della legge che siedono in Europa si son fatti la stessa domanda del loro predecessore di 2000 anni fa e si sono dati ieri la risposta: il prossimo è il migrante da identificare, prendergli impronte e rilievi biometrici dai sei anni in su, verificare se viene da un Paese sicuro per centellinargli l’asilo, convertibile: 2000 euro se respinto da Ungheria o altri di Visegrad. I dottori della legge di Roma, patria del diritto, son più sottili; i migranti possono esser salvati da una Ong ma la nave va multata e fermata: li ha sottratti alle motovedette libiche e impedito di riportarli nei lager che l’Europa finanzia. Dottori anche in religione (premier madre e cristiana) da Roma ricordano agli stranieri: vivete qui coi figli ma siete diversi: a scuola solo in percentuale; no Ramadan, ius scholae e culturae. Però valete più d’un operaio: per deportare in Albania altri migranti mettiamo quasi 40 milioni, per prevenire incidenti 2. Vittorio Fusco esegeta ha dato questa versione del prossimo: «Immagina tu, bianco razzista e magari affiliato al Ku Klux Klan, tu che fai chiasso se in un locale entra un negro e non perdi l’occasione per manifestare il tuo disprezzo e la tua avversione, immagina di trovarti coinvolto in un incidente stradale su una via poco frequentata e di star lì a morire dissanguato, mentre qualche rara auto con un bianco alla guida passa e non si ferma; immagina che, a un certo punto, si trovi a passare un medico di colore… Il punto non è: aiutare i negri, gli ebrei, o altri discriminati ma piuttosto quello di trovarsi in una situazione in cui si può essere aiutati solo da un negro, da un ebreo, un comunista, un fascista, insomma uno che è dall’altra parte della barricata». Gesù più che a far del Samaritano un eroe esortò a indentificarsi nelle vittime, nello sconosciuto: questa è la parabola! Auguri a Meloni, Salvini, Piantedosi, Von der Leyen, a timidi e pavidi di sinistra, ai Ponzio Pilato.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Cina, India, giganti…disuguaglianze

Nei processi di modernizzazione e crescita economica che, negli ultimi trent’anni, hanno toccato diversi Paesi del mondo, una costante che si è ripetuta ovunque è che, insieme al PIL pro capite dei cittadini, è cresciuto in modo ben più marcato il divario sociale tra i più ricchi e i più poveri. Nulla cambia se si tratta di un Paese a economia di mercato come l’India oppure dell’ultimo grande Paese comunista, la Cina, che è passata dall’essere uno Stato poverissimo ancora alla metà del Novecento a superare la media mondiale del reddito pro capite circa vent’anni fa. Ora che la sua vertiginosa crescita sta rallentando, si possono intravedere le sacche di disuguaglianza che si sono solidificate in questi anni. Fatto 100 il PIL pro capite dei cinesi, quello dei cittadini di Pechino e Shanghai è circa 200, mentre quello delle province più remore del Paese si aggira attorno a 50. Le privatizzazioni e le aperture di mercato all’imprenditoria nazionale hanno fatto sì che un Paese che con la rivoluzione maoista aveva pressoché abolito le differenze sociali si trovi oggi con il 10% della popolazione che controlla il 42% del reddito nazionale, un dato molto vicino al 45% degli Stati Uniti.

L’India, che nel 2023 è diventata lo Stato più popoloso al mondo sopravanzando proprio la Cina, ha una storia diversissima da quella cinese da molti punti di vista: è stata una colonia integrata in un impero mondiale, poi ha scelto la democrazia liberale e la forma federale. Eppure, la sua forte crescita economica ricorda molto la situazione che la Cina ha vissuto circa 15 anni fa. Con la differenza che l’India, segnata anche dal sistema delle caste e dalla presenza della nobiltà terriera, presenta una concentrazione della ricchezza fin d’ora molto marcata, e in prospettiva ha una struttura economica ancora più polarizzata di quella cinese: nel 2023, l’1% degli indiani ha guadagnato il 23% del reddito nazionale complessivo e deteneva il 40% delle ricchezze del Paese. Il dato più curioso è che si tratta di una concentrazione maggiore rispetto a quella che si registrava un secolo fa, durante la dominazione britannica. La disparità nella configurazione del reddito si è ridotta nei decenni successivi all’indipendenza, ma è tornata ad aumentare dagli anni ’80. L’India di oggi, più dinamica, moderna e in crescita, è ormai allineata con gli storici campioni mondiali della disuguaglianza, che tra i grandi Paesi sono Brasile e Stati Uniti. Una ricerca dell’osservatorio sulle disuguaglianze diretto dall’economista francese Thomas Piketty evidenzia come, a partire dalle liberalizzazioni dei primi anni ’90, la fascia del 10% più ricco della popolazione indiana abbia accresciuto vertiginosamente la sua quota percentuale di reddito, raggiungendo il 58% del reddito nazionale, mentre il 90% degli indiani si spartisce il restante 42%. Non a caso, nella classifica degli uomini più ricchi dell’Asia i primi due sono indiani e al terzo posto troviamo un cinese.

I forti processi di crescita economica di questi ultimi decenni, per Paesi giganteschi dal punto di vista sia geografico sia demografico, stanno dunque riproducendo un vecchio modello di società caratterizzato da una grande concentrazione di ricchezza in mano a pochi soggetti e dalla presenza di isole di sviluppo, concentrate generalmente in pochi territori urbani, assai più ricche delle periferie, in bilico tra crescita e povertà, e delle province periferiche, totalmente tagliate fuori dai processi in corso. Anche in questi Paesi, la mano invisibile del mercato, lasciata a se stessa, non riesce a redistribuire in modo equilibrato reddito e servizi. Questa è una funzione che finora è sempre rimasta in capo agli Stati, che per svolgerla adeguatamente non possono essere solo macchine burocratiche autoreferenziali come quello cinese, né un caotico insieme di interessi etnici, nazionali e regionali come quello indiano, che peraltro sta vivendo anche una crisi profonda sul piano della fedeltà ai valori della democrazia liberale. Le due grandi potenze emergenti del XXI secolo non sfuggono dunque a un problema ben conosciuto in Occidente, quello delle diseguaglianze, contro il quale “noi”, oltre a promuovere convegni di studio, poco o nulla facciamo di concreto. Esattamente come accade da “loro”.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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