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Appunti sulla mondialità

Il teatrino degli eventi bellici “previsti”

I principali eventi bellici degli ultimi anni sono stati incredibilmente anticipati dai servizi di intelligence, senza però che questo influisse più di tanto sul concretizzarsi di tali avvenimenti. L’11 febbraio 2022 il settimanale tedesco «Der Spiegel» citava fonti della CIA che prevedevano l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, precisando che sarebbe avvenuta cinque giorni dopo. La fonte citata dalla rivista spiegava infatti che Mosca aveva già completato lo schieramento militare al confine ucraino. L’unica imprecisione era che l’attacco non sarebbe stato sferrato il 16 febbraio ma il 24, pochi giorni più tardi.

Il «New York Times» ha invece esaminato un documento, girato tra le scrivanie dei capi dell’esercito e dell’intelligence israeliana già nel 2022, che descriveva per filo e per segno un possibile attacco terroristico con partenza da Gaza. Ma, per quanto realistico e dettagliato, il piano “Muro di Gerico”, come era stato battezzato dall’intelligence, non venne preso sul serio: i vertici israeliani lo considerarono troppo complesso per Hamas e dunque irrealizzabile. Sappiamo bene che il 7 ottobre 2023 quel piano è stato seguito quasi alla lettera dai terroristi che hanno lasciato sul campo circa 1150 vittime israeliane e rapito circa 240 ostaggi, infliggendo una clamorosa sconfitta all’apparato difensivo di Israele.

Il 12 aprile scorso, la CIA ha annunciato pubblicamente che entro 48 ore ci sarebbe stato un attacco iraniano contro basi militari in territorio israeliano. Secondo la rete televisiva CBS, sarebbero stati lanciati un centinaio di droni kamikaze e decine di missili balistici. L’attacco è puntualmente avvenuto la notte del 13 aprile con il lancio – secondo le fonti più attendibili – di circa 170 droni e circa 150 missili, tra balistici e da crociera.

Fa impressione come negli ultimi anni la capacità di osservazione ed elaborazione dei dati, e quindi di previsione degli eventi, sia stata potenziata dall’uso dei satelliti, di Internet e degli algoritmi di intelligenza artificiale. Ormai è veramente difficile per qualsiasi Stato dissimulare attacchi su grande scala che prevedano movimentazione di truppe o di armi pesanti. È difficile anche mantenere alti livelli di segretezza nella circolazione di informazioni sensibili ed evitare che vengano intercettate e decrittate. Questo vale per tutti i protagonisti della scena internazionale, nessuno escluso: chi occupa i vertici della politica mondiale, raramente può dirsi sorpreso dei grandi eventi che si verificano a livello globale. Che poi la politica presti più o meno attenzione alle segnalazioni fornite dall’intelligence, è un altro discorso. Quella che non è cresciuta allo stesso modo è la capacità di prevenire incidenti bellici con una “diplomazia d’emergenza” che possa, almeno, provare a scongiurare gli incendi imminenti.

Nello scenario che stiamo descrivendo, la stampa gioca un ruolo non secondario. Le inchieste condotte da giornalisti e giornali che hanno un rapporto privilegiato con la CIA, il Mossad o l’MI5 e che svelano in anticipo invasioni, bombardamenti o atti terroristici finiscono con il creare un rapporto tossico con l’attesa dell’evento: è come se ci si auspicasse che l’attacco avvenga davvero, a conferma dell’autorevolezza della testata o del giornalista e dell’affidabilità dell’intelligence. Così è nato il teatrino che coinvolge servizi, eserciti, stampa e un’opinione pubblica che aspetta sui social media eventi sì annunciati, ma pur sempre tragici, spesso con migliaia di morti e feriti. La scollatura tra la capacità predittiva e l’incapacità di fermare avvenimenti quasi certi, o comunque molto probabili, ci consegna un ulteriore spunto di riflessione sul nostro mondo in preda al caos. Nel quale la politica è tornata indietro rispetto alla capacità di mediare e di costruire compromessi proprio mentre i mezzi a disposizione per raccogliere informazioni hanno raggiunto livelli mai immaginati prima. Questa lacuna non può essere colmata dalla cosiddetta intelligenza artificiale: occorre piuttosto quella umana, spesso sprecata su questioni futili, ma che rimane pur sempre lo strumento più raffinato che abbiamo a disposizione per sopravvivere.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

A Piedi Nudi sulla Terra con Folco Terzani e Baba Cesare: nuove strade per una vita diversa

“Le cose che possiedi ti possiedono” dice uno straordinario Brad Pitt a un altrettanto straordinario Edward Norton durante una celebre battuta di “Fight Club”, uno dei cult massimi per noi figli di quella Generazione X raccontata da Douglas Coupland nel suo bestseller.
Quella stessa battuta l’ho ripetuta qualche giorno fa a un amico che non riesce a privarsi della sua moto, che usa una volta ogni morte di papa. Ovviamente la mia era una battuta, il mio amico farà quello che deve e non ha certo bisogno dei miei consigli.
La frase mi è tornata in mente questa mattina quando ho sentito l’amico Folco Terzani parlare della nuova edizione del suo “A piedi nudi sulla terra” (Tea Edizioni) con gli amici di Controradio. Il libro – per quel che vale il mio giudizio uno dei dieci che porterei con me sulla fantomatica “isola deserta” – racconta la straordinaria storia di Baba Cesare, un pazzo scatenato originario di Torino che dopo una lunga serie di errori e scelte sbagliate, negli anni Settanta parte per l’India. E laggiù, dopo un percorso fatto di droghe, relazioni sentimentali complicate, arresti e viaggi improvvisati, trova la serenità e la pienezza interiore diventando un sadhu, un rinunciate, che cammina a piedi nudi sulla terra, senza pianificare nulla, senza preoccuparsi di nulla, sapendo che comunque, nel bene o nel male, Dio provvederà.
In una società come la nostra, dove si insegna che per essere soddisfatti bisogna aggiungere cose – soldi, beni, prestigio, sicurezze – i sadhu predicano l’esatto contrario. Per loro il pieno appagamento, la piena comprensione della vita, è un esercizio di sottrazione. Più levi, più sei ricco, di quella ricchezza vera e autentica, quella che ti permette di essere sempre pacificato e tranquillo qualsiasi cosa succeda. E di conseguenza più vicino al vero significato della vita, allo spirito della creazione e, in ultima analisi, a quella cosa che se la nomini perde forza e diventa meno vera ma se la vivi, eccome se la senti. Sarà mica questa la grammatica di Dio?
In India, i sadhu vengono accolti con gioia dalla gente, che ritiene un privilegio offrirgli da mangiare, preparargli un chai, occuparsi di loro. E lo fanno non per misericordia, né per un atto di carità verso chi non ha nulla di materiale, ma perché riconoscono il lavoro che i sadhu stanno facendo: un viaggio, non privo di difficoltà, verso la comprensione del divino. La loro è una rinuncia liberatoria che va sostenuta, perché poi i frutti possano essere condivisi con tutti gli altri e portare pace nelle menti dei tanti che invece hanno scelto di rimanere nella società. 
La formula del sadhu, meglio ripeterlo, è davvero semplice: più rinunci, più hai. Più dai, più prendi. Semplice, naturale e mistico come direbbe Bob Marley. 

Nel ventennale dalla morte del mai abbastanza ricordato Tiziano Terzani, questa nuova edizione di “A Piedi nudi sulla Terra” di suo figlio Folco è il libro giusto al momento giusto. Quasi più attuale adesso di quando è uscito originariamente, ormai più di una decina di anni fa. Oggi, mentre con le nuove tecnologie si urla, parla e straparla sempre di più, e ci sono le bombe e tanto rumore di fondo, forse è giunto il momento di fare proprio come fanno i sadhu. Abbassare la voce, fare silenzio, allontanarsi dal trambusto, restare fermi, respirare. Cercare il Divino nel semplice, comprendendo che il semplice è divino, e poi camminare a piedi nudi sulla terra, proprio come Baba Cesare, che libero e vicino a Dio lo è stato per davvero. 

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Draghi e draghette

Ha due facce il clamore suscitato da Draghi che, anticipa, proporrà un “cambiamento radicale” col Rapporto sulla competitività commissionatogli da Von der Leyen. Una positiva: finalmente si parla di Europa. L’altra inquietante: invece di entrare nel merito di temi annunciati dall’ex premier-supertecnico per rilanciare l’Ue son partiti talk show, chiacchiericci su vertici, poltrone, schieramenti. Incombono le europee e latitano riflessioni, idee, pensieri, visioni generali, strategie, politica. E vuoti mentali, frustrazioni, impotenze, sensi di colpa per l’inanità eretta a sistema son coperti con l’immaginario dell’eroe che risolverà tutto. La memoria è corta e tradita. Draghi in veste di Superman è già andato in scena. Con esiti noti: salvatore della Patria per alcuni versi; stress nei rapporti 5 Stelle/Pd; Conte posseduto dal narcisistico “il dopo o sarà con me Presidente o non ci sarà”; il Pd che non ha visto arrivare la Schlein e su tale distrazione s’è messo in croce. Intanto Meloni, rimasta fuori dalla grande ammucchiata, ha vinto le elezioni, è diventata la prima donna premier e forte del successo s’è atteggiata a “draghetta”, un po’ perché le era utile accreditarsi a Bruxelles, Nato, Washington come continuatrice del predecessore, un po’ perché il piglio di “una sola al comando” fa premierato. Tant’è che adesso ha fatto sapere (vedi le pronte dichiarazioni di La Russa) che Draghi «sicuramente ha i titoli per ambire ad ogni ruolo». Cioè: l’ex premier usato per detronizzare la “draghetta” Ursula e dire così che la destra rimpiazza i popolari come centro dell’Europa. Che nemesi per Ursula! Aveva giocato d’anticipo con l’incarico a Draghi di relazionare sulla competitività e intanto pensava d’esser lei a usare la destra facendo coppia fissa con Giorgia contro i migranti. Giochi romani con contorno di manganellate a studenti e inimicizie per giornali, sindacati, sanità pubblica, lasciando che l’Europa stia a guardare guerre, distruzioni, morti, ritorsioni, così implode, i sovranismi vincono, le libertà son ridotte. Venga Draghi, no a SuperMario preso a scudo tipo Gattopardo «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Aborto: il lungo sabotaggio della scelta delle donne

Non so più quante volte e in quanti modi ci hanno provato e continuano a provarci: a cercare di sabotare la legge 194, a svuotarla in ogni modo – non bastasse il livello altissimo di obiezione di coscienza del personale sanitario – a mandare gli antiabortisti di associazioni del terzo settore nei consultori con il camice del ‘sostegno alla maternità”, a promuovere leggi regionali o regolamenti, persino la sepoltura dei feti, il tutto con  l’evidente scopo di minare la  libera scelta delle donne, di colpevolizzarle, di complicare il già complicato slalom cui sono costrette se vogliono interrompere una gravidanza, in ultimo di far arretrare il dibattito pubblico verso le posizioni più oscurantiste.

Qui, ancora una volta, siamo: a scovare persino in un emendamento del Pnrr – passato oggi alla Camera con 185 voti favorevoli, 115 contrari e 4 astenuti, dovrà poi essere esaminato dal Senato –  la riproposizione di un tentativo già fatto molte volte, ovvero quello di aprire le porte dei consultori pubblici ai militanti antiabortisti. Gli stessi consultori che dovrebbero occuparsi della salute delle donne, che lo hanno fatto egregiamente nella loro lunga e importante storia, che per molte di noi sono stati il primo approdo per cominciare a occuparsi del proprio corpo e della propria sessualità… Gli stessi consultori, racconta una mia amica che lavora nell’hinterland di Milano, in cui oggi si è passati da 3 ginecologi  in servizio ad un solo gettonista – neanche lo stesso, capita chi capita – con un’agenda che varia, oggi c’è, domani chissà, e il tempo passa nel tentativo di mettere le toppe e di  cercare di rispondere ai bisogni, che sono tanti, di donne lasciate sempre più sole.

Indecente, tutto ciò è indecente, mentre dalla maggioranza di governo, un giorno sì e pure l’altro, arrivano proclami a sostegno della vita delle donne… E tocca arrabbiarsi, ricordare che questo è un sabotaggio di lunga durata e mai finito, misurare la distanza con la vicina Francia che il diritto ad un aborto sicuro e legale l’ha messo in Costituzione e con quell’Europa che ne ha ricalcato i passi, seppur con una decisione non vincolante.  E ripromettersi di esserci, ancora, in una battaglia che ci ha visto, tante volte, in piazza e al lavoro con altre donne e che però necessita ancora delle energie (e della rabbia) di tutte.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

L’inevitabile “guerra green”

Com’era inevitabile, la transizione energetica si è rapidamente trasformata da opportunità per il clima, e per imprenditori e consumatori lungimiranti, a campo di battaglia tra i giganti dell’economia mondiale. In Cina, la posizione dominante del Paese nella lavorazione di litio, cobalto e terre rare, fondamentali per le batterie di auto ibride ed elettriche, si è sommata alle politiche di sostegno che il governo di Pechino garantisce alle sue industrie di punta, con sovvenzioni più o meno dirette e forniture di energia elettrica a prezzi politici, al di fuori dalle regole internazionali. Ciò ha dato all’industria cinese un vantaggio senza paragoni. Ne risentono le imprese che hanno inventato queste tecnologie o che le hanno sviluppate fin dal principio, come la statunitense Tesla, che ormai perde colpi davanti all’invasione di auto elettrici cinesi low cost. Non solo negli Stati Uniti, molti “grandi” dell’industria dell’auto europea stanno rivedendo le loro strategie di passaggio alla mobilità green proprio perché non sono in grado di competere con le auto esportate da Pechino.

La segretaria al Tesoro degli USA, Janet Yellen, nel suo recente viaggio in Cina ha posto la questione in modo deciso, rinfacciando alla controparte gli aiuti di Stato elargiti all’industria dell’auto e la conseguente sovrapproduzione di macchine a basso costo. Secondo Yellen, in un mercato drogato dalle macchine cinesi non può esistere libera concorrenza. E lo stesso vale per i pannelli solari, sui quali i produttori cinesi riescono a proporre prezzi inarrivabili per qualsiasi altro Paese.

In Cina l’industria dell’auto equivale ormai al 3% del PIL, e se non si porranno limiti, si legga dazi, questo storico settore industriale nato proprio negli Stati Uniti rischia di scomparire in tutto il resto del mondo. La lettura dei cinesi è ovviamente diversa: secondo Pechino, in Cina si produce così tanto perché la sete di prodotti sostenibili è in forte aumento in tutto il mondo. Che poi quei prodotti sostenibili, siano auto o pannelli solari, vengano prodotti in Cina con energia elettrica ricavata dal carbone, oppure che l’estrazione di cobalto, litio e terre rare crei gravi problemi all’ambiente e alle persone, è solo un dettaglio.

Il paradosso è che la crescita della domanda di auto elettriche in Europa è dovuta ai forti incentivi statali e comunitari, che però finiscono con il sovvenzionare ulteriormente l’export cinese. Il dilemma del mondo post-globale e in piena crisi climatica è tutto qui: non si riesce a uscire nemmeno per un attimo dalle categorie di pensiero e di mercato che hanno causato la “febbre” del pianeta Terra. Ogni iniziativa green si scontra con i soliti vecchi interessi dell’industria, degli Stati, della geopolitica. Così si perdono una dopo l’altra opportunità preziose per rallentare il riscaldamento del pianeta. Ora si parla di idrogeno verde e di batterie allo stato solido… Ma il punto è che se non cambia logica non ci sarà mai una vera transizione energetica. Petrolio, gas e carbone, in un modo o nell’altro, paiono destinati a restare al centro della nostra vita per sempre, o almeno finché il mondo sarà abitabile. Spesso si critica il fatto che la terra sia oramai guidata solo dalle logiche di mercato. Ma il problema coinvolge anche l’altro grande attore: la politica, gli Stati che continuano a ragionare in termini di grandezza, di equilibri geopolitici, di crescita economica ignorando l’elefante nella stanza del cambiamento climatico. Che non aspetta e non segue i ragionamenti né del mercato né della politica.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 13-12-2025

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    Le 50 ore di diretta, la staffetta, il corteo, la mostra fotografica, tutte le iniziative per il cinquantenario di Radio Pop!  Con Gianmarco Bachi, Claudio Agostoni arrivato direttamente dalla Malpensa in rientro dal Sudafrica, Diana Santini, DJ Janko, Disma Pestalozza.

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