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Mia cara Olympe

Zanchini e Scurati: la retorica dell’indignazione e la storia

Giorgio Zanchini io non lo conosco: lo dico non perché sia rilevante ma per evitare il sospetto dell’amichettismo. Lo conosco però da ascoltatrice e ne ho sempre apprezzato misura, cultura e capacità professionale.

Zanchini, come da cronache sapete, è al centro di una polemica per avere chiesto in trasmissione ad una senatrice di Fratelli d’Italia Ester Mieli se fosse ebrea: domanda retorica per lui che ben conosce la biografia di Mieli e per molti e molte, ma che risponde ad un imperativo giornalistico alquanto bistrattato, ovvero mai dare per scontato che chi legge o ascolta sappia. Ed essendo, nel contesto della conversazione, rilevante quell’elemento, Zanchini, e mal gliene incolse, ha posto la questione. Se n’è adombrata subito Mieli, ha avuto solidarietà dal suo schieramento, non si vedeva l’ora peraltro di distogliere l’attenzione dalla censura a Scurati e fare,  e pure alla vigilia del 25 aprile,  una sorta di pari e patta comunicativo: voi vi indignate per Scurati, noi per Zanchini, zero a zero, palla al centro. Uno sconsolato Zanchini ieri ha detto al Corriere: domanda posta per dare solidarietà rispetto all’antisemitismo che risolleva la testa, ma ora invece mi stanno mollando tutti…

E allora. Età e maggiore saggezza inducono a sbuffare davanti ad un uso dell’indignazione che se in questo caso denota una certa strumentalità, è più in generale ormai l’unica reazione che si riesce a mettere in campo e che addirittura si auspica: aldilà del merito delle questioni, della caratura e della storia dei protagonisti. Rischio o errore in cui incorriamo tutte e tutti, attenzione.
Direte: ma allora vale anche per Scurati. Invece no e almeno per un paio di motivi e il primo ha a che vedere con il peso infinitamente differente che hanno i due episodi: di là una censura vera e propria denunciata dalla conduttrice di una trasmissione della televisione pubblica sul monologo di uno scrittore che si occupa di fascismo e di Mussolini, tanto da essere tradotto in decine e decine di paesi; di qua una domanda che ha potuto essere equivocata ma che al massimo si può qualificare come maldestra. Questo è il pericolo dell’enfasi che pervade ormai il discorso pubblico, i media, la rete: a forza di gridare e basta, tutto si confonde e appare eguale, diventa una partita di calcio e fa il gioco di chi a questo vuole ridurre tutto. Fascisti e antifascisti, nazisti e comunisti, voi di qua, noi di là, ancora zero a zero e palla al centro e anche per quest’anno l’indigesto alle destre 25 aprile è andato…

Ah, il secondo motivo. Recita l’incipit del monologo di Scurati: Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania”.

Non so come si possa misurare, ma una cosa è certa. Dopo la censura a Scurati, la storia di Matteotti è rimbalzata di bocca in bocca: in rete, sui giornali, nelle scuole, nei teatri, dai palchi del nostro 25 aprile e tanti che poco o nulla ne sapevano ora sanno. E non è volatile indignazione, ma storia.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Libertà di stampa

Un modo per dire che bisogna ricordare il 25 aprile c’è: salvaguardare la libertà di stampa. Sul presidio della democrazia, premessa di esercizio di tanti altri diritti ci dovrebbe essere ampia convergenza, invece tira una brutta aria. Tra gli stessi operatori si creano divisioni: in Rai ad esempio è nato un sindacato in alternativa all’Usigrai. E quali siano i propositi politici di tale iniziativa lo si è visto dall’atteggiamento della vicedirettrice del Tg1 contro Scurati e le donne che ricorrono all’aborto. In ballo c’è il “servizio pubblico”, che vuol dire primariamente rispetto di pluralità, diversità, valore e rilevanza dell’altro per il bene comune. Contesto nazionale e internazionale non son favorevoli all’esercizio del giornalismo. Focolai di guerra seminano germi di schieramenti, appartenenze, allineamento al potere, censura. Ma ci sono le responsabilità di chi ha il potere. Il governo Meloni è un prototipo di non amore per i giornalisti, metafora d’un non amore per chiunque ha idee, propositi, progetti diversi da quelli di Palazzo Chigi. Dialogo e confronto con forze sociali, intellettuali, minoranze danno l’orticaria alla destra. In pochi giorni ne abbiamo avuto un florilegio, in linea con un anno e mezzo di governo. Si va dagli interventi a gamba tesa sui singoli, alle querele intimidatorie, alle minacce del carcere, alla stretta sulla pubblicazione di atti, all’insofferenza per le conferenze stampa, alle inchieste considerate non per le verità che svelano, ma come atti di persecuzione politica. La cornice che consente la guerra all’informazione, perché di questo si tratta, è la madre di tutte le riforme come coerentemente la chiama la sua genitrice Giorgia Meloni: il premierato. Si cerca di sedurre (e di bombardare) l’opinione pubblica con slogan tipo “norma antiribaltone, per governi stabili”. Invece si vuole “Una donna sola al comando”, cioè contro democrazia parlamentare e equilibrio tra poteri che la Costituzione antifascista ha stabilito col sangue di chi ha combattuto per la libertà propria, dei figli e delle generazioni a venire. Meloni e sodali non riescono a dire “antifascista” perché è la parola libertà il problema per loro. Il Paese ne paga le conseguenze. La misura è quasi colma!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La scuola non serve a nulla

Il 25 aprile, nella mia classe

A proposito di Scurati e O-Scurati...

Be’, normale che si sisa parlato tanto di Scurati, nei giorni intorno al 25 aprile…

Ma siccome coincidenza voleva pure che proprio ieri mattina, nella mia terza, a scuola, dovessi spiegare la presa del potere del Fascismo e il successivo processo di fascistizzazione dello Stato, m’è venuto allora in mente che quest’anno potevo fare una roba un po’ diversa dal solito. Bene, quale sarebbe l’ideona?

Presto detto: portare in classe il sussidiario che si usava nelle scuole all’epoca, o meglio il “testo unico”, il “Libro della Quinta elementare” in adozione nell’anno scolastico 1930-1931, “l’Anno IX dell’era fascista”: insomma, quello su cui ha studiato mio nonno da bambino (qualche anno fa, dopo la sua morte, lo notai lì, in casa sua, impolverato e ingiallito, tra i libri da buttare; la mia anima di storico da quattro soldi venne tuttavia fuori caparbia, e con l’eroismo impavido che sarà meglio descritto dopo, l’ho tenuto con me, curioso…)

Ma torniamo “a noi”: ieri mattina, dicevamo, lezione in classe e poi  lettura dal libro di testo, su capitoli che raccontavano quanto prima vi indicavo (ovviamente, siamo partiti prima dal nostro libro di testo).

Poi, subito dopo, ho tirato fuori dal mio zaino il libresco cimelio: ho spiegato loro di che si trattava, e lo abbiamo aperto… e abbiamo cercato insieme qualche stralcio da leggere…  certo, per quanto contenesse anche altre materie (Religione, Geografia, Aritmetica e Scienze), mi pareva sommamente interessante far leggere loro qualcosa della sezione di Storia. Per come, invece, gli stessia rgomenti erano raccontati invece da quel libro.

La sezione di Storia comincia cronologicamente con la fine dell’Impero Romano d’Occidente. Introdotto subito da questa chicca (verbatim):

“Roma fu grande e gloriosa, e uscì trionfante da ogni impresa e da ogni pericolo, finché l’amor di patria infiammò il petto dei cittadini e finché costoro considerarono il servizio militare come il maggiore dei doveri”.

Lo vedete, alè. Sii parte altissimo, e si continua sullo stesso tono: vi porgo un breve passaggio dalle pagine del Risorgimento (verbatim pure qua):

“Mentre Vittorio Emanuele II e Camillo di Cavour si preparavano a far trionfare la causa italiana, l’Austria nei suoi domini inaspriva il giogo. Lo straniero sentiva infatti che l’odio contro di lui e l’amore per la patria si facevano sempre più profondi e diffusi anche nelle classi più umili della popolazione. Vivono gloriosi nella storia i nomi degli undici ‘Martiri di Belfiore’, così chiamati sugli spalti di Mantova, sui quali quelle generose esistenze furono stroncate dal capestro o dal fucile dell’oppressore…”

Figurati tu quando si arriva al fascismo: qui una breve presentazione del Duce (ari-verbatim):

“L’Italia fu salvata da Benito Mussolini. Egli era stato tra i più fervidi sostenitori della guerra contro l’Austria: aveva valorosamente combattuto come bersagliere; aveva sofferto gravi ferite. Animato dalla stessa fede e dallo stesso coraggio si dedicò, dovesse costargli la vita, alla santa missione di ridestare nel popolo italiano quelle virtù che già avevano reso possibile il Risorgimento.”

E poi la Marcia su Roma (ari-ari-verbatim):

“In questo incessante succedersi di lotte sanguinose, ben tremila fascisti caddero vittime dei sovversivi. Ma col proprio sacrificio resero ancor più forte la volontà di vincere nei loro camerati, che ormai erano legioni, marea travolgente, che solo la salda mano del Capo poteva ancora contenere. Finalmente, Benito Mussolini mosse alla conquista, che doveva coronare e consacrare il suo mirabile sforzo di condottiero e di patriota. Il 28 ottobre 1922 un esercito di “camice nere”, per ordine del Duce insonne e magnifico, si ammassava rapidamente, e muoveva in tre colonne verso la Città Eterna. Il nostro Re, con sapiente ed energica risoluzione, respingendo le proposte di coloro che avrebbero voluto soffocare questo grande movimento di riscossa nazionale, invitò il Duce a costituire un nuovo governo”

E mi fermo qui, ma sarebbe da riportare tutto… Ora, io ero molto felice (e non “De Felice”), alla fine, rilevando come il tutto abbia avuto su alunni e alunne un effetto vivamente comico e pienamente ridicolo, alla “Fascisti su Marte” (perché sono proprio queste testimonianze del passato che mi permettono di dire che l’unica cosa buona fatta dal Fascismo è quella di aver allargato di molto le soglie semantiche del concetto di “ridicolo”); ma curioso lessicalmente anche che in questa sorta de “Il Fascismo racconta sé stesso (ai bambini)”, chiunque non avesse  all’inizio appoggiato apertamente il fascismo è genericamente bollato come “sovversivo” (socialisti, comunisti, popolari, e persino cattolici e liberali…). Nessun accenno a Matteotti, Gramsci, olio di ricino… e nemmeno alle elezioni.

Ma per quanto l’avessi già letto, solo ieri mattina ho notato che anche in un testo goffamente propagandistico come questo, non c’erano problemi a definirlo, quello fascista, con un termine per noi connotato (ma evidentemente, non allora), in maniera molto negativa: “Regime”. Parola che sì, in senso assoluto, significava e significa solo “ordinamento dello Stato”, ma che ha portato a chiedermi: oggi, quale Paese o quale Governo, con qualunque “ordinamento dello Stato” (fosse esso democratico o dittatoriale) potrebbe definire sé stesso, a cuor leggero, un “regime”? Forse neanche la Corea del Nord.

Ma io questo me lo chiedevo mentre un alunno leggeva quel testo con la voce di Guzzanti e gli altri si sganasciavano. Insomma, ci siamo fatti quattro risate: ed è per questo che ne consiglio vivamente la lettura, se qualche vostro nonno lo avesse conservato. Un libro che merita, soprattutto perché, se uno si deve perdere nelle manieristiche imitazioni degli epigoni vannacciani, tanto vale a quel punto sollazzarsi con le fonti del originale. O no?

Buon 25 aprile a tutti!

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Appunti sulla mondialità

Il teatrino degli eventi bellici “previsti”

I principali eventi bellici degli ultimi anni sono stati incredibilmente anticipati dai servizi di intelligence, senza però che questo influisse più di tanto sul concretizzarsi di tali avvenimenti. L’11 febbraio 2022 il settimanale tedesco «Der Spiegel» citava fonti della CIA che prevedevano l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, precisando che sarebbe avvenuta cinque giorni dopo. La fonte citata dalla rivista spiegava infatti che Mosca aveva già completato lo schieramento militare al confine ucraino. L’unica imprecisione era che l’attacco non sarebbe stato sferrato il 16 febbraio ma il 24, pochi giorni più tardi.

Il «New York Times» ha invece esaminato un documento, girato tra le scrivanie dei capi dell’esercito e dell’intelligence israeliana già nel 2022, che descriveva per filo e per segno un possibile attacco terroristico con partenza da Gaza. Ma, per quanto realistico e dettagliato, il piano “Muro di Gerico”, come era stato battezzato dall’intelligence, non venne preso sul serio: i vertici israeliani lo considerarono troppo complesso per Hamas e dunque irrealizzabile. Sappiamo bene che il 7 ottobre 2023 quel piano è stato seguito quasi alla lettera dai terroristi che hanno lasciato sul campo circa 1150 vittime israeliane e rapito circa 240 ostaggi, infliggendo una clamorosa sconfitta all’apparato difensivo di Israele.

Il 12 aprile scorso, la CIA ha annunciato pubblicamente che entro 48 ore ci sarebbe stato un attacco iraniano contro basi militari in territorio israeliano. Secondo la rete televisiva CBS, sarebbero stati lanciati un centinaio di droni kamikaze e decine di missili balistici. L’attacco è puntualmente avvenuto la notte del 13 aprile con il lancio – secondo le fonti più attendibili – di circa 170 droni e circa 150 missili, tra balistici e da crociera.

Fa impressione come negli ultimi anni la capacità di osservazione ed elaborazione dei dati, e quindi di previsione degli eventi, sia stata potenziata dall’uso dei satelliti, di Internet e degli algoritmi di intelligenza artificiale. Ormai è veramente difficile per qualsiasi Stato dissimulare attacchi su grande scala che prevedano movimentazione di truppe o di armi pesanti. È difficile anche mantenere alti livelli di segretezza nella circolazione di informazioni sensibili ed evitare che vengano intercettate e decrittate. Questo vale per tutti i protagonisti della scena internazionale, nessuno escluso: chi occupa i vertici della politica mondiale, raramente può dirsi sorpreso dei grandi eventi che si verificano a livello globale. Che poi la politica presti più o meno attenzione alle segnalazioni fornite dall’intelligence, è un altro discorso. Quella che non è cresciuta allo stesso modo è la capacità di prevenire incidenti bellici con una “diplomazia d’emergenza” che possa, almeno, provare a scongiurare gli incendi imminenti.

Nello scenario che stiamo descrivendo, la stampa gioca un ruolo non secondario. Le inchieste condotte da giornalisti e giornali che hanno un rapporto privilegiato con la CIA, il Mossad o l’MI5 e che svelano in anticipo invasioni, bombardamenti o atti terroristici finiscono con il creare un rapporto tossico con l’attesa dell’evento: è come se ci si auspicasse che l’attacco avvenga davvero, a conferma dell’autorevolezza della testata o del giornalista e dell’affidabilità dell’intelligence. Così è nato il teatrino che coinvolge servizi, eserciti, stampa e un’opinione pubblica che aspetta sui social media eventi sì annunciati, ma pur sempre tragici, spesso con migliaia di morti e feriti. La scollatura tra la capacità predittiva e l’incapacità di fermare avvenimenti quasi certi, o comunque molto probabili, ci consegna un ulteriore spunto di riflessione sul nostro mondo in preda al caos. Nel quale la politica è tornata indietro rispetto alla capacità di mediare e di costruire compromessi proprio mentre i mezzi a disposizione per raccogliere informazioni hanno raggiunto livelli mai immaginati prima. Questa lacuna non può essere colmata dalla cosiddetta intelligenza artificiale: occorre piuttosto quella umana, spesso sprecata su questioni futili, ma che rimane pur sempre lo strumento più raffinato che abbiamo a disposizione per sopravvivere.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

A Piedi Nudi sulla Terra con Folco Terzani e Baba Cesare: nuove strade per una vita diversa

“Le cose che possiedi ti possiedono” dice uno straordinario Brad Pitt a un altrettanto straordinario Edward Norton durante una celebre battuta di “Fight Club”, uno dei cult massimi per noi figli di quella Generazione X raccontata da Douglas Coupland nel suo bestseller.
Quella stessa battuta l’ho ripetuta qualche giorno fa a un amico che non riesce a privarsi della sua moto, che usa una volta ogni morte di papa. Ovviamente la mia era una battuta, il mio amico farà quello che deve e non ha certo bisogno dei miei consigli.
La frase mi è tornata in mente questa mattina quando ho sentito l’amico Folco Terzani parlare della nuova edizione del suo “A piedi nudi sulla terra” (Tea Edizioni) con gli amici di Controradio. Il libro – per quel che vale il mio giudizio uno dei dieci che porterei con me sulla fantomatica “isola deserta” – racconta la straordinaria storia di Baba Cesare, un pazzo scatenato originario di Torino che dopo una lunga serie di errori e scelte sbagliate, negli anni Settanta parte per l’India. E laggiù, dopo un percorso fatto di droghe, relazioni sentimentali complicate, arresti e viaggi improvvisati, trova la serenità e la pienezza interiore diventando un sadhu, un rinunciate, che cammina a piedi nudi sulla terra, senza pianificare nulla, senza preoccuparsi di nulla, sapendo che comunque, nel bene o nel male, Dio provvederà.
In una società come la nostra, dove si insegna che per essere soddisfatti bisogna aggiungere cose – soldi, beni, prestigio, sicurezze – i sadhu predicano l’esatto contrario. Per loro il pieno appagamento, la piena comprensione della vita, è un esercizio di sottrazione. Più levi, più sei ricco, di quella ricchezza vera e autentica, quella che ti permette di essere sempre pacificato e tranquillo qualsiasi cosa succeda. E di conseguenza più vicino al vero significato della vita, allo spirito della creazione e, in ultima analisi, a quella cosa che se la nomini perde forza e diventa meno vera ma se la vivi, eccome se la senti. Sarà mica questa la grammatica di Dio?
In India, i sadhu vengono accolti con gioia dalla gente, che ritiene un privilegio offrirgli da mangiare, preparargli un chai, occuparsi di loro. E lo fanno non per misericordia, né per un atto di carità verso chi non ha nulla di materiale, ma perché riconoscono il lavoro che i sadhu stanno facendo: un viaggio, non privo di difficoltà, verso la comprensione del divino. La loro è una rinuncia liberatoria che va sostenuta, perché poi i frutti possano essere condivisi con tutti gli altri e portare pace nelle menti dei tanti che invece hanno scelto di rimanere nella società. 
La formula del sadhu, meglio ripeterlo, è davvero semplice: più rinunci, più hai. Più dai, più prendi. Semplice, naturale e mistico come direbbe Bob Marley. 

Nel ventennale dalla morte del mai abbastanza ricordato Tiziano Terzani, questa nuova edizione di “A Piedi nudi sulla Terra” di suo figlio Folco è il libro giusto al momento giusto. Quasi più attuale adesso di quando è uscito originariamente, ormai più di una decina di anni fa. Oggi, mentre con le nuove tecnologie si urla, parla e straparla sempre di più, e ci sono le bombe e tanto rumore di fondo, forse è giunto il momento di fare proprio come fanno i sadhu. Abbassare la voce, fare silenzio, allontanarsi dal trambusto, restare fermi, respirare. Cercare il Divino nel semplice, comprendendo che il semplice è divino, e poi camminare a piedi nudi sulla terra, proprio come Baba Cesare, che libero e vicino a Dio lo è stato per davvero. 

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Gli omosessuali? Sono in peccato mortale e la chiesa non deve benedire le coppie gay. Sono parole del cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito per la congregazione della dottrina della fede. Il porporato è uno dei punti di riferimento dell’ala più conservatrice in Vaticano, che osteggiò papa Francesco. Müller ha detto anche che aver fatto passare le associazioni cattoliche dalla Porta Santa di San Pietro in occasione del Giubileo è “solo propaganda”. A chi si rivolge il cardinale? Vuole provare a influenzare Papa Leone? Ne abbiamo parlato con il giornalista vaticanista e scrittore Marco Politi, autore di "La rivoluzione incompiuta, la Chiesa dopo Francesco". L'intervista di Alessandro Principe.

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    A Milano arriva il Godai Fest: Rodrigo D'Erasmo, tra gli ideatori, ce l'ha raccontato

    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

    Volume - 17-09-2025

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    Poveri ma belli di mercoledì 17/09/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 17-09-2025

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