A 45 anni di distanza dall’agguato, oggi è arrivata una svolta importante sull’omicidio di Piersanti Mattarella, l’allora presidente della Regione Sicilia e fratello del capo dello Stato. La procura di Palermo ha arrestato Filippo Piritore, ex poliziotto poi diventato prefetto. Secondo l’accusa, fece sparire una delle prove principali delle indagini: il guanto trovato sull’auto dei killer che il 6 gennaio del 1980 uccisero Mattarella. A incastrarlo anche alcune intercettazioni. Secondo i pm per anni “le indagini sono state inquinate da pezzi delle istituzioni”.
di Mattia Guastafierro
Temeva di finire nei guai Filippo Piritore, l’ex poliziotto da oggi agli arresti domiciliari. “Qualche cosa fanno”, diceva alla moglie, non sapendo di essere intercettato. Qualche giorno prima era stato interrogato dai magistrati sul guanto trovato sulla Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. La prova regina che lui, quel giorno della Befana del 1980, si ritrovò tra le mani come ex funzionario della squadra mobile di Palermo. La moglie lo rassicurava “Non fanno un cazzo, dopo 40 anni che cazzo devono fare”. Ma Piritore era consapevole di non aver convinto gli inquirenti.
Oggi la procura di Palermo lo ha messo agli arresti domiciliari: depistaggio. Avrebbe sviato le indagini, affermando il falso e tacendo. Ai magistrati disse di aver consegnato quel guanto a un altro funzionario della Scientifica, perché lo affidasse all’allora procuratore Piero Grasso. Ma le sue versioni non hanno mai trovato riscontro e contrastano con le testimonianze degli altri protagonisti della vicenda. Secondo i pm, anzi, Piritore continua ancora oggi a mentire.
Di quel guanto non si è saputo più niente. Era l’unico elemento utilizzabile tramite le analisi del Dna per risalire agli autori dell’omicidio Mattarella, ma è sparito nel nulla. Il resto invece è storia: Piritore, in seguito, è diventato prefetto. Tra i suoi capi nella squadra Mobile di Palermo ci fu anche Bruno Contrada, ex numero due del Sisde, i cui rapporti con la mafia sono accertati da alcune sentenza. Anche il suo nome spunta dopo 45 anni nell’inchiesta di oggi.
Per l’omicidio Mattarella sono stati condannati come mandanti i boss di Cosa Nostra che l’allora presidente della Regione Sicilia si era impegnato a combattere. Gli esecutori materiali, invece, non sono mai stati identificati. Oggi sono indagati i boss Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, mentre sono stati assolti i neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Mattarella era l’erede di Aldo Moro, rapito e ucciso due anni prima. Come il suo maestro tentò anche lui, a livello locale, di sostenere la politica del compromesso storico, l’alleanza tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Anche per queste ragioni, secondo lo storico Enrico Deaglio, dietro il suo omicidio “non ci fu solo la mafia”.


