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Makanai, la serie Netflix giapponese dal maestro Kore-eda

Makanai, la serie Netflix giapponese dal maestro Kore-eda

Netflix è stata la prima vera piattaforma streaming, quella che ha aperto la strada verso l’attuale panorama mediale, promettendo rivoluzioni: un catalogo sterminato di serie e film, titoli per qualsiasi tipo di pubblico, un palinsesto senza interruzioni pubblicitarie che ogni spettatore poteva costruirsi su misura, grandi opportunità agli autori e ai registi. Oggi, che i servizi streaming si sono moltiplicati, Netflix è la più generalista tra le piattaforme, e si muove per certi versi “a ritroso”, verso la tv tradizionale: ha introdotto un nuovo abbonamento più economico ma con la pubblicità; ha messo a disposizione uno strumento che organizza il palinsesto per lo spettatore, come la vecchia tv lineare; sta lavorando alla messa in onda di programmi in diretta, soprattutto lo sport; ha aumentato la sua produzione di reality e diminuito le serie molto costose e ambiziose.

Recentemente, dopo il preoccupante calo di abbonamenti dell’anno scorso, ha anche dato il via a una “stretta” sugli abbonamenti condivisi, per evitare che famiglie diverse si dividano una sola sottoscrizione mensile. Nel frattempo, cerca di attirare l’attenzione con progetti interattivi, come il recente Caleidoscopio, serie thriller che permette allo spettatore di decidere in quale ordine vedere gli episodi (ma, proprio come qualche anno fa per l’episodio “libro-game” di Black Mirror, Bandersnatch, l’esperimento non sembra troppo riuscito e coinvolgente dal punto di vista narrativo). Se gli osservatori più attenti hanno iniziato da tempo a parlare di un calo complessivo della qualità di Netflix, è anche vero che nella sua library sconfinata compaiono spesso piccoli gioielli, che magari nel clamore di progetti più roboanti rischiano di passare inosservati. È il caso, per esempio, di Makanai, disponibile sulla piattaforma da qualche giorno. È una serie giapponese e il suo showrunner e co-regista è Hirokazu Kore-eda, uno dei cineasti nipponici più acclamati e amati al mondo: attivo e apprezzatissimo nei festival internazionali fin dagli anni 90, ha vinto il Premio della giuria a Cannes 2013 con Father and Son, e poi la Palma d’oro 2018 per Un affare di famiglia.

L’anno scorso, sempre al Festival di Cannes, ha presentato Le buone stelle – Broker, il suo primo film in lingua coreana, e ha fatto guadagnare il premio per il miglior attore al protagonista Song Kang-ho (la star di Parasite). Kore-eda aveva già lavorato per il piccolo schermo a inizio carriera, soprattutto nel documentario, ma in Makanai si misura con l’adattamento di un manga molto celebre in Giappone, Maiko-san chi no Makanai-san, di Aiko Koyama, che in patria ha venduto quasi 3 milioni di copie (da noi è inedito). È già diventato pure una serie anime, ma Kore-eda – che scrive anche le sceneggiature e divide la regia degli episodi con altri tre colleghi – ne fa una trasposizione dal vero. La storia è quella di due amiche inseparabili, Kiyo e Sumire; a 16 anni lasciano la prefettura di Aomori, dove sono nate e cresciute, per trasferirsi a Kyoto e diventare maiko, ovvero apprendiste geisha. Sumire è seria, riservata, determinata, e fin dall’inizio del percorso di studi eccelle nelle varie discipline che compongono l’arte delle geisha. Kiyo, sempre sorridente e di buonumore, è goffa e sbadata, e presto si rivela inadeguata alla difficile carriera. Quasi per caso, però, scopre un altro talento, quello per la cucina, e per non lasciare l’amica Sumire – né la nuova “famiglia”, che già si è affezionata a lei – Kiyo abbandona l’allenamento da maiko e diventa makanai, la cuoca della sua casa di geisha, responsabile della preparazione dei piatti casalinghi e dunque del benessere delle sue occupanti.

Gli appassionati di manga e anime riconosceranno immediatamente il contesto shonen e shojo – quello delle storie pensate per ragazzi e per ragazze – ma Kore-eda da sempre brilla nel racconto universale e multigenerazionale delle relazioni, soprattutto quelle di famiglie allargate e non convenzionali. E cos’è una casa di geisha, con le sue “madri” (cioè le donne adulte che gestiscono l’attività) e le sue “sorelle” (le maiko, le geiko, le apprendiste, più in questo caso la makanai), se non un particolare tipo di famiglia, di cui Kiyo impara pian piano a prendersi cura? Ambientato e girato a Gion, il quartiere delle geisha di Kyoto, Makanai vive soprattutto nel ritratto d’ambiente, nell’incredibile racconto di tradizioni antiche che scorrono accanto alla contemporaneità (la storia si svolge ai giorni nostri, anche se a volte è facile dimenticarselo). Sentimenti ed emozioni semplici, personaggi vividi, piccole cose quotidiane, buone come un pasto cucinato in casa: Makanai ha proprio questo sapore, e nello sterminato e a volte artificioso buffet di Netflix è più che mai consigliato.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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