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Quando gli immigrati siamo noi

La Svizzera non imporrà quote all’assunzione di lavoratori stranieri, anche se un referendum approvato nel 2014 lo chiedeva. Tirano il fiato i tantissimi italiani che lavorano nel paese, fra cui 60 mila frontalieri italiani che varcano quotidianamente la frontiera.

E’ stata l’Unione Europea a dire no. Bruxelles si è rifiutata di derogare in qualsiasi modo alla libera circolazione delle persone (e dei lavoratori), cui la Svizzera aderisce anche se non è uno stato membro. Così, per salvare tutti gli accordi in corso con l’Unione Europea, Berna ha scelto una soluzione morbida.

Invece di imporre quote al numero dei lavoratori stranieri, come chiedeva il referendum, la Svizzera ha optato per una legge che invita i datori di lavoro ad assumere gli svizzeri prima di ricorrere agli stranieri.

Se ci saranno casi di disoccupazione superiore alla media all’interno di particolari settori economici, i datori di lavoro dovranno comunicare le offerte di lavoro agli uffici regionali di collocamento (Urc), pena una multa. I datori di lavoro saranno tenuti a valutare per primi i disoccupati iscritti all’Urc, ma non saranno obbligati ad assumerli. E non dovranno giustificarsi se sceglieranno uno straniero.

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La nuova legge federale sugli stranieri è stata approvata in via definitiva dal parlamento di Berna, suscitando le ire del partito populista Udc, che la ritiene un tradimento del referendum “contro l’immigrazione di massa” del 9 febbraio 2014, approvato dal 50,3% degli elettori.

Se non va a toccare le assunzioni dei lavoratori europei, la legge prevede però criteri più stringenti per la concessione del permesso di domicilio, tenendo conto della sicurezza, l’ordine pubblico, l’aderenza ai valori della costituzione svizzera (fra cui l’eguaglianza uomo-donna) e l’integrazione nella vita lavorativa.

La strada scelta dal parlamento di Berna non è piaciuta alla destra populista dell’Udc, primo partito svizzero. E’ “una giornata nera per il paese”, ha commentato il capogruppo dell’Udc Adrian Amstutz, che ha parlato anche di “violazione costituzionale senza precedenti”, “capitolazione davanti all’Unione Europea”, e “umiliazione per il popolo svizzero”.

Il partito sostiene che nessuna delle rivendicazioni del referendum del 9 febbraio 2014 è stata accolta dalla nuova legge e ha minacciato il lancio di un’iniziativa popolare per disdire l’accordo di libera circolazione delle persone concluso con l’Unione Europea.

Ma gli altri partiti svizzeri sostengono che non si tratta affatto di un tradimento, perché l’Udc aveva garantito ai cittadini che votare sì al referendum non significava denunciare gli accordi bilaterali con l’Unione Europea. Certo, il testo del referendum chiedeva di rinegoziare questi accordi, ma non diceva cosa bisognasse fare se l’Unione Europea si fosse rifiutata di farlo, come di fatto è avvenuto.

La vicenda svizzera viene seguita con attenzione dalla stampa britannica in chiave Brexit. L’esito del referendum in Gran Bretagna ha sicuramente pesato sulla fermezza dell’Unione Europea.

La Commissione europea ha fatto sapere che la nuova legge “sembra andare nella buona direzione”, anche se si riserva di studiarne il testo. Bruxelles nei prossimi giorni consulterà gli Stati membri, Italia compresa.

L’Italia infatti era particolarmente preoccupata per il sentimento anti-stranieri emerso in Svizzera e in particolare in Canton Ticino, dove un referendum per limitare il numero di frontalieri era stato approvato a settembre con un 58% di sì. Il testo, promosso dal partito di destra Udc e sostenuto dalla Lega dei Ticinesi, chiedeva l’obbligo di preferire gli svizzeri al momento dell’assunzione e chiedeva che quest’obbligo fosse inserito nella Costituzione Svizzera.

 

Subito l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva commentato negativamente l’esito del referendum, paventando conseguenze nei rapporti fra l’Ue e la Svizzera. Ora tutto sembra superato dalla nuova legge federale.

L’Unione Europea ha comunque avvertito che continuerà ad osservare con attenzione la maniera in cui la nuova legge verrà applicata. Insomma, non dovranno esserci discriminazioni in Svizzera contro i lavoratori dell’Unione Europea.

  • Autore articolo
    Michela Sechi
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    Kei Pritsker, regista con Michael T Workman del documentario “The Encampments”, racconta ai microfoni di Radio Popolare i retroscena della protesta studentesca pro Palestina alla Columbia University. “Gli studenti della Columbia protestano da anni per la Palestina e per ottenere che l’università dismetta gli investimenti in Israele – spiega Pritsker. L’università ha un ingente fondo di dotazione che investe in ogni sorta di attività, molte delle quali riguardano aziende produttrici di armi, aziende manifatturiere che realizzano armamenti, motori per elicotteri, bulldozer e ogni tipo di attrezzatura utilizzata in queste operazioni”. “The Encampments” fa parlare i ragazzi e le ragazze di questo movimento studentesco che dall’aprile del 2024 ha montato le tende nel giardino del Campus per chiedere trasparenza, il ritiro del denaro dagli investimenti israeliani e l’amnistia per gli studenti puniti per le proteste. “Chiunque creda ancora a questa narrativa sull’antisemitismo nel movimento per la Palestina dovrebbe semplicemente guardare il film – assicura Kei Pritsker”. Al momento “The Encampments” ha una distribuzione indipendente che lo diffonde nei cinema più coraggiosi. L'intervista di Barbara Sorrentini per la trasmissione Chassis.

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