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L’arte come resistenza. Il collettivo Ma’an che sostiene e supporta gli artisti palestinesi

Il collettivo Ma’an che sostiene e supporta gli artisti palestinesi
Dal maggio del 2023 era in corso all’Istituto del Mondo Arabo di Parigi una mostra per commemorare i 75 anni della Nakba, la catastrofe che nel 1948 ha portato all’esilio di oltre 9 cento mila palestinesi al momento della nascita dello stato di Israele. Io ero la co-commissaria della mostra per la scena artistica contemporanea. Molti degli artisti presentati, una ventina, venivano da Gaza. E poi, ad ottobre, è iniziato il genocidio. Mentre la mostra era in corso, gli artisti hanno iniziato a doversi muovere, a perdere la loro casa, a vedere l’esercito israeliano bombardare la loro casa, il loro studio, i loro archivi e a volte persino loro stessi, visto che uno degli artisti è stato ucciso dall’esercito israeliano pochi giorni dopo l’inizio del genocidio. Ci siamo quindi trovati di fronte a una sollecitazione enorme da parte loro, che si aggrappavano disperatamente al solo aiuto possibile. Noi eravamo il loro collegamento con il mondo esterno e quindi quasi tutti ci chiedevano di aiutarli a uscire da Gaza.
Quindi cosa e come avete fatto?
Abbiamo creato il collettivo e ci siamo resi conto che l’unico modo per farli uscire da Gaza era di trovare delle residenze artistiche in Francia. Quindi abbiamo iniziato a cercare delle strutture di accoglienza: strutture culturali e artistiche, musei, centri culturali, scuole d’arte, ma anche strutture accademiche come università o grandes écoles. La loro disponibilità permetteva di inserirli nelle liste del Consolato Generale di Francia a Gerusalemme, che poi organizzava le evacuazioni. Uno dei problemi è che in Francia le strutture culturali hanno pochissimi soldi e il governo attuale ha tagliato esponenzialmente i fondi. Quindi abbiamo capito subito che il nodo della questione era il finanziamento di queste residenze. Allora abbiamo aperto un crowdfunding online e, soprattutto, abbiamo stretto un accordo decisivo con il Collège de France che ha un programma chiamato PAUSE, rivolto ai ricercatori e agli artisti in pericolo. Il programma PAUSE è finanziato dal Ministero della Cultura e della Ricerca e permette, una volta trovato il 40% dello stipendio annuo di un artista, cioè 20.000 euro, che loro versino il restante 60%, cioè circa 30.000 euro. Ovviamente, 20 mila euro per una struttura culturale francese oggi sono tantissimi, ed è li che è entrata in gioco la raccolta fondi. Siamo riusciti a finanziare in questo modo 30 residenze. Per noi la cosa fondamentale è che questo sistema permette agli artisti di venire in Francia con un visto Talenti, non un visto da rifugiati. Da un lato perché mettiamo l’accento sulla dimensione dell’accoglienza e dell’integrazione di artisti estremamente competenti alla scena culturale francese. E poi perché un visto da rifugiato vieta di tornare nel paese d’origine per 10 anni mentre queste residenze durano uno due anni e poi possono decidere di tornare a Gaza o chiedere l’asilo se vogliono. Non volevamo assolutamente partecipare alla pulizia etnica che porta avanti Israele.
Chi sono queste persone?
Innanzitutto ci sono molti artisti visivi, perché Gaza è una scena molto vivace in questo senso. Poi pittori, illustratori, designer, persone che si occupano di film d’animazione. A Gaza c’è anche una bella scena cinematografica, quindi ci sono anche registi. E poi musicisti, di hip-hop e di rap soprattutto, che sono accompagnati da un’altra associazione francese. Ci siamo un po’ divisi i compiti e Ma’An è in contato soprattutto con chi si occupa di arte contemporanea e arte visiva. Uno dei primi artisti che abbiamo accolto è stato Mohamed Aboussal. Un artista che fa video, fotografia, installazioni e pittura. E lavora molto su progetti futuristi, cerca di immaginare un futuro attraverso le sue opere d’arte. Ha realizzato un’opera emblematica intitolata Una metropolitana a Gaza, in cui ha inventato una metropolitana onirica nella Striscia. Ha notato che gli abitanti di Gaza hanno una certa competenza nello scavare tunnel e si è chiesto perché non mettere questa competenza al servizio della collettività? E così ha realizzato un’intera installazione con segnaletica, mappe, biglietti della metropolitana… è un modo, ironico e sperimentale, di pensare al futuro mentre si vive un presente assolutamente sconcertante. E di mostrare ancora una volta il potere, la capacità che hanno gli artisti di immaginare orizzonti in un momento in cui il presente è drammatico.
Che progetti avete adesso?
Il nostro progetto è di accompagnare questi artisti dall’inizio alla fine. A volte quando ci contattano non hanno nemmeno un portfolio o un curriculum e li aiutiamo anche con quello. Poi, a oggi ne sono arrivati 20 ma ne aspettiamo più di una decina che sono ancora bloccati a Gaza con cui manteniamo un contatto quotidiano, per rassicurarli e ricordargli che non li lasceremo soli. E anche quando arrivano, con il contagocce, c’è tutto l’aspetto logistico e amministrativo dell’accoglienza che va seguito, oltra al supporto psicologico di cui hanno un disperato bisogno. Noi partecipiamo anche alla promozione del loro lavoro artistico promuovendo l’acquisizione delle loro opere nelle collezioni e nei musei e con mostre ed eventi culturali. I prossimi sono delle tavole rotonde, a Marsiglia e Parigi, dove gli artisti che sono testimoni diretti di questo genocidio potranno prendere la parola. Perché si parla molto di Gaza, ma si lascia parlare pochissimo la gente di Gaza.
In parallelo continuiamo il nostro lavoro. Da un mese la situazione è inimmaginabile e peggiora sempre di più, la carestia non è più un rischio ma una realtà, i bombardamenti sono incessanti e nessuna zona di Gaza è risparmiata. Abbiamo ricevuto oltre 100 richieste di aiuto. Il numero di domande aumenta esponenzialmente e noi raddoppiamo i nostri sforzi.
Perché Gaza è in corso un culturicidio, cioè un genocidio che intende colpire anche gli artisti. Proprio ieri, un altro artista è stato ucciso dall’esercito israeliano, aggiungendosi alle centinaia di artisti uccisi dall’inizio del genocidio. Lo Stato di Israele prendere intenzionalmente di mira gli artisti, allo stesso modo dei giornalisti, allo stesso modo dei medici. Cioè chiunque possa testimoniare del mancato rispetto del diritto internazionale da parte di Israele.
L’arte è un mezzo di resistenza estremamente potente. Resistenza all’occupazione israeliana, alla colonizzazione. E quindi dobbiamo preservare queste voci. Ovviamente dobbiamo preservare tutti, ma in questo caso gli artisti hanno un messaggio estremamente forte, un messaggio di resistenza e anche un messaggio di esistenza, con cui dicono: siamo artisti, siamo esseri umani e vogliamo dire al mondo che vogliamo solo vedere rispettati i nostri diritti fondamentali di giustizia, libertà e dignità.
  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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