Chi vuol capire da che parte sta Leone XIV legga il discorso che il Papa ha tenuto giovedì all’incontro mondiale dei movimenti popolari, «costruttori di solidarietà nelle diversità» come lui li ha chiamati. Di diverso rispetto a Francesco c’è la capacità di trascinare propria del papa argentino. Ma in perfetta continuità di pensiero e di cuore col predecessore Leone è convinto di dover «lottare» lui in prima persona e di schierare la Chiesa «a essere con voi [i movimenti popolari] una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa». Una Chiesa, Leone cita Francesco, convinta che «la disuguaglianza è la radice dei mali sociali». Nella povera Italia afflitta da polemiche stucchevoli tra maggioranza che attacca da destra per coprire corporativismi, rivalse, propensioni autocratiche, inefficienze e un’opposizione che rimbecca in modo simmetrico invece di porre alternative ideali e reali, dà respiro leggere le parole del Papa. Questi è di sprone quando ammonisce che «non si sta facendo ideologia, ma stiamo vivendo davvero il vangelo» se «si formano cooperative e gruppi di lavoro per sfamare gli affamati, dare riparo ai senzatetto, soccorrere i naufraghi, prendersi cura dei bambini, creare posti di lavoro, accedere alla terra e costruire case». Certo Leone ha in mente il mondo, a cominciare dalle periferie. Ma cita temi concreti che evidenziano responsabilità italiane ed europee ad esempio sui migranti: «Gli Stati hanno il diritto e il dovere di proteggere i propri confini, ma ciò dovrebbe essere bilanciato dall’obbligo morale di fornire rifugio». Inevitabile accostare nomi (Cutro, Albania, lotta alle Ong, rimpatrio di al-Maṣrī, accordi con Libia e Tunisia) a ciò che papa Prevost chiama «gravi crimini commessi e tollerati dallo Stato». Da Francesco il pontefice mutua l’appellativo di «poeti sociali» per coloro che non si limitano alla prostesa, ma invocano giustizia e gridano «per desiderio» e non «per disperazione», cercano soluzioni in una società dominata da sistemi ingiusti e non lo fanno con microprocessori o biotecnologie, ma «dal livello più elementare con la bellezza dell’artigianato». Sulla scia di Leone XIII che scrisse “cose nuove” quando c’erano in gioco «le lotte quotidiane per la sopravvivenza e la giustizia sociale» agli albori di industrializzazione e capitalismo, le Rerum novarum di Leone XIV sono superare l’«idolatria del profitto» e mettere «l’uomo e il suo sviluppo integrale al centro», riconoscere una «comune umanità», fare in modo che le “cose nuove” non siano lasciate «nelle mani delle élite politiche, scientifiche o accademiche» ma «riguardare tutti noi», secondo «etica della responsabilità» e la «la creatività di cui Dio ha dotato gli uomini». Forse in Italia ci sono uomini, donne, gruppi, movimenti che han voglia di provare ad essere “poeti sociali”, artigiani laici del far politica interna e internazionale, del rimediare a vuoti etici, del disporsi psicologicamente all’impegno in spirito di servizio per una democrazia partecipata che ascolti le “cose nuove”. La cultura della Costituzione conferma che esempi, Maestri, protagonisti e protagoniste, modi di pratica del bene comune ve ne son tanti. A risvegliarsi!


