Approfondimenti

Francia, viaggio nel Front National/2

(continua dalla prima parte)

Alla conquista delle città (1995-1999)

Da metà anni ’90 l’attenzione del Front National si rivolse al piano locale, con muscolari campagne municipali sul tema della sicurezza e del contrasto all’immigrazione, ma anche con l’obiettivo di mostrarsi come un partito di amministratori duri, efficaci e non solo un “movimento di protesta”: una nuova strategia per costruire un successo nazionale.La direttrice del radicamento elettorale maggiore partì dalla zona est del Paese: dal passo di Calais (zona di confine estremamente sensibile al tema immigrazione) all’Alsazia, alla Provenza e, più a sud, la Costa Azzurra, oltre alla periferia parigina.Nel 1995 candidati lepenisti divennero sindaci di tre importanti cittadine (Orange, Marignane e Vitrolles) per poi conquistare la guida di città più grandi come Tolone e Nizza nel 1997, rendendo il sud-est della Francia, di fatto, la zona più favorevole al FN, con punte di oltre il 30% dei voti a fronte di un risultato nazionale che nelle Legislative del 1997 toccava il 15,6%.

Le amministrazioni comunali guidate dal Front National diventeranno famose, infatti, per i corposi tagli alla spesa culturale e sociale, per le dure campagne sulla sicurezza nonchè per iniziative economiche a sostegno delle famiglie composte da soli europei.Ma uno degli elementi che più sconvolse gli osservatori fu come il FN fosse diventato il primo partito tra gli operai; dato fortemente enfatizzato dallo stesso Le Pen che, dai primi anni ’90, organizzò ogni primo Maggio a Parigi un grande corteo in ricordo di Giovanna D’Arco: un chiaro tentativo di trasformare una festa tradizionalmente simbolica per il mondo del lavoro in una adunata nazionalista.

Dal 1998 il Front National darà vita, poi, ad una sua forza sindacale (Force Nationale) che troverà significativi consensi tra i lavoratori della metropolitana di Parigi, i poliziotti e le guardie carcerarie, alla Peuget in Alsazia e nel porto di Le Havre.Nelle Elezioni Regionali del 1998, quindi, il Front National provò a presentarsi come baricentro di tutta la destra francese, tentando da una parte di attrarre i voti conservatori e dall’altra mostrandosi disponibile a formare coalizioni comuni contro i socialisti di Jospin.In quella tornata elettorale il FN prese il 15,27% ma, dato più rilevante, durante i ballottaggi contribuì dichiaratamente a far eleggere cinque presidenti di regione del partito liberale UDF: mai i lepenisti erano stati così protagonisti del gioco politico francese.Inevitabilmente fu proprio a partire da quel momento che esplose uno scontro politico interno che provocò una corposa scissione, con l’uscita di molti importanti quadri locali.A Jean Marie Le Pen rimase il “marchio” Front National, ma nelle Europee del 1999, anche per effetto della concorrenza dei suoi ex-compagni di partito (che presero il 3,8%), il voto lepenista si dimezzò, relegando il FN al 6%, un risultato che di fatto concludeva l’avanzata cominciata a metà anni ’80.La perdita di appeal del Front National fu dovuta, però, anche alla nascita di nuove formazioni politiche di destra meno radicale come, ad esempio, la coalizione Rassemblement pour la France capitanata dall’ex-ministro dell’Interno gaullista Charles Pasqua e dal cattolico tradizionalista Philippe de Villiers; gruppi che, specie sul tema della sicurezza, avevano nettamente copiato o parafrasato le proposte di Le Pen.

Dalla vetta alla polvere (2000-2007)

Dopo il tonfo del 1999 molti commentatori diedero per conclusa l’avventura politica del Front National, ma il suo combattivo segretario non si arrese e, nel silenzio dei media, provò un rilancio, rispolverando i vecchi toni anti-sistema degli anni ’80.Nel 2002 la grande sorpresa: al primo turno delle Presidenziali, complice la frammentazione del voto a sinistra, Jean Marie Le Pen arrivò secondo, dopo Jacques Chirac, con 4.800.000 voti ed una percentuale dell’16,9%;ma, cosa più importante, potè partecipare per la prima volta al ballottaggio per l’Eliseo.

Tuttavia l’onda d’indignazione pubblica ed il timore per una Francia a guida lepenista spinsero tutte le forze politiche, compresi i socialisti di Jospin, a dare indicazione di voto per il candidato conservatore, in funzione anti-Front National.Cominciò così un lento ma costante ridimensionamento dei lepenisti che, a cominciare alle Legislative del 2002 (11,3% con 2.900.000 voti), passando per le Europee del 2004 (9,8% con 1.690.000 voti) e per le Legislative del 2007 (4,3% con 1.115.000 voti), vennero sempre più relegati ai margini della vita politica francese, tornando a rappresentare solo una piccola fetta di elettorato estremista e protestatario.Lo stesso Front National si era presentato alle elezioni legislative del 2007 con slogan meno urlati, tentando di ammorbidire i toni anche sul fronte dell’immigrazione e dell’anti-liberismo.

Nel Parlamento Europeo invece il FN riuscì, per un breve periodo, a creare un suo gruppo politico (su posizioni nettamente islamofobe e razziste) mettendo insieme il Partito Liberale Austriaco (FPÖ), gli italiani Fiamma Tricolore e Forza Nuova, la destra belga del Vlaams Belang e della formazione bulgara Ataka, e intessendo buoni rapporti con i neonazisti inglesi del British National Party e con gli estremisti xenofobi dei Democratici Svedesi.

Alla rincorsa di Sarko, verso il passaggio di testimone (2008-2012)

Tuttavia questo protagonismo europeo, in Francia cominciò a farsi strada nella dirigenza del FN l’idea di una svolta d’immagine, anche per contrastare il carisma e le capacità comunicative di Nicolas Sarkozy: il vero concorrente da battere sul tema della sicurezza e del nazionalismo.Complice l’inizio della Crisi economica, il Front National prese, nelle Euopee del 2009, il 6,3%, attestandosi su 1.100.000 preferenze, ma riuscendo a mandare nel parlamento UE tre deputati, tra cui Marine Le Pen, figlia dell’anziano leader.Nonostante il cognome illustre, questa giovane avvocatessa aveva sempre ricoperto un ruolo secondario nel partito del padre, facendosi le ossa nei consigli regionali di Calais e dell’Île-de-France (dal 1998 al 2010) oltre che a Strasburgo (dal 2004). Sarà, invece, proprio Marine a prendere la guida del partito nel 2011.

Il cambio di leadership darà subito i suoi frutti, recuperando, grazie anche all’appannamento della figura di Sarkozy, parte dei sostegni persi, permettendo alla nuova segretaria di arrivare terza alle Presidenziali del 2012 con il 17,9% (6.421.000 voti).Nelle Legislative dello stesso anno, inoltre, il Front National prenderà il 13,6% con circa 3.500.000 voti.

Il successo di Marine Le Pen va cercato nell’aver saputo catalizzare il malcontento dovuto al perdurare della Crisi economica ed alle crescenti pulsioni securitarie di una parte degli strati più bassi e del ceto-medio impoverito; il tutto condito da una strategia mediatica all’avanguardia, abile anche nell’uso dei socialnetwork, attenta a usare toni netti ma non troppo feroci (arrivando a cacciare anche l’amato padre dal partito per alcune esternazioni antisemite).

L’ultima scalata (2013-2017)

Sull’onda di una popolarità crescente e di una rinnovata attenzione mediatica, il Front National a guida Marine Le Pen è riuscito a diventare il primo partito francese con un 24,86% (4.700.000 voti) nelle Euopee del 2014 e nelle Regionali del 2015, con il 27,7% e 6.000.000 di voti; il tutto in attesa delle Presidenziali del 2017.

Sicuramente la controversa gestione economica dell’ UE unita al poco carisma e ad alcune scelte impopolari del presidente socialista Hollande hanno aiutato il FN. Va detto però, che il ritorno sulla scena politica di Sarkozy (dal 2014), nonchè un rinnovato schieramento anti-LePen al secondo turno delle ultime consultazioni locali, ha sostanzialmente impedito a questo partito di conquistare le presidenze di tutte e sei le regioni in cui aveva raggiunto il ballottaggio.

L’articolo è tratto dalla serie Viaggio nell’estrema destra europea, un progetto dell’Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia, curato dal ricercatore storico e collaboratore dell’Università Statale di Milano Elia Rosati.

  • Autore articolo
    Elia Rosati
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    Lo stato dell’economia italiana. Il caso Italia è «un esempio per l’Europa», come ha scritto sul Financial Times una penna amica del governo Meloni un paio di settimane fa? Oppure – come sostiene invece Liberation (prima pagina 17 novembre ) – il governo Meloni è solo un miraggio economico? Pubblica ha ospitato l’economista Francesco Saraceno, il quale ha "spulciato" voce per voce le principali variabili dell'economia italiana: dal Pil ai prezzi, dall’occupazione ai salari, passando per la produttività, la gestione del debito pubblico e del fisco.

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