Tra Buddha e Jimi Hendrix

“We’re living in a jungle, baby” – Come gestire la rabbia e gli arrabbiati

Mai come oggi ci si insulta, manda al diavolo, giudica. Le persone si feriscono l’una con l’altra per il semplice gusto di farlo. Succede a scuola, sul posto di lavoro, nei rapporti di coppia oppure in famiglia, il luogo sicuro dove ci sentiamo più protetti. E questo presente che ci vuole connessi e in vetrina H24 di certo non aiuta.
Le persone passano ore con il muso sullo schermo del telefono o sul PC, in competizioni con gli altri per apparire più belli, di successo, risolti.
E allora scaricano la propria frustrazione sugli altri, spesso su chi gli è più vicino: il partner, il figlio, il collega, l’amico del cuore. A volte invece lo fanno semplicemente per sfogare lo stress e la tensione del momento, una valvola di sfogo come andare a fare una corsa e cento vasche in piscina. Offendono come ti volessero ammazzare e poi dopo due minuti fanno come se niente fosse. La leggenda racconta, per fare un esempio, che il grande Miles Davis venisse spesso preso da improvvisi attacchi d’ora, salvo dimenticare tutto appena sbollita l’incazzatura. Si dice che una volta licenziò un facchino perché riteneva non camminasse a tempo.
Sia quel che sia il motivo degli insulti “a gratis” fare da pungiball, che che ne dicano i cinici, non è per niente divertente.
“We’re living in a jungle, baby” cantava compiaciuto Axl Rose, ma essere vittime di questa giungla è divertente solo in certi film o nel video della bella canzone dei Guns N’Roses, non certo nella vita vera. Perché, diciamo la verità, essere pungiball della rabbia repressa delle persone a noi vicine è frustrante come ascoltare i Pink Floyd con uno stereo dalle casse gracchianti. Alla lunga ti esaspera.
Essere costretti a subire insulti e cattiverie a ogni piê sospinto alla fine finisce per farci del male, per quanto forti e distaccati ci sforziamo di essere. Perdiamo sicurezza in noi stessi, in quello che crediamo, a volte persino nel nostro posto in questo spicchio di universo.
Quindi serve consapevolezza e una visione chiara, a prova di insulti. Se ci troviamo in questa situazione dobbiamo innanzi tutto realizzare chiaramente che: le persone luminose e centrate vogliono che lo siano anche gli altri. Le persone tormentate e irrisolte, spesso, sperano che anche chi gli sta vicino stia male.
Se stai bene, in pace col mondo, l’ultima cosa che vuoi è litigare o fare male a qualcuno. Anzi vorresti che tutti fossero del tuo identico umore.
Quindi chi insulta, offende, grida, usa le parole come un’arma è una persona che sta male. Ecco, realizzare questo aspetto aiuta a ribaltare la prospettiva e ci mette in una posizione di forza.
Quando te ne rendi conto, si ribaltano le gerarchie: la persona forte, quella che è in una posizione di forza e stabilità sei tu e quindi puoi gestire una guerra che, alla fine, non ti riguarda perché è solo fra chi ti insulta e la sua rabbia. Quindi puoi non dargli importanza e andare avanti. Certo, lo so, ci vuole una pazienza da santi, la stessa che serve per ascoltare un pomeriggio intero lo stesso disco dei Dreams Theather, ma può funzionare.
E magari, se proprio vi trasformate in un Gandhi di questi anni, riuscirete anche ad aiutare l’aggressore di turno, che spesso, lo abbiamo già detto, è una persona a voi molto vicina.
E comunque, che si riesca a tendere la mano o meno, si riesce a perdonare, non dargli peso e andare avanti con la nostra vita.
Si racconta che un pomeriggio il Buddha stava parlando davanti a una folla di persone quando un uomo si avvicinò e cominciò a insultarlo dicendogli cose terribili e molto offensive.
Il Buddha lo ignoro completamente restando immobile e in silenzio, finché l’uomo esasperato se ne andò.
A quel punto uno dei discepoli, parecchio turbato, chiese al Buddha perché si fosse fatto insultare in quel modo senza reagire.

Il Buddha sorridendo rispose: “Se io ti regalo un cavallo e tu non lo accetti, di chi è il cavallo?”.
“Se io non lo accettassi, il cavallo continuerebbe ad essere vostro, maestro” rispose il discepolo.

Il messaggio del Buddha è che, nonostante alcuni decidano di perdere il loro tempo gettandoci addosso la loro frustrazione, noi possiamo scegliere di non accettare le loro parole o meno, come faremmo con un regalo qualsiasi.
Così il veleno resterà a marcire nella bocca di chi insulta.
E, nel frattempo, canticchiare il testo dell’immortale “Poison” di Alice Cooper, forse, potrà aiutarci

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    A oltre un mese dall’annuncio del cessate il fuoco nella striscia di Gaza, le autorità israeliane stanno ancora commettendo il crimine di genocidio nei confronti della popolazione palestinese. Un nuovo rapporto di Amnesty International, che contiene un’analisi giuridica del genocidio in atto e testimonianze di abitanti della Striscia di Gaza e di personale medico e umanitario, evidenzia come Israele stia continuando a sottoporre deliberatamente la popolazione della Striscia a condizioni di vita volte a provocare la sua distruzione fisica, senza alcun segnale di un cambiamento nelle loro intenzioni. Martina Stefanoni ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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