Appunti sulla mondialità

Tempesta sull’Europa

La tempesta perfetta che, dalla pandemia in poi, si è abbattuta sul mondo costerà all’economia globale circa 2.800 miliardi di dollari. Secondo le proiezioni OCSE rilasciate a fine settembre, a causa del conflitto in Ucraina, dell’inflazione, dell’impennata dei prezzi delle materie prime e della stretta delle banche centrali si perderà il 2% del PIL mondiale. A tutti questi problemi si va ad aggiungere la strozzatura della catena mondiale di rifornimenti di manufatti e semilavorati causata dall’insistenza della Cina nelle sue politiche “zero Covid”, come se ancora fossimo nella prima fase della pandemia. D’altra parte, la corsa galoppante degli Stati verso l’indebitamento ha raggiunto quota 300 trilioni di dollari, il 351% del PIL mondiale. Se una volta erano i Paesi emergenti quelli più esposti, ora l’epicentro della crisi debitoria è l’Europa, che sta pagando il caro energia come nessun’altra area al mondo. Sull’inflazione, tolti i “campioni” Argentina e Turchia, vicini al 100% annuo, troviamo in testa l’Eurozona con la media dell’8,8%.

Questi dati raccontano più cose insieme. Innanzitutto evidenziano le fratture che negli ultimi anni si sono create all’interno delle catene mondiali di valore: il mondo globalizzato, con la sua divisione internazionale del lavoro, è entrato in crisi; pandemia, conflitti e cambiamento climatico hanno provocato strozzature, carestie e scarsità di materie prime, aumenti spropositati dei combustibili fossili, dell’energia e dei derivati, come i fertilizzanti. La globalizzazione, si è detto più volte in questi mesi, non sarà mai più uguale a prima; ma poco si sa di come si ristabilizzeranno i rapporti tra Paesi che ormai sono parte integrante di un’economia-mondo, e che da soli non potranno certo conservare il proprio status. È questo il caso dell’Europa, potenza dalle mille dipendenze: dipendenza energetica, dipendenza alimentare, dipendenza industriale, dipendenza dal lavoro immigrato. Di fatto l’Europa, grande potenza culturale ed economica, deve buona parte del suo benessere a rapporti di dipendenza nei confronti del resto del mondo. Fu infatti il colonialismo a consentire il protagonismo militare e finanziario di un continente piuttosto povero di risorse. In seguito la globalizzazione, impostata dagli Stati Uniti, ha permesso all’Europa di continuare a governare il proprio mercato combinando la protezione dei propri settori strategici con delocalizzazioni e aperture liberiste laddove la convenienza era più tangibile.

Oggi quello schema è saltato e, per la prima volta da molto tempo, si tocca con mano il peso reale delle varie dipendenze. Di conseguenza emergono tutte le differenze tra l’Europa e le altre potenze mondiali. Sulle materie prime strategiche, ad esempio, l’Europa non ha mai reagito al progressivo passaggio dei minerali africani e sudamericani sotto controllo cinese: l’Africa, che per l’Europa è solo un problema legato all’immigrazione, è stata interpretata dalla Cina come un’occasione, la maggiore opportunità per arrivare a controllare i mercati mondiali. Gli Stati Uniti hanno perseguito ostinatamente politiche finalizzate a raggiungere l’indipendenza energetica; tra mille polemiche e scempi ambientali, ciò ha permesso a Washington, già da qualche anno, di non dovere più sottostare ai ricatti mediorientali. Nel frattempo, l’Unione Europea non è riuscita nemmeno a darsi una politica comune sull’acquisto del gas.

La morale di questa situazione è che oggi solo le potenze di grande calibro, e cioè Stati Uniti e Cina, riescono a gestire una politica globale e a mettersi al riparo dalle pesanti crisi in corso, mentre per i Paesi del Vecchio Continente, che singolarmente nel panorama globale sono dei nani, l’unica soluzione sarebbe quella di accelerare la costruzione di un soggetto politico europeo. Ma questo resta un tema tabù perché la politica locale crede ancora, o almeno finge di credere, che da soli si possa avere un futuro.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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