Mia cara Olympe

Meloni, Lollobrigida: intanto le donne…

Confesso: aggiungere il proprio granello di indignazione e protesta a commento delle parole del ministro Lollobrigida sulla ‘sostituzione etnica’, deplorare l’uscita della premier Meloni che dice ‘prima (degli immigrati, dei neri, degli e delle ‘altre’, ndr) facciamo lavorare le donne’ che daranno alla luce, nella sua visione, italianissime e italianissimi neonati, suona quasi inutile. Ogni giorno infatti il nuovo governo per bocca di uno dei suoi esponenti, dà ampia materia di reazione e preoccupazione mostrandosi addirittura peggiore di ciò che avevamo cupamente immaginato prima delle elezioni. Lo fa su ogni capitolo e con un sottotesto culturale chiarissimo: l’immigrazione oggi tornata ad essere nel loro dire ‘invasione’, la creazione costante di nuovi reati mentre si picconano i diritti, l’interpretazione securitaria di ogni fenomeno sociale cui la risposta è solo il carcere – non ce ne fosse già abbastanza – per non parlare dell’economia e del lavoro, del ritardo sul Pnrr, degli annunci bandierina come il ponte sullo stretto eccetera eccetera.

Funziona, dal punto di vista della propaganda, questo linguaggio? Contamina di sé, delle proprie istanze razziste ed escludenti, ‘brutali’ come dice giustamente Romano Prodi, un paese stanco, sfiduciato, ripiegato su una quotidianità complicata che, in una certa ma non piccola parte, ha messo in soffitta come inutile arnese l’architrave antifascista su cui si è edificato? Altera, nella coscienza collettiva, la gerarchia dei reali problemi, funzionando come un’arma di distrazione di massa? Più che una risposta a questa domanda ho molti timori e per questo aggiungo il mio sassolino sulla manifesta strumentalità di un ragionamento come quello di Meloni che contrappone le donne ai migranti, in una chiave natalista e identitaria che non solo va culturalmente respinta, ma che non tiene conto della realtà di questo paese e quella più larga del mondo. Basta entrare nelle classi e nelle case, basta vedere la vita quotidiana delle donne, chiedersi perché molte non lavorano e perché non fanno figli o ne fanno uno solo, tardi e a fatica. Perché ci sono i migranti o perché il lavoro è mediamente povero e precario? Perché siamo ‘invasi’ o perché quel lavoro, quegli stipendi, quella mancanza di prospettive non consentono di reggere il peso – economico e psicologico – di un lavoro di cura che continua ad essere talmente un problema privato che trovare un posto all’asilo nido è meglio che vincere alla lotteria? “Sono uscite le graduatorie dei nidi e io sono al settimo cielo” ha scritto su Facebook Angelica Vasile, consigliera comunale del Pd a Milano, tra le ‘fortunate’ a trovare un posto per suo figlio, mentre 3800 famiglie non possono dire altrettanto. E ciò vale dove almeno i nidi ci sono, anche se non bastano: inutile o utile ripetere che ci sono due Italie e non è un caso se soprattutto al sud è in atto un silenzioso sciopero delle donne che porta ad una divaricazione forte tra il desiderio di figli e quelli che effettivamente nascono, per la prima volta sotto i 400 mila l’anno? Mentre facciamo guerra ad un’immigrazione che non solo non si può fermare ma di cui abbiamo molto bisogno e che andrebbe gestita nella direzione di un benvenuto allargamento della cittadinanza, mentre usiamo il basso tasso di occupazione femminile come arma di esclusione e contrapposizione e comunque declinato al fine praticamente esclusivo della natalità e non come tema centrale di autonomia e crescita individuale e collettiva, la vita delle donne – italiane e straniere – è un costante arrabattarsi nel tenere insieme i pezzi di una società che invecchia, che chiede sempre più cura e non trova serie risposte pubbliche né per gli anziani, né per i piccoli. Ognuna con la sua sfida quotidiana, ognuna spesso sola o comunque con un maggior carico sulle spalle per condizioni materiali e culturali, ognuna a cercare di farcela: altro che ‘invasione’, altro che ‘sostituzione etnica’, altro che ‘riserva inutilizzata’…

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    1) “Il mondo non deve lasciarsi ingannare: a Gaza il genocidio non è finito”. Il nuovo rapporto di Amnesty International ci chiede di non voltare la faccia dall’altra parte. (Riccardo Noury - Amnesty Italia) 2) Negligenza e corruzione. Cosa c’è dietro l’incendio del complesso residenziale di Hong Kong costato la vita a decine di persone. (Ilaria Maria Sala, giornalista e scrittrice) 3) Stati Uniti, l’attacco di Washington potrà avere effetti a lungo termine sulle politiche migratorie dell’amministrazione Trump e sulla vita di migliaia di migranti. (Roberto Festa) 4) Francia, dall’estate 2026 torna il servizio militare volontario. Il presidente Macron ha annunciato oggi quello che sembra più che altro un segnale politico e strategico. (Francesco Giorgini) 5) Spagna, una marea di studenti e professori in piazza a Madrid contro i tagli alle università pubbliche. La regione della capitale, guidata dalla destra, è quella che spende meno per gli studenti in tutto il paese. (Giulio Maria Piantedosi) 6) World Music. Entre Ilhas, l’album che celebra diversità e affinità musicali degli arcipelaghi della Macaronesia. (Marcello Lorrai)

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    A Gaza il genocidio non è finito

    A oltre un mese dall’annuncio del cessate il fuoco nella striscia di Gaza, le autorità israeliane stanno ancora commettendo il crimine di genocidio nei confronti della popolazione palestinese. Un nuovo rapporto di Amnesty International, che contiene un’analisi giuridica del genocidio in atto e testimonianze di abitanti della Striscia di Gaza e di personale medico e umanitario, evidenzia come Israele stia continuando a sottoporre deliberatamente la popolazione della Striscia a condizioni di vita volte a provocare la sua distruzione fisica, senza alcun segnale di un cambiamento nelle loro intenzioni. Martina Stefanoni ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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