A scuola oggi abbiamo ripetuto gli articoli, non quelli dei giornali, no, quelli di grammatica. E tra una considerazione e l’altra, mi è venuto in mente che forse proprio lì, in quelle innocue paroline di poche lettere, si nasconde la chiave per capire, per raccontare, per nominare il dolore del mondo. E per risolvere una questione una volta per tutte.
Facciamola semplice:
– facciamo che “IL genocidio” è l’Olocausto. Non per una questione di classifica, che già l’idea di fare una “top ten dei genocidi” è una roba che manco certi programmi televisivi del pomeriggio, ma perché, storicamente e simbolicamente, l’Olocausto è diventato “IL” riferimento assoluto. Quello che quando lo pronunci, tutti capiscono, non fosse altro per l’incontestabile dato oggettivo relativo al numero di vittime. Insomma, anche per l’Unicum del suo carattere di indicibile e bestiale programmaticità, il più grande di sempre.
– tutti gli altri, invece (quello degli armeni, dei bosniaci, dei tutsi, e oggi dei palestinesi a Gaza) li chiamiamo per quello che sono: “UN genocidio”.
Perché lo dice la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” del 1948, che stabilisce che, perché si parli di “genocidio”, bisogna che ci siano:
1) degli atti materiali: uccidere, infliggere gravi danni fisici o mentali, creare condizioni di vita insostenibili, impedire nascite o deportare bambini, e
2) l’intento specifico, cioè la volontà di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale.
Vedete, in questa definizione non si fa menzione alcuna al numero di vittime. Quindi a Gaza è inequivocabilmente “genocidio”, punto, non c’è bisogno che questo sia numericamente superiore a una certa soglia per poterlo definire tale. Tanto che la Corte Penale Internazionale ha emanato riconosciuto il genocidio di Srebrenica con “sole” 9 mila vittime, perché il concetto giuridico di “genocidio” esula dal numero di vittime.
Sì, lo so, a vederla da un punto di vista strettamente giuridico, la Corte Internazionale di Giustizia (CIJ), invece, su Gaza non ha ancora stabilito se si tratti di genocidio o no (la causa è in corso); ma a gennaio 2024 ha riconosciuto che le accuse non sono “manifestamente infondate”, e ha imposto misure cautelari a Israele per prevenire atti di genocidio. Di più: un rapporto di Amnesty International afferma che ci sono prove di atti vietati dalla “Convenzione sul genocidio”, e che esiste lo “specific intent” (l’intento specifico) di distruggere parte del gruppo dei palestinesi a Gaza. Un altro rapporto di OHCHR (United Nations Human Rights Office), una commissione indipendente delle Nazioni Unite, ha concluso che ci sono atti che possono essere classificati come genocidio. E infine Btselem, organizzazione per i diritti umani israeliana, ha pubblicato un documento in cui definisce la situazione a Gaza come “genocidio” sulla base di prove e dichiarazioni.
E allora, facciamo una volta tanto che la grammatica ci semplifichi la vita, invece di complicarcela. L’Olocausto resta “IL genocidio” il maggiore di tutti; ma Gaza, oggi, è “UN genocidio”. E non serve altro per decidere che deve finire. Subito.
Poi, se volete, chiamatelo pure “GIANPIPPO”. Purché finisca. L’importante non è l’etichetta, ma fermarlo. Fermare lui, Netanyahu.
“IL criminale” Netanyahu.