Appunti sulla mondialità

L’avanzata degli uomini forti

In Myanmar, il 24 maggio Aung San Suu Kyi è tornata per la prima volta ad apparire in pubblico dopo il colpo di Stato del 1° febbraio, giorno in cui è stata arrestata. Anche se in una situazione surreale, in qualità cioè di imputata con l’accusa di avere favorito un enorme broglio elettorale. Formalmente, infatti, i militari birmani non hanno compiuto un golpe per rovesciare un governo uscito nettamente vincitore dalle libere elezioni di novembre. Non hanno agito perché timorosi di perdere il malloppo conquistato nella precedente dittatura, mettendo le mani sulle miniere e su aziende di ogni tipo. Hanno agito invece per “tutelare la legalità”, come ha dichiarato U Thein Soe, presidente nominato dalla giunta militare al vertice della Commissione elettorale: la Commissione potrebbe perfino sciogliere la Lega Nazionale per la Democrazia, il partito di San Suu Kyi, che ha trionfato alle ultime elezioni.

I militari birmani, secondo l’auto-narrazione, sarebbero i giustizieri che vegliano sulla democrazia nel Paese, colpendo solo chi gioca sporco. Non sono certo gli unici dittatori che dichiarano di agire per il bene e la tutela di una democrazia a rischio. Ciò dimostra come i regimi sappiano che l’idea di democrazia è più forte di loro: nessuno può o vuole più qualificarsi come dittatore. Al limite si presentano come “uomini della provvidenza”, che permetteranno al popolo di godere appieno della democrazia una volta superata una qualsiasi emergenza, vera o presunta. Ovviamente ci sono sfumature che contraddistinguono le specifiche situazioni. Le tipologie di regime sono infatti innumerevoli. Si va da quelli che creano una “bolla” nella quale gli ignari cittadini si ritrovano chiusi, come in Corea del Nord, a quelli che avvelenano oppositori e uccidono giornalisti, ma inscenano processi elettorali apparentemente “puliti”, come in Russia, fino all’uso delle tecnologie più evolute per il controllo dei cittadini, dai filtri web al riconoscimento facciale, magari alternate al classico “pugno duro”, come accade in Cina. Nessuno di questi governi si considera un regime, ma si presenta come portatore di un certo tipo particolare di democrazia.

Quando un autocrate come il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka arriva a ordinare di dirottare un volo di linea di una compagnia occidentale per arrestare un suo oppositore, e ci riesce, siamo di fronte a un segnale chiaro: la pandemia ha molto accelerato il processo di involuzione della democrazia a livello globale. Il totalitarismo nelle sue cinquanta sfumature avanza ovunque, dal Myanmar al Mali, dalla Bielorussia al Nicaragua, dalla Turchia all’Ungheria. La risposta prodotta dallo sparuto gruppo di Paesi dove vige una democrazia compiuta è di solo ripudio verbale, e poco più. Anche perché i regimi hanno studiato a lungo i punti deboli dei loro avversari, e uno dei più evidenti è il terrore suscitato dall’arrivo di flussi migratori. Molti Paesi guidati da autocrazie o regimi hanno “fatto scorta” di profughi e migranti e ora li sfruttano per negoziare aiuti e omertà. Libia, Marocco, Turchia usano come una clava i profughi che dai loro territori vorrebbero entrare in Europa. Così possono continuare a raccontarsi non solo come Paesi democratici, ma addirittura come alleati dei Paesi di più antica democrazia, che li onorano dei loro aiuti.

Sono brutti tempi questi, perché il distinguo tra libertà e oppressione diviene sempre più sfumato. E, soprattutto, perché l’interdipendenza è una regola della globalizzazione che ormai prescinde dal tipo di governo alla guida dei singoli Stati. Democrazie e dittature sono reciprocamente utili, e anzi non possono fare a meno le une delle altri, e questo, alla lunga, favorisce chi è più forte.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Ci si può suicidare sotto effetto di cocaina? Gli esperti sentiti per questa puntata dicono di no: la quantità di sostanza presente nel sangue del ragazzo non è compatibile con il suicidio. Questo, secondo la famiglia Mattarelli, è uno dei tanti errori commessi nelle indagini. Il più grave, però,sarebbe stato commesso dal medico legale chiamato dalla procura. Su queste basi l'avvocato dei familiari tenta di opporsi alla richiesta di archiviazione. "Simone" è un podcast scritto, prodotto e finanziato da Stefano Vergine. È disponibile gratuitamente anche sulle principali piattaforme audio e su YouTube. Per segnalazioni: https://www.instagram.com/stefano.vergine/

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