Appunti sulla mondialità

La solita vecchia storia

L’entusiasmo del Parlamento Europeo che, in nome della lotta al cambiamento climatico, sta decidendo lo stop alla vendita di auto a combustibili fossili a partire dal 2035 non fa i conti con la realtà dell’estrazione e della lavorazione delle materie prime necessarie per costruire le batterie, parte essenziale dell’elettrico. Materie prime che si trovano in pochi luoghi al mondo, con punte del 50% per le riserve globali di cobalto concentrate in un unico Paese, la Repubblica Democratica del Congo. Va poco diversamente per il litio: oltre metà di quello disponibile sulla Terra si trova nella regione sudamericana a cavallo tra Cile, Argentina e Bolivia. Altri tre Stati – Turchia, Brasile e Cina – si spartiscono il 70% delle riserve di grafite, mentre quattro Paesi – Sudafrica, Ucraina, Australia e lo stesso Brasile – possiedono tre quarti del manganese presente sul pianeta.

Visti i pochi fornitori, tra l’altro non sempre esenti dal rischio di conflitti, il primo punto debole di questo mercato emergente è la sicurezza dei rifornimenti. Poi si pone il tema della sostenibilità economica locale dello sfruttamento delle risorse: per questi minerali, quasi tutto il valore aggiunto della lavorazione va a beneficio di Paesi diversi da quelli di estrazione. Clamoroso è il caso della Repubblica Democratica del Congo, il cui cobalto  viene lavorato e raffinato al 100% all’estero, ma lo stesso accade per gran parte del litio sudamericano.

Ugualmente gigantesco è il problema delle ricadute ambientali e sociali delle attività estrattive. Il 25% del cobalto fornito dal Congo proviene da miniere “artigianali”, nelle quali, secondo Amnesty International, lavorano persone in stato di semi-schiavitù; mentre per l’estrazione del litio cileno, boliviano e argentino si usa la tecnica detta “della salamoia”, che consuma grandi quantitativi di acqua in ecosistemi desertici, ambienti tra i più secchi al mondo, andando quindi ad esaurire le acque sotterranee, inquinando le poche falde superstiti e obbligando i pastori che tradizionalmente vivono in quella regione ad abbandonare le proprie terre.

Se proiettiamo nel futuro questi problemi già presenti, moltiplicandoli alla luce dei 250 milioni di auto che oggi circolano in Europa e che, tra 20 anni o poco più, dovrebbero essere sostituiti da veicoli elettrici, otteniamo una situazione ingestibile. Ma dobbiamo aggiungere ancora un’altra criticità, rispetto al cambiamento climatico: e cioè considerare da quale fonte si ricava l’elettricità che dovrà alimentare un numero enorme di mezzi. In Cina e India, Paesi dove la rivoluzione delle macchine elettriche è iniziata, rimane fondamentale il carbone. In misura limitata il carbone continua a essere usato perfino in Europa, ma nel nostro continente, soprattutto in Italia e Spagna, per generare energia elettrica si usano enormi quantità di gas naturale. Per far fronte all’aumento della domanda di elettricità, la rete di distribuzione dovrà essere rinnovata e la produzione rapidamente potenziata, ma ciò avverrà senza che sulle rinnovabili siano stati elaborati piani di sviluppo concreti, che richiedono investimenti parametrati alle necessità.

Sono questi i nodi irrisolti della tanto annunciata “rivoluzione verde europea”. Più ideologica che realistica e, anzi, spesso campata per aria rispetto alle reali disponibilità di materie prime. Soprattutto, volutamente ignara del fatto che questa rivoluzione ambientalista e smart è destinata ad alimentarsi con i soliti meccanismi di sfruttamento della terra e delle persone. Materie prime a basso costo, violazione dei diritti sociali e umani, distruzione ambientale, fuga di agricoltori e pastori, valore aggiunto spostato sulla trasformazione. Non c’è nulla di moderno in tutto ciò. È una storia che ogni volta viene narrata diversamente, ma che in fondo rimane sempre la stessa.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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