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La retorica del buon padre di famiglia ha stufato

Era da molto tempo che volevo parlare di questa questione ma non ne avevo ancora trovato né il modo né il tempo. Le parole di Matteo Salvini dopo il suo rinvio a giudizio per la vicenda della nave della Ong spagnola Open Arms me ne danno ora l’occasione. Sono veramente stufo di sentire politici che quando parlano del loro operato dicono di essere “buoni padri di famiglia”.

Il segretario della Lega, nella conferenza stampa che ha tenuto appena dopo la decisione dei giudici, ha sgranato (quasi come il rosario che ogni tanto tiene tra le mani) la solita tiritera cui ci ha abituato da tempo: i giudici politicizzati, la magistratura rossa (manco fosse Silvio Berlusconi), il suo vittimismo, il suo ruolo di vero difensore della patria (per lui rigorosamente con la P maiuscola) e altre amenità simili.

Poi, la trita retorica del buon padre di famiglia. Lui che adesso deve spiegare ai suoi figli che non andrà in galera e che li potrà portare ancora al parco et similia. E che le scelte che lui fa come politico e amministratore le fa “da buon padre di famiglia”.

Ecco, la retorica del buon padre di famiglia ha rotto il cazzo. Perché mai un buon padre di famiglia dovrebbe necessariamente essere anche un buon politico e amministratore? Che c’azzeccano le due cose?

Eppure sembra che questa retorica piaccia, soprattutto ai politici leghisti. Nella mia attività giornalistica e nella mia militanza politica ho incontrato sindaci, assessori o consiglieri comunali (quasi sempre del Carroccio) che narrano orgogliosi a ogni piè sospinto che loro sono dei bravi padri di famiglia, che le scelte che fanno sono guidate dallo “spirito del buon padre di famiglia”, che la pubblica amministrazione va guidata “facendo scelte che farebbe un qualsiasi buon padre di famiglia”. Poi magari non sanno nemmeno come i loro figli vanno a scuola, o non li portano a giocare al parchetto perché impegnati in uscite clandestine con le loro amanti. Ma queste sono questioni che riguardano la loro vita personale, in cui non voglio mettere il becco.

Ma perché un politico, per essere un bravo politico, deve per forza essere un bravo padre di famiglia? I maschi eterosessuali single, senza figli (per scelta o per avverse condizioni) non possono essere dei bravi amministratori?

I maschi omosessuali (che magari sarebbero anche buoni padri di famiglia, ma anche solo per essere padri devono fare i salti mortali perché quegli stessi bravi padri di famiglia non approvano leggi che potrebbero permetterglielo) non possono essere in grado di guidare un comune?

E le donne? Le donne etero forse, nella mentalità dei “bravi padri di famiglia”, devono essere solo “brave madri di famiglia” e non possono neanche lontanamente pensare di essere politiche o amministratrici. Per non parlare di quelle lesbiche, che manco buone madri di famiglia possono essere nella mentalità bigotta dei buoni padri di famiglia.

Credo che la categoria del “buon padre di famiglia” non sia una categoria della politica. A me non interessa che il mio sindaco, o il mio parlamentare, o il mio presidente di regione sia un bravo padre di famiglia.

Mi piacerebbe che prendesse decisioni che io condivido, che vadano nella direzione di una società più giusta, che provi a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali tra i cittadini. Pretese utopiche di questi tempi, ma almeno vorrei che fosse un bravo politico e amministratore. Che sappia quello che fa, che conosca le leggi, che porti avanti provvedimenti che ha studiato (scritti bene e corretti anche da un punto di vista formale magari).

Che motivasse politicamente le scelte che fa, senza far ricorso ogni due per tre alla retorica del buon padre di famiglia. Chiedo gentilmente per il futuro che mi venga risparmiata la stucchevole lezione su quanto il mio sindaco, il mio parlamentare, il mio presidente di regione sia un bravo padre di famiglia.

Perché la retorica del buon padre di famiglia ha sinceramente (scusate il francesismo) rotto il cazzo.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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