Appunti sulla mondialità

Il fallimento delle sanzioni alla Russia

Quella che, dopo l’invasione dell’Ucraina, doveva essere l’arma più potente in mano all’Occidente per piegare la Russia si è dimostrata un flop. A distanza di due anni dall’inizio della guerra, infatti, possiamo dire che le sanzioni economiche varate contro Mosca non hanno funzionato: e questo perché le sanzioni, misura efficace in altri periodi storici, non sono adatte ai nostri tempi. Per dare risultati concreti, infatti, richiedono un vasto consenso internazionale, difficile da ottenere oggi attorno a una questione dall’enorme impatto come la rottura dei legami economici con la Russia. Eppure, le potenze occidentali non hanno nemmeno cercato di costruire consenso: erano convinte che sarebbero state spontaneamente seguite dal resto del mondo, e proprio questa valutazione errata si è dimostrata decisiva per il fallimento.

Il “fronte delle sanzioni” è composto essenzialmente dall’Europa occidentale, da Stati Uniti, Canada, Australia, Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Paesi importanti, che generano più o meno il 55% del PIL mondiale. Considerando che la Russia vale da sola il 2% circa dell’economia globale, il punto è che si può vivere bene anche facendo affari solo con il restante 43% generato da Paesi quali Cina, India e Brasile, dall’intera Africa e dalla maggior parte degli Stati asiatici.

Secondo i dati economici, nel 2023 è stata l’industria bellica a trainare l’economia russa, che nel 2024, prevede il FMI, dovrebbe crescere del 2,4%, più dell’Italia. La spesa militare, diventata il fulcro dell’economia, quest’anno supererà quella per il welfare, raggiungendo il 6% del PIL, percentuale inferiore solo a quella dall’Arabia Saudita. La disoccupazione, al 2,9%, è ai minimi storici, complici anche l’arruolamento di moltissimi giovani e l’abbandono del Paese da parte di centinaia di migliaia di lavoratori qualificati allo scoppio della guerra. Per il 2024 si prospetta una crescita del 3,5% del comparto industriale e dell’11% delle entrate per la vendita di gas e petrolio. L’inflazione dovrebbe scendere al 4,5%, dopo che la Banca centrale ha alzato i tassi d’interesse fino al 15%, e i conti dello Stato sono in ordine, anche grazie a quanto fatto in questo campo prima del conflitto. Intanto, Mosca è diventata una fornitrice chiave di energia per India e Cina, di fertilizzanti per il Sudamerica e di armi per l’Africa: molto meno occidentale, insomma, e molto più organica ai BRICS, rispetto a tre anni fa. La situazione attuale della Russia dimostra come l’economia dei Paesi “emergenti” abbia raggiunto un peso tale da permettere a una potenza di sopravvivere anche senza relazioni commerciali con le economie occidentali.

Ovviamente il quadro non è solo positivo, anzi. Il gigantesco trasferimento di risorse verso l’industria bellica è stato compiuto a discapito delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici, della manutenzione delle infrastrutture e dell’edilizia, di fatto bloccata. La Russia è oggi un regime a tutti gli effetti, senza libertà politica né di stampa, un Paese dominato dalla propaganda governativa e dove vige la leva obbligatoria per andare in guerra. Ma la sua economia non è crollata e il regime pare essere più forte che mai: l’alibi della guerra, iniziata da Mosca, è servito per aggiornare e potenziare il sistema bellico, in attesa di nuove sfide come quella che si annuncia a breve sul Mediterraneo, dove la Russia sta negoziando l’apertura di una base navale in territorio libico. L’Unione Europea, che è stata la prima ad applicare sanzioni economiche e fornire aiuti militari a Kiev, non è riuscita a formulare nemmeno un’ipotesi di pace tra i contendenti, puntando solo al crollo del regime del Cremlino, più volte annunciato come imminente ma sempre smentito dai fatti. E presto Bruxelles rischia di ritrovarsi con il proverbiale cerino in mano, visto il probabilissimo disimpegno statunitense in caso di vittoria di Donald Trump. E così le ipotesi di pace, finora rifiutate e spesso derise, avanzate in questi due anni da pochi Paesi quali il Brasile, la Cina e il Vaticano diventano più che mai attuali. Se sul piano militare il conflitto è in stallo, se le sanzioni alla Russia non hanno effetti, se gli Stati Uniti decidono di tirarsi fuori, non resta che lavorare per una pace giusta e veloce. Il che vuol dire che dovranno essere prese in considerazione le ragioni di entrambe le parti, piacciano o meno. La pace siglata in base a una visione unilaterale è quella che segue i conflitti vinti nettamente sul campo, ma in Ucraina le armi non sono in grado di far prevalere nessuna delle forze in gioco. Possono solo farci perdere tutti.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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