Mia cara Olympe

Genova 20 anni dopo e una ragazza timida e ferita

Come tanti, ho rivissuto Genova dopo 20 anni. Ho ricordato. Letture, discussioni pubbliche e private,  analisi, confronti hanno lasciato molte scie da riprendere. (Consiglio tra i libri: Genova per chi non c’era a cura di Angelo Miotto  e Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco dedicato all’esperienza, poco conosciuta e rimossa, del femminismo al G8, che, entrambi, stabiliscono un utile e intelligente dialogo intergenerazionale).

Quando pensavo fosse finita – il calendario corre e i media seguono l’agenda –  stamattina sono stata trasportata nel tempo. Ed è stata una cosa inattesa che mi ha colto nel mezzo di normali faccende e violenta. Radio Popolare ha ritrasmesso la cronaca tanto convulsa quanto giornalisticamente impeccabile dell’irruzione alla Diaz: ‘Non lavate il sangue’, ‘Don’t clean up the Blood’ si scrisse dopo sui muri della scuola e titolò il settimanale – si chiamava Diario – in cui allora lavoravo. Non chiamatela irruzione, dissero subito i cronisti della radio riascoltati stamattina: è un’operazione  pianificata di polizia, è il Sudamerica, siamo a 22 feriti, uno parla inglese e lo hanno bastonato in testa, l’Agi già dice che sono 40, (furono più di 90, a bilancio concluso) c’è sangue, urla, dentro hanno distrutto tutto (computer, centro stampa, macchine fotografiche) la polizia fa cordone e le ambulanze caricano una dopo l’altra le barelle.

La storia nel suo farsi, insomma, mi ha colpito di nuovo con forza, come allora. E mi ha fatto chiedere se qualcuno dei tanti che a Genova sono stati attaccati, bastonati, arrestati, feriti sia riuscito, in questi 20 anni, a ricucire un rapporto con lo Stato che non sia irrimediabilmente segnato da quei giorni. Non collettivamente e neanche sul piano dell’esercizio della critica, ma ad un livello più personale, più istintivo: come ti fermi davanti ad un controllo di polizia, come ti rapporti con chi porta una divisa, se hai rancore e paura. C’è una microstoria dell’esperienza individuale che si fa dello Stato, della sua potestà sulle vite e della sua forza che spesso viene ignorata, ma che è fondamentale per capire le diseguaglianze tra noi tutti: lo sanno benissimo i neri che vengono fermati e controllati cento volte più di frequente dei bianchi, i ragazzi dei quartieri, i territori  che vivono lo Stato come assente o solo controllante, lo sanno i detenuti, i poveri, chi sta in quelli che definiamo margini in cui i diritti basilari sono chimera.  È una microstoria che conferisce mille sfumature a quella che chiamiamo legalità.
A distanza di 20 anni  mi sono chiesta, riascoltando la cronaca di quelle ore furenti, come sta oggi la ragazza che dopo  qualche giorno era venuta in redazione e si era timidamente tirata un po’ giù i pantaloni per farci vedere e fotografare le lesioni da manganello. Parlammo a lungo, poi pubblicammo in accordo con lei la foto delle sue natiche, il giornalismo può essere attento alle vite, se e quando vuole. Mi chiedo se quella ragazza che ricordo giovanissima e terribilmente colpita non solo nel corpo abbia ritrovato un pizzico dell’enorme fiducia in quella cosa che si chiama democrazia che l’aveva condotta a Genova, da cittadina libera di esprimere la propria protesta e le proprie idee. Non ne sono così sicura, ed è una perdita secca.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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    Nubi sull'università italiana: si moltiplicano le adesioni alle università private telematiche, mentre alle statali il governo Meloni taglia i fondi. Ospite l'economista Gianfranco Viesti. E poi, il caso Raiplay Sound, la censura nei confronti di un podcast – prima autorizzato e poi annullato - sulla storia di Margherita Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse. A Pubblica Nicola Attadio, uno degli autori insieme al giornalista Paolo Morando e al musicista Matteo Portelli.

    Pubblica - 17-12-2025

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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    MARCO POLITI - LA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA - presentato da Michele Migone

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