Il Presepe quest’anno lo si fa a Gaza, non a Greccio. In chiese, tv, mercatini di Natale, super store ci si appresta a intonare: «Tu scendi dalle stelle, / o Re del cielo, / e vieni in una grotta al freddo e al gelo». Freddo e gelo sono a Gaza oggi; nella Striscia sono morti assiderati quattro bambini di pochi giorni. E non si sa di quale salute fisica e psicologica godranno in futuro le migliaia di piccoli gazawi: l’Onu ha denunciato che 4 su 5 sono denutriti, tutti traumatizzati. Ha scritto Ezechiele (36, 26): «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne».
La voce del profeta non risuona nei canti di Natale, tanto meno nei riti consumistici (ultimi regali, cenone) o nella socialità. La politica anzi da noi vara una finanziaria che penalizza quelle e quelli che potrebbero essere i pastori d’un presepe odierno: milioni di poveri (bambini i più colpiti), malati che non si posson curare, lavoratori sfruttati e sottopagati, giovani precari, donne, pensionati. Ha detto nella catechesi prenatalizia Leone XIV: «Non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore». E ha specificato: «Nel cuore si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti delle terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione delle creazioni di Dio».
Invece di dare rilievo al dirompente richiamo (Robert Prevost è vicario di Cristo, ma anche americano dalle visioni opposte a Trump) i media si son soffermati su Leone che soffrirebbe di insonnia e la notte studia tedesco; quanto a Gaza, da dove nelle stesse ore venivano notizie di morte, hanno mostrato le immagini del devastante alluvione e dell’inaudito freddo (vittime, tende spazzate via, fango, fame) evidenziando l’inclemenza del tempo meno le responsabilità nel disastro dell’esercito occupante che usa limitazioni all’ingresso di aiuti nella Striscia come arma di pressione, di guerra.
Notizia ultima: dal 1° gennaio scatteranno altre restrizioni per le Ong a cominciare da Save the Children. Oggi a Gaza e di lì nel mondo o Natale è il Natale del cuore che da pietra si fa carne o è retorica, inganno, business, speculazioni immobiliari, indifferenza dei “Paesi civili”, doppiogiochismo tipo quello della destra meloniana: si invita Abu Mazen ad Atreju ma non si riconosce la Palestina e si finisce per colludere con Netanyahu che alla vigilia di Natale vota nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania così da impedire i “Due popoli, due Stati” e premere per l’esodo in massa da Gaza. Leone XIV, monaco di formazione, si misura col profondo dell’umanità oltreché con la fede e offre l’icona del «cuore inquieto» del “suo” Agostino come esempio di via che cambia il Natale, sé stessi, le cose e schiude spiragli alla speranza.
Ecco: Buon Natale 2025 è augurare un “cuore inquieto”, cuore che non si arrende al male, riflette, cerca un senso all’oggi, alla storia e al futuro, si scalda, si scioglie; il «cuore inquieto» s’appassiona, trasforma punti di vista, atteggiamenti e prassi, si rimbocca le maniche, s’avvia sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico, partecipa all’attesa fiduciosa che gli angeli annuncino ancora una volta pace «agli uomini amati dal Signore», la salvezza promessa da un Bambino nato «al freddo e al gelo» duemila anni fa ma capace di dare a chi l’accoglie spirito e forza che trasformano i cuori diacci e di pietra in cuori inquieti di carne, di vita, di cielo.

