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Gaza Cola, un simbolo di libertà per il popolo palestinese. L’intervista a Osama Qashoo

Gaza Cola

Dopo l’annuncio dell’accordo per il cessate il fuoco a Gaza, la popolazione è scesa in strada a festeggiare. Fino alla sua effettiva entrata in vigore, resta una notizia da prendere con cautela. Comunque andrà, però, per i Gazawi inizia ora un’altra fase, altrettanto dura. La ricostruzione della striscia e delle proprie vite. Per questo ora più che mai è importante sostenere i progetti che cercano di aiutare la popolazione. La Gaza Cola è uno di questi. Una versione della Coca Cola che – come dice lo slogan del suo inventore – “puoi bere senza sensi di colpa per il genocidio”. La Coca Cola, infatti, gestisce stabilimenti nell’insediamento industriale israeliano di Atarot, nella Gerusalemme Est occupata, e si è trovata ad affrontare un nuovo boicottaggio a partire dal 7 ottobre.

Martina Stefanoni ha intervistato il creatore della Gaza Cola, Osama Qashoo. Attivista e regista palestinese che vive a Londra, dove ci è arrivato da rifugiato dopo essere stato costretto a fuggire dalla Palestina.

“Gaza Cola è un progetto del popolo palestinese che sta subendo un genocidio pagato da corporazioni e grandi aziende. Ed è anche un progetto per guardare negli occhi questo grande gigante e dire ad alta voce che noi, i più poveri e i più deboli, possiamo fare qualcosa per cambiare le cose. Il potere può spostarsi e finire nelle mani dei deboli per una volta. Perché i potenti ci temono. Se ci temono, significa che siamo forti. Ma vogliono che noi ci sentiamo deboli. Quindi questo piccolo progetto di una bibita frizzante è un esempio di come possiamo trasmettere la nostra voce attraverso una lattina. Una piccola storia con un piccolo simbolo, un simbolo di libertà, e un piccolo contributo che può essere fatto e utilizzato da chiunque stia organizzando un matrimonio, una festa di compleanno, mangiando un panino, una pizza, qualsiasi cosa. Può essere molto simbolica, e allo stesso tempo potente e accessibile a tutti. Non deve essere un grande contributo, non devi andare a una manifestazione, non devi iscriverti per fare una donazione. Semplicemente ti godi la tua bibita frizzante e contribuisci a fare qualcosa di meglio che distruggere, ma anzi, costruire. Io lo chiamo un piccolo cavallo di troia, un cavallo di libertà che porta un messaggio e atterrerà, si spera, ovunque nel mondo con una bandiera palestinese e il nome Gaza”.

Come e quanto hai avuto l’idea la prima volta?

Io sono palestinese e sono sempre stato alla ricerca di idee. Abbiamo tanti altri progetti, su come aiutare le persone in Palestina. Abbiamo pensato tanto – e stiamo ancora pensando – a cosa fare. L’idea dei drink era nella nostra mente fin dall’inizio, fin da novembre dell’anno scorso. Ma, sapete, la teoria è una cosa la pratica un’altra. Quindi si è poi evoluta lentamente, fino al punto in cui sta nascendo ora, e sta venendo presa in considerazione da diverse comunità in tutto il mondo.

Dove si può comprare la Gaza Cola?

Sono molto contento di dirvi che molto presto sarà in Italia. Arriverà in Italia tra meno di due settimane e sarà distribuita in tutte le regioni d’Italia. Ho una famiglia italiana molto numerosa che ci sostiene molto, e sono stati con noi di Gaza Cola fin dal primo giorno. Penso che Gaza Cola, avrà una storia molto bella e anche in Italia diventerà un piccolo cavallo di libertà.

Il vostro obiettivo è usare i profitti della Gaza Cola per ricostruire un ospedale a Gaza, giusto?

Si, dobbiamo avere una missione nella vita, piccoli passi. Non possiamo dire che risolveremo ogni singolo problema. Non lo stiamo facendo e non lo sto dicendo. Ma abbiamo scelto di collaborare con un ospedale a me molto, molto caro, chiamato Al-Karama Dignity Hospital. È molto piccolo e quindi gestibile. Aveva 100 dipendenti che lavoravano e aiutavano 300.000 persone nel nord della Striscia di Gaza. Ed è stato decimato. Questo ospedale si occupava principalmente di donne incinte e bambini malati di cancro. Quindi è anche molto significativo.
Stiamo collaborando con loro, con il Dignity Hospital che è stato distrutto. Sapete quanti ospedali sono stati distrutti a Gaza? Non c’è un ospedale che non sia stato colpito. E proprio la scorsa settimana hanno bruciato uno degli ultimi ospedali rimasti in piedi nel nord. Stanno uccidendo le infrastrutture, stanno uccidendo le pietre e stanno uccidendo gli alberi. E stanno facendo pulizia etnica su base giornaliera. Quindi la nostra missione è di provare a salvare quelle 300.000 persone nel nord della Striscia di Gaza ricostruendo l’ospedale. Ma ovviamente, come sapete, portare materiale a Gaza è impossibile.
Ma noi siamo sognatori. Ci è concesso sognare.
Quindi insieme alla gente sul campo agiamo quotidianamente come se dovessimo ricostruire l’ospedale domani. I ragazzi sul campo ora, stanno raccogliendo le macerie di questo ospedale, le stanno separando e riciclando. Separano il cemento dal ferro, dalle pietre. Stanno recuperando alcuni dei letti ancora intrappolati sotto le macerie. E si stanno preparando mentalmente e fisicamente. Hanno formato una squadra di ricostruzione. Hanno un ingegnere e hanno fatto un progetto. Non abbiamo un grammo di cemento, ma stiamo costruendo nella nostra immaginazione. E non ci sono confini. Non c’è nessuno che possa impedirti di migrare nella tua immaginazione dove puoi realizzare i tuoi sogni e puoi essere libero. Sappiamo farlo molto bene in Palestina perché è l’unica cosa che non sono riusciti a confiscarci. La nostra immaginazione è selvaggia e grande e orgogliosa e provocatoria ed evocativa e loquace.
Ed è molto resiliente e resistente. Ed è piena di storie di giustizia e libertà. Le nostre rughe e le nostre pietre raccontano storie di migliaia e migliaia di anni fa.

Perché pensi che il boicottaggio sia importante nel contesto di questo genocidio?

Sfortunatamente tutto ora riguarda i soldi. La guerra è un business molto redditizio, crea un sacco di soldi. Dalla distruzione, devi avere la costruzione e la costruzione costerà soldi. Contratti, tutto si baserà su quanto e chi otterrà i contratti. E questo gioco di soldi sta facendo fare profitti alle grandi corporazioni che alimentano l’industria manifatturiera delle armi e contribuiscono al genocidio.
Quindi dobbiamo combatterli. È una guerra finanziaria e dobbiamo combatterli a quel livello. E ricordate cosa è successo in Sudafrica, per esempio. L’apartheid in Sudafrica è stato sconfitto solo e soltanto usando sanzioni economiche. Dobbiamo farci sentire da queste aziende che finanziano il genocidio e lo possiamo fare con questa semplice libera scelta di non dar loro i nostri soldi.

Hai amici e parenti a Gaza? E come stanno?

Sì. Purtroppo, riceviamo quotidianamente notizie di persone morte. Stiamo diventando insensibili a queste notizie. Perdiamo ricordi quotidianamente.
Sentiamo solo storie diverse su come muoiono. Alcuni di loro sono stati bruciati vivi. Alcuni sono stati massacrati. Altri sono stati sepolti e non sappiamo dove si trovi il corpo. Alcuni sono morti di fame, altri di freddo. Sono storie dell’orrore. Io ho un figlio adottivo che è stato ucciso circa sette mesi fa in West Bank. E non sappiamo dove sia il suo corpo. Ho passato due mesi a impazzire solo per una risposta. È vivo o morto? Possiamo vedere il suo corpo come prova che è morto? Possiamo avere un posto dove possa riposare e dove possiamo andare a trovarlo? Riesci a immaginare il trauma che subiamo ogni giorno? Ma dobbiamo comunque continuare con la nostra vita e guadagnarci da vivere ed essere creativi perché ci rifiutiamo di essere trasformati in animali. Stiamo vivendo questa situazione da molto tempo, da più di un anno ormai e il conto continua. E vediamo sui social i video dei soldati che si divertono a uccidere, che si vantano, che usano i giocattoli dei bambini, la biancheria intima delle donne.
E noi dobbiamo osservare, assorbire, guardare e difendere l’assassino. Non ha senso. Sapete cosa è successo durante l’Olocausto? L’Europa ha detto che se avesse saputo cosa stava succedendo, sarebbe intervenuta prima.
Io come posso spiegarlo ai miei figli? Questo genocidio lo vediamo su ogni singolo social media, viene trasmesso in diretta. E dobbiamo ancora vivere fingendo di preoccuparci dell’ambiente, della democrazia, dell’uguaglianza e dei diritti umani. Dai. Questo è solo uno schiaffo in faccia a noi come razza umana.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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