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    Il dilemma libico tra processo politico e guerra. Intervista con Farid Adly e Alessandro Colombo.

    A cura di:

    Raffaele Liguori

    «L'obiettivo è stabilizzare la Libia». Parola del ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni, in un'intervista oggi al Corriere della Sera. Stabilizzare, stabilizzazione. E' una complessa, complicata, rete di operazioni (politiche e diplomatiche) per cercare di dare una forma istituzionale e di governo alla Libia. Il premier designato libico Fayez Al Serraj non si è ancora insediato a Tripoli. A lui si è arrivati dopo una lunga trattativa, durata un anno e mezzo, tra il Congresso Nazionale di Tripoli e il Parlamento di Tobruk. La stabilizzazione della Libia, con l'atteso insediamento del governo di unità nazionale, appare come l'unica alternativa concreta ad una guerra, ad un intervento militare. Perché? E' lo stesso Gentiloni a spiegarlo. «L'Italia, insieme ai partner internazionali e regionali – dice il ministro degli esteri al Corriere - sostiene la determinazione del governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Serraj di installarsi a Tripoli”. L'obiettivo è dunque stabilizzare il paese. «Tutto questo deve avvenire – prosegue Gentiloni - in tempi ragionevoli, altrimenti si rischia di far prevalere l'impostazione di chi sostiene che stabilizzare la Libia è una chimera e quindi bisogna far partire una campagna aerea massiccia contro le postazioni jihadiste». Attenzione, sembra dire Gentiloni, occorre fare in fretta con il governo di unità nazionale altrimenti arriveranno i bombardieri. Della Libia sull'orlo del dilemma tra opzione politica ed opzione bellica Memos ne ha parlato oggi con il nostro Farid Adly e Alessandro Colombo, ordinario di relazioni internazionali all'Università degli Studi di Milano.

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