
«Chi vive nell’ombra della morte non può vedere la luce del sole o del giorno». Lo scrive Ambrogio che a Milano battezzò Agostino al culmine di una grave crisi esistenziale. Brillante e ambizioso intellettuale inseguiva agi, successo, potere alla corte imperiale ma aveva scoperto d’essere invece alla ricerca di verità, amore, assoluto. Convertito Agostino tornò nella sua Africa, Algeria oggi; a Ippona fondò un monastero, si fece prete, fu acclamato vescovo. Leone XIV ha tenuto a dire subito d’essere un religioso agostiniano. Presentandosi alla folla ha detto: io son questo. Fare e programmi applicano chi si è. Nel cuore vivono ombre o luce; ci si ritrova o ci si perde. Di fronte a un mondo che sembra rassegnato al buio della morte (Terra Santa, Kiev, Mediterraneo, incidenti sul lavoro, giovani di coltelli e pistole, donne che con la vita pagano la libertà) Leone XIV propone «il buon pastore che ha dato la vita», Cristo Risorto che ha sconfitto le tenebre e portato la luce. Il vangelo è conversione dei cuori, non riforme sociali o equilibri internazionali. Alla Chiesa non spetta la geopolitica. Acciaccata in uomini, finanze, strutture resiste dopo 2000 anni in quanto testimonia che cambiare è partire da sé; così si fa storia e il Papa può rassicurare: «camminare insieme», andare avanti «senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi» e risultar credibile, attraente per milioni di persone. L’icona del ponte è la “profezia” di Robert Prevost. Il ponte di Agostino lega due realtà: la dimensione personale, introspettiva di chi in onestà cerca la via, lotta nel «segreto del cuore», riconosce d’esser lui primo «avversario» di sé e degli altri; e Gesù che rende realistico non solo per i cristiani l’annuncio di passione, morte, Resurrezione. Il ponte fa possibile la pace «disarmata e disarmante, umile e perseverante». La pace è dei cuori; vivendo bene se n’è testimoni. Esser missionari come il Papa, amare poveri d’America Latina, Gaza, del mondo, migranti, dialogare è giocare la vita sulla speranza che «il male non prevarrà» (Leone XIV) perché dentro di noi non glielo consentiamo: noi siam ponti. Poi se ne posson costruire con altri, incontrarsi, gridare ai potenti: «Mai più la guerra». Basta!