Tra Buddha e Jimi Hendrix

Vi racconto di Bruce Springsteen, Alan Watts e la depressione

Se dovessi pensare a una playlist che mi ricordi i periodi gioiosi eppure complicati della prima adolescenza, parlo del lasso di tempo che va, diciamo, dalla prima alla terza media, una delle prime canzoni che inserirei sarebbe certamente “I’m On Fire” di Bruce Springsteen. Un pezzo breve, appena tre minuti, ma che dice tutto quello che deve dire. I’m on fire, sto bruciando, che sia d’amore per una ragazza o della voglia di sbranare la vita poco importa, visto che a quell’età le due cose spesso coincidono. Un inno sussurrato e caldo alle passioni e alla giovinezza.

Nel video il boss è al top. Sta aggiustando una macchina quando una sventola misteriosa in abito elegante entra in officina e, wow, la temperatura sale. Bello, rassicurante ma anche gentiluomo, Bruce è il classico ragazzo della working class destinato a far strada, quello che tutti vogliono essere. L’uomo che balla sorridente persino nel buio, come nel video di “Dancing in The Dark” , o mette a posto l’America guerrafondaia nel celebre inno “Born in The USA”. Che canzone, e che disco quello, a partire dall’iconica copertina, con Springsteen di schiena fasciato nei suoi Levi’s aderenti e nell’immancabile t-shirt bianca mentre sullo sfondo troneggia la bandiera americana. Quella canzone allora piacque così tanto al presidente Reagan che decise di utilizzarla per la propria campagna elettorale, pensando fosse un inno patriotico scritto da un repubblicano come lui. Peccato che Springsteen è sempre stato di altre idee politiche e difatti gli negò il diritto di usare la canzone, con grande sorpresa dei repubblicani che speravano di aver finalmente trovato un artista credibile a rappresentarli sul palco. Un boss anche consapevole, come ha dimostrato percorrendo le “strade di Philadelphia”, canzone con cui vinse l’Oscar e quattro Grammy, un boss che ha continuato a mostrare al mondo la propria ispirazione in oltre quarant’anni di carriera, fra dischi di successo, canzoni in top ten e concerti sold out in tutto il mondo. Se a tutto ciò aggiungiamo la bellissima storia d’amore con la cantante Patti Scialpa, che va avanti da trent’anni e ha portato alla nascita di tre figli; consideriamo il fatto che passata la boa dei settanta il boss ha un fisico da ragazzino; e concludiamo prendendo atto che Springsteen è un artista miliardario e un’icona vivente pluri premiata che ha venduto circa 120 milioni di copie nel mondo e ad ogni suo live, come minimo, accorrono 50mila persone a sentirlo, beh, parrebbe legittimo desumere la sua vita sia una lunga carrellata di soddisfazioni e gioia che si alimenta da sola anno dopo anno. Tutti vorrebbero essere Bruce Springsteen, non è così?

“Se avessi i soldi, sarei sempre felice, altro che balle”; quante volte lo abbiamo sentito dire al bar, vicini alla macchina del caffè in fabbrica, al mercato o nelle chiacchiere tra vicini?

E ancora: “Venissi riconosciuto per quello che valgo me la godrei alla grande”. Oppure: “Avessi qualcuno che mi ama e mi apprezza veramente sarei finalmente appagato, non mi servirebbe altro” .

Ebbene, Bruce Springsteen tutte queste cose ce l’ha, e alla millesima potenza.

Eppure qualche anno fa se n’è venuto fuori con una notizia sconvolgente: da tanti anni lotta contro una gravissima forma di depressione! Sì, avete capito bene. Nonostante dimostri 10 anni di meno, sia circondato dall’amore dei fans, viva una relazione affettiva stabile e abbia un conto in banca da far impallidire Zio Paperone, Springsteen qualche anno fa ha raccontato, senza lesinare i dettagli, la sua lunga battaglia contro il male oscuro del nostro tempo, un’onda nera e fangosa che lo ha letteralmente travolto.

“Sono rimasto schiacciato tra i 60 ed i 62 anni, poi un anno è andato bene ma ci sono stato di nuovo dentro dai 63 ai 64” ha dichiarato il Boss.

Springsteen ha riferito che la moglie Patti ha “potuto osservare il deragliamento di un treno merci” durante il suo periodo di malattia mentale cominciato nel 2012, ai tempi dell’album “Wrecking Ball”.

Depressione a parte, e a dispetto dell’aspetto perennemente sorridente, Springsteen ha sempre faticato a tenere a bada le insidie della mente, vittima di una spiccata sensibilità e del desiderio di non deludere i tanti che in lui hanno sempre visto l’eroe popolare che racconta le storie degli underdogs. E questa pressione, unita a un difficile rapporto con il padre Douglas – come racconta l’amico e compagno di band Stevie Van Zandt nel suo bellissimo libro “Memoir – La mia Oddissea fra Rock e Passioni non Corrisposte” – l’ha portato a 40 anni di analisi.

Ma la depressione è stata qualcosa di decisamente più pesante, un avversario spietato che ha messo Bruce in un angolo. “Quest’uomo ha bisogno di una pillola” ha urlato la moglie quando l’ha portato dai dottori.

Adesso fermiamoci un attimo.

La storia del Boss cosa ci dice?

Beh, tante cose in realtà.

La prima: soldi, fama, affetto e successo non garantiscono la serenità. I mistici avevano ragione nel sostenere che inferno e paradiso sono dentro di noi e che la mente umana è un ingranaggio in perenne ricerca di appagamento.

La seconda: quando gli scompensi chimici nel nostro cervello arrivano a certi livelli, il ricorso alla terapia farmacologica è quasi inevitabile. Per questo bisognerebbe cercare di prevenire ogni possibile scherzetto della mente, soprattutto quando si è predisposti.

Sì, ma come?

Beh, intanto cominciando ad abitare il tempo presente.

Laozi diceva che “Se sei depresso, stai vivendo nel passato. Se sei ansioso, stai vivendo nel futuro. Se sei in pace, stai vivendo nel presente”.

Poi si dovrebbe accettare la propria sofferenza senza eccessive recriminazioni, come si fa quando arriva un forte acquazzone inaspettato. Non è che quando piove ne facciamo un fatto personale con il cielo, giusto? Lo accettiamo e basta, consci del fatto che prima o poi tornerà il sole. Ecco, con la nostra infelicità l’approccio dovrebbe essere lo stesso. Accettare e accettarsi.

Il grande filosofo e mistico inglese Alan Watts ha saputo spiegare forse meglio di tutti questo concetto: “L’uomo vive la sua vita grazie allo stesso potere con cui la vita vive l’uomo. L’accettazione totale è una chiave per la libertà, è insieme attività e passività; come passività è accettare noi stessi, i nostri desideri e le nostre paure come movimenti della vita, della natura e dell’inconscio; come attività è lasciare noi stessi liberi di essere quello che siamo, con i nostri desideri e le nostre paure. Questo sentimento di interezza è possibile averlo non solo in rari momenti di intuizione, ma anche nella vita di ogni giorno e ciò avviene non appena ci rendiamo conto che tutte le nostre attività sono attività della natura e dell’universo tanto quanto l’orbitare dei pianeti, lo scorrere dell’acqua, il ruggire del tuono e il soffiare del vento.”

Alla fine, come mi disse il Professor Giulio Cesare Giacobbe – psicologo e docente universitario che per 40 anni ha curato i propri pazienti utilizzando le filosofia orientali – la strada verso la serenità è molto semplice: accettare quello che c’è e non cercare quello che non c’è. E mentre lo si fa, ma questo lo aggiungo io, cantare a squarciagola: “And we’ll walk in the sun But ‘til then, tramps like us Baby, we were born to run”.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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