Tra Buddha e Jimi Hendrix

L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale: 10 anni senza Lucio Dalla

Lucio Dalla è stato uno dei più grandi artisti partoriti dal nostro paese negli ultimi 70 anni.
Ne adoravo la musica, l’ironia, le contraddizioni, la gioia di vivere e lo sconfinato amore verso ogni forma di bellezza. Insomma mi ritengo un suo fan, ancor più oggi che sono dieci anni esatti che se n’è andato.
Condivise queste indiscutibili premesse, sono comunque costretto a rivelarvi un altrettanto indiscutibile verità: il buon Lucio, ovviamente in modo del tutto involontario, mi ha quasi distrutto la carriera!
È capitato qualche giorno dopo la sua morte quando la casa editrice con la quale pubblicavo allora mi chiese di scrivere un istant book sull’opera del cantautore bolognese. Secondo le loro proiezioni di vendita, se mi sbrigavo, avremmo avuto fra le mani un best seller. E ci credevano tutti, dalla Grande Distribuzione ai librai, tanto che la prima tiratura si trovava ovunque e in enormi quantità. Pure se andavi a comprare il pane potevi imbatterti in una copia del libro, che spuntava fiera da dietro lo sfilatino all’olio che tanto ci piace.
Sfortunatamente la nostra monografia sull’autore di “Caruso” (insieme al sottoscritto firmò il volume l’amico Episch Porzioni) si rivelò commercialmente un disastro e vendette un decimo di quanto previsto. Un crollo talmente rumoroso che l’editore ci mise quasi 2 anni a uscire dal coma indotto. Non so il perché di tale debacle, probabilmente un insieme di fattori: uno scrittore non all’altezza (moi), una copertina poco incisiva, la crisi galoppante. Boh, vai a sapere. Quello che resta è solo la freddezza dei dati.
Eppure di quella full immersion nel mondo di Lucio conservo un ricordo splendido, che ancora oggi mi scalda il cuore. Vivevo nella mia alcova d’artista, avevo appena conosciuto mio moglie Daria, mi nutrivo delle squisite lasagne al forno della rosticceria sotto casa e andavo a letto quando le persone normali uscivano per andare al lavoro. Uno spasso impensabile oggi che sono un ultraquarantenne con chiassosi bimbi al seguito. E spassoso fu immergersi nella vita generosa, libera e dalla visione a 360° di Lucio Dalla.
Un artista complesso ma non complicato, che ha vissuto godendo della vita ogni singolo giorno, cercando di raccontare il mondo attraverso la musica senza dire mai troppo di sé. E non perché avesse chissà quali segreti da custodire, semplicemente perché riteneva il raccontare con dovizia di particolari determinati aspetti ‘personali’ fosse di una noia e di una banalità mortali. E per uno come lui, amante del paradosso e professore d’ironia a tutto tondo, spesso il silenzio risultava la più chiassosa delle burle contro il classificatore esistenziale con cui tutti noi, volenti o nolenti, siamo costretti a fare i conti. Anche perché a riempire quel silenzio c’erano la sua musica e i suoi testi che, un poco offuscati dall’immaginario del proprio creatore, alla fine lo raccontavano meglio di qualsiasi intervista.
Lucio Dalla del vissuto di questa nostra strana società è stato un fotografo preciso e attento, ma sempre mantenendo gli occhi di un bambino e il passo di un viandante curioso. Un genio inclassificabile, una creatura umana che ha saputo sorseggiare il nettare della vita come il più esperto dei sommelier e poi centellinarla, sorso dopo sorso, sotto forma di canzone.
Nella sua musica fluivano la curiosità dell’edonista innamorato dell’arte di vivere, la sensibilità del poeta, l’improvvisazione del jazzista, la complessità del viaggiatore e i vizi e i difetti dell’italiano medio. Il tutto frullato in una ricercata salsa popolare nata sotto il segno del tricolore. Alla fine è stato Lucio ad insegnarci che, alla resa dei conti, “L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.
Nei suoi sessantanove anni di vita meno tre giorni, Lucio Dalla ha mangiato e bevuto bene. Ha amato ed è stato amato tanto. Ha visto e si è fatto vedere dal mondo. E ha fatto arte, con poesia, ironia, candore, spazio. Lucio ha vissuto con fame sana, fino all’ultimo valzer di quella brutta mattinata a Montreux.
Quindi in alto i calici per il re dello scat, il cantore delle Tremiti, l’imbonitore a colpi di gramellot, il maestro del lirismo carusesco. Lucio Dalla si è tristemente spento dieci anni fa ma un segno nella storia della musica di questo paese l’ha indiscutibilmente lasciato. Quest’oggi ascoltiamone tutti la musica, profonda e gioiosa, possibilmente a luci spente per ricordarlo che intanto… il cielo c’è…

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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