Tra Buddha e Jimi Hendrix

Di viaggi, monasteri buddhisti sul Lago Maggiore e lama dal cuore grande

Albagnano, frazione di Bee, provincia di Verbania. Sono quasi le otto di sera. Piena estate. Dietro di me la fitta vegetazione e i monti. Davanti, giù a valle, il Lago Maggiore. Sulla destra, in fondo a un vialetto protetto da una fila di statue del Buddha che spuntano da cespugli fioriti un particolare impossibile da ignorare: un tempio buddista tibetano. Ha la porta dorata e tutta l’intensità tipica di quegli incredibili colori giallo ocra e rosso scuro. Avete presente “Sette anni in Tibet?”. 
Lo gestisce Lama Michel Rimpoche, un lama brasiliano quarantatreenne dal cuore profondo. Il centro si chiama Lana Gangchen Meditation Center, ed è dedicato a Lama Gangchen, un monaco tibetano che è stato maestro di Lama Michel e pare abbia fatto un gran bene da queste parti. Alla sua stupa ho visto gente prostrarsi commossa come di fronte a un amico e a un maestro al quale si vuole un sacco bene.
C’è una strana energia qui intorno, e poi sembra davvero di essere in Tibet. Da uscirne pazzi, lo so. Eppure è tutto vero. Sto cenando, minestrone di verdure, humus di ceci e riso. La gente parla sottovoce, vedo pochissimi telefonini e nessuno che squilla. È difficile capire chi lavori al centro, chi sia un volontario e chi un semplice ospite. Sono tutti mescolati e non ci sono divise a delineare contorni e tracciare identità. Anche gli idiomi sono tanti e mescolati. Ci sono inglesi, spagnoli, brasiliani ma scorgo anche qualche tibetano.
Dopo cena, passeggio per il centro, e con il buio tutto qua intorno paradossalmente si fa ancora più luminoso, suggestivo, affascinante.
Marcantonio, quasi per tutti Toni, arriva verso le 10, quando sono già in stanza. È una settimana che siamo in giro insieme per registrare le interviste del documentario. 65 anni, una vaga somiglianza all’attore Robert Downey Junior, Toni è un apprezzato regista teatrale che, di malavoglia, ogni tanto si è prestato alla televisione. Nel suo curriculum ci sono alcune puntate di “La Squadra”, “Un Posto al Sole” e “Vivere”. Altro dettaglio divertente di Toni è che in teoria sarebbe un nobile, sua mamma è una Cesarini Sforza, ma lui ha rinunciato al titolo quando, negli anni Settanta, ha deciso di scegliere il marxismo e la sinistra extraparlamentare.
Distrutti da giorni e giorni a destra e sinistra, sveniamo ciascuno nel proprio letto, pronti alla meditazione di domani mattina con Lama Michel. Inizio previsto alle sette in punto.

Se fuori il tempio appare affascinante, dentro è addirittura incredibile; c’è tutta una storia dietro le statue del Buddha colorate e le varie raffigurazioni sul muro, una storia che riguarda i cinque elementi o qualcosa del genere, ma faccio una gran fatica a capirli tutti, nonostante Gabriella me le spieghi con tutta la cura e l’attenzione possibile.
Siciliana ma nata a Torino, conosce Lama Michel da quasi trent’anni, da quando era un piccolo e promettente discepolo di Lama Gangchen. All’epoca Gabriella stava attraversando un periodo di confusione, aveva vent’anni e la mente inquieta. Decise di partire e tirò una moneta. Testa Messico, croce India. Uscí croce e la sua vita cambiò. In Nepal incontrò Lama Gangchen e capí che aveva trovato il suo maestro. Qualche tempo dopo conobbe anche questo ragazzino prodigio con la mente limpida come un torrente di montagna. Era Lama Michel. 
Mi perdo nei racconti di Gabriella mentre camminiamo lungo un sentiero stretto, protetto da una lunga fila di ortensie fino allo stupa dedicato a Lama Gangchen. Lí riposano le sue membra mortali, insieme ad alcune reliquie tipiche della tradizione. Il tutto nell’attesa che lo stato italiano autorizzi la cremazione nello stile tibetano, come consueto per un lama di tale lignaggio.
Giriamo un paio di scene vicino allo stupa, mentre il sole caldo inizia a farsi sentire ripenso alla meditazione di stamattina col Lama. È stato qualcosa di diverso dal solito, che ha coinvolto vari aspetti, dal controllo della respirazione ai mantra, fino all’esecuzione di alcune mudra. Quella che si fa qui non è solo una sessione di meditazione ma anche un processo guidato di vera e propria autoguarigione, un aspetto pregnante dell’opera di Lama Ganghen, che oggi Lama Michel porta avanti con attenzione.
L’intervista con lui è fissata subito dopo pranzo. Saluto Gabriella, finisco di registrare le mie parti video con Toni e poi mi perdo a visitare il centro. È incredibile come da un agriturismo in disuso e tanti ettari incolti, in pochi anni sia nato tutto questo. Ci sono diverse stanze per gli ospiti, una sala ristorante, un bar, un centro per i trattamenti di guarigione, uno shop con i libri dei vari Lama e diversi oggetti di arte tibetana. Compro un piccolo porta candele a forma di loto, alcune immagini sacre, tra cui l’ipnotica Tara Verde, e “Il mio nome è Gindala”, il memoir di Franco Ceccarelli sulla sua vita al fianco di Lama Gangchen. Mi bastano cinque righe lette di corsa in piedi per capire che quel libro mi lascerà qualcosa.
Dopo pranzo, alla reception incontro Cinzia, che è stato il mio primo gancio con il centro. Fu lei, qualche anno fa, a chiamarmi dopo che avevo mandato una copia del mio “Intervista col Buddha” a Lama Michel. E da lì si aprí il contatto che oggi ci ha portato qui.
Sono venuto a contatto con il messaggio di LM all’inizio del 2019, imbattendomi in uno dei suoi illuminanti video su internet. Da allora è diventato una presenza costante nella mia vita: le notti trascorse nel mio letto ad ascoltare in cuffia i suoi discorsi mentre moglie e bimbi dormono si sono trasformate in una piacevolissima consuetudine.
Durante il 2020, quello che con forse un eccesso di melodramma definisco “il mio anno nero”, Lama Michel è diventato addirittura salvifico per il sottoscritto. Nell’arco di pochi mesi ho perso mio fratello, si sono ammalati prima papá e poi mamma, ed è esplosa la pandemia. Ben ricordo quella maledetta notte in cui credetti di impazzire. Mi trovavo a Milano per una serie di incontri quando in mattinata ricevetti quella telefonata. Era il primario che aveva in cura mio fratello Fabrizio. Aveva appena visto la tac e mi informava che quella maledetta massa che gli aveva intasato la gola non era operabile e a Fabrizio restavano da due a sei mesi di vita. Fu un bello schiaffo, che però non metabolizzai subito ma diverse ore più tardi, in albergo. Una sensazione orribile che difficilmente scorderò. La mente assalita da centinaia di pensieri negativi. L’agitazione che cresceva secondo dopo secondo. Un senso di pericolo tutto intorno che si mangiava l’aria. Una sensazione di profonda inquietudine non mi faceva trovare pace qualsiasi cosa facessi. Non stavo bene a letto. Non stavo bene in piedi. Non funzionava distrarsi con un libro, il tablet, la TV. Non servirono nè la meditazione nè un ansiolitico che miracolosamente trovai nella borsa. Mi sembrava di impazzire. Con un frullatore impazzito al posto del cervello mi vestii di corsa, deciso a lasciare l’hotel e saltare gli incontri del giorno dopo. Volevo solo tornare da Daria e i bambini. Volevo solo perdermi in loro. Tornare a casa. Ma anche mettermi in macchina, di notte, nella fastidiosa nebbia di Milano, mi metteva addosso una grande ansia. A Genova non c’erano solo mia moglie e i miei figli. C’erano anche i miei genitori malati. C’era papá che lentamente se ne stava andando. C’era mamma assalita da quella maledizione chiamata Alzheimer. Ma soprattutto c’era Fabrizio. Cosa dovevo dirgli? E con quali parole? Ed ecco il frullatore vorticare con pensieri sempre più veloci. Preda della tachicardia mi misi un momento sul letto, aprii you tube alla ricerca di un po’ di musica rilassante, e fu in quel momento che la cronologia mi ricordó di Lama Michel. Cliccai su un suo video e tentai di ascoltare. Il lama parlava di accettare il cambiamento, l’impermanenza che è insita nella più profonda natura della realtà. Niente rimane uguale a se stesso, tutto cambia, e va accettato. Fu un bel discorso il suo, anche se non ricordo bene gran parte di quello che disse. Quello che invece ben ricordo è che mi calmò, mi calmò così tanto che riuscii ad addormentarmi.
Quelle quattro cinque ore di sonno mi salvarono. L’indomani onorai gli incontri previsti e tornai a Genova col cuore pesante ma una rinnovata forza nel dare supporto a Fabrizio in quelli che sarebbero stati i suoi ultimi mesi di vita.
E lo feci, prima con lui e subito dopo con papá.
Quando incontro Lama Michel e gli racconto questa storia mentre ci stiamo avviando di buon passo verso il tempio per le riprese, lui mi dice solo: “Vieni qui”. E poi mi abbraccia. Ecco, per tutta la vita ho letto che certi esseri umani illuminati o quantomeno speciali, quando ti abbracciano riescono a scioglierti qualcosa dentro. A me non è mai capitato, anzi il mio scettico interiore ha sempre dubitato di certe doti. Eppure quando Lama Michel mi abbraccia, stringendomi forte al suo petto, sento qualcosa di intenso e bellissimo montarmi dentro, come venissi invaso da un’energia profonda e ben canalizzata. Se l’abbraccio fosse durato ancora qualche secondo sarei scoppiato a piangere, come se si stesse sciogliendo qualcosa.
Un’altra esperienza incredibile di questo strano viaggio chiamato vita.
La seconda cosa che mi colpisce di Lama Michel è la sua velocità di ragionamento. L’intervista è lunga, articolata, si parte dagli Otto Nobili Sentieri del Buddha – che scopro essere più di 30 nella tradizione tibetana – per poi arrivare al concetto di rinascita, di karma fino a lambire la sua storia personale. Ecco, qualsiasi domanda tiro fuori lui socchiude gli occhi e dieci secondi dopo ha già elaborato una risposta chiara, profonda e coerente in ogni aspetto. E c’è un’altra cosa davvero speciale. Nelle due ore che passa con noi, LM è profondamente e completamente assorbito da noi. E la stessa cosa accadrà a chi verrà dopo e a chi è venuto prima.
“Se sono con te, cerco di darti tutto me stesso e la mia attenzione, altrimenti non ha senso” mi confida. E questa è una lezione immensa. Credo non esista dono più grande che una persona possa fare a un’altra. Il tempo è l’unica cosa che non possiamo ricomprare.
Qualche ora dopo, mentre con Toni siamo in macchina diretti a Milano, dove un volo ci porterà a Napoli dentro un’altra storia di questo stralunato documentario, ripenso alle tante cose che ci ha detto Lama Michel.
È stata come una lunga seduta da uno psicologo, ma di quelli proprio bravi. Tra le tante, una in particolare continua a risuonarmi in testa. 
“C’è un verso del Buddha che tradotto dal tibetano dice “Io sono il mio proprio protettore, io sono il mio proprio nemico”.
Questo mi aveva detto Lama, seduto a gambe incrociate sull’erba, per nulla infastidito dal sole delle due che gli batteva sulla testa. Sta a noi scegliere di proteggerci e non di danneggiarci.
E subito ero stato invaso da un grande coraggio e da un’iniezione di fiducia che mi aveva scaldato il cuore. Proprio come era successo quattro anni prima, in quella dannata camera d’albergo a Milano.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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