Mia cara Olympe

Di homeless e di incontri, nel tempo di Pasqua

“Mi lascia il posto per favore? Grazie, siete molto gentili. No, lì non mi posso sedere, vede ho con me il mio castello…”. Il castello in questione è in realtà un ammasso di roba su un traballante carrellino tenuto insieme da cinghie, chi lo porta a fatica è un signore in età e  abbastanza male in arnese, il tutto dichiara una vita di strada. Teatro della conversazione è la 60, a Milano gli autobus, si sa, sono declinati al femminile. La giovane coppia  cui si è rivolta si alza prontamente, lui  si accomoda con tranquillità , sistema la sua roba e continua a parlare. In un ottimo francese e si può immaginare l’effetto spiazzante sul popolo della 60 che lo guarda e lo ascolta in quel misto di curiosità e diffidenza che si può ben immaginare. Quando a mia volta gli passo accanto per scendere e lo ringrazio, perché mi si rivolge spostando il castello, mi dice con tono quasi mondano: “Vedo che anche lei ama questa bella lingua, è così musicale…”. 

Giusto qualche sera fa al teatro dell’Elfo ho visto con mio figlio il lavoro di Nicola Russo ‘Cristophe o il posto dell’elemosina’ che racconta l’incontro a Parigi dell’autore con un homeless, un sans papier tunisino, lunga vita di strada sulle spalle. Da quell’incontro tra galassie lontane nasce una corrispondenza, dalle originali lettere che Cristophe – così si vuol far chiamare –  invia a Nicola origina il testo dello spettacolo che è una riflessione sugli stereotipi, sulla difficoltà di scrollarseli, sulla capacità di aprirci e farci sorprendere nell’incontro con l’altro. Colto, appassionato di cinema, divoratore di vocabolari, utente di cineteche e biblioteche, si rivela Cristophe, ma anche soggetto politico: il suo dire a proposito dell’elemosina, del valore pedagogico con cui sceglie dove farla – nel posto delle famiglie, dove ci sono i bambini  e le loro domande – ribalta la gerarchia sociale in cui siamo quasi tutti tranquillamente accomodati, ciascuno al posto suo.  

Mi chiedevo in questi giorni cosa significa per me, non credente, Pasqua: quella di quest’anno poi che è la prima senza la depositaria dei riti familiari – in presenza o a distanza perché ne avevamo di ogni tipo a seconda fossimo o non fossimo insieme – ovvero mia madre. Me lo chiedevo perché ho anche mancato, su richiesta della destinataria, al piccolo rito del pacco da mandare alla mia figlia lontana e me ne sono un po’ dispiaciuta.  Che senso ha questa Pasqua, oltre la generica e piacevole sensazione della primavera, le piante nuove su balcone, il sole che si fa più caldo? Mi sembra di averla incontrata nella sorprendente coincidenza di questi due incontri che hanno delle similitudini – il signore dell’autobus e il suo castello e il sans papier Cristophe – mentre intorno e nella mia vita continuano ad affollarsi i guai, le cose di cui preoccuparsi, arrabbiarsi, rammaricarsi. Poi però sale uno un po’ conciato sull’autobus, si prende un posto che per molti non è destinato a lui, lo fa con cortesia, in un buon francese e con il senso di un diritto di cittadinanza: ti  sorprende, ti fa sorridere e pensare a Cristophe e a quanto sia importante l’elemosina, alle considerazioni sul privilegio e sul pregiudizio fatte con tuo figlio al ritorno dal teatro e ti sembra che stavolta Pasqua, la tua Pasqua laica, sia questa, nello stare, per una volta, scomodo di chi sta sempre abbastanza comodo, nell’alzarsi per fare posto.  

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Violenza: riprendersi il potere sulla propria vita

    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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    Pubblica si occupa di violenza maschile contro le donne. Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale dell’ONU per l’eliminazione della violenza di genere. Con la presidente di UN (United Nations) Women Italy, Darya Majidi. E con Barbara Leda Kenny, antropologa, coordinatrice della Fondazione Brodolini, curatrice del sito Ingenere.it

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    Il piano di pace americano sull’Ucraina. Le nuove minacce dell’amministrazione Trump al diritto di espressione. Le dimissioni di Marjorie Taylor Greene e il malcontento diffuso nel movimento MAGA. A cura di Roberto Festa e Fabrizio Tonello.

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