“Non è vero che abbiamo abbandonato il tavolo della trattativa sull’Ex Ilva, quello del Ministro Urso è stato un vero e proprio tradimento”. Non ha usato mezzi termini Michele De Palma, segretario della Fiom Cgil. “Ieri dovevamo discutere del piano di rilancio dello stabilimento”, che prevedeva la ripartenza degli altoforni per raggiungere l’equilibrio finanziario e poi l’avvio del processo di decarbonizzazione degli impianti, con la garanzia di 8 milioni di tonnellate annue di acciaio, “e invece ci siamo trovati di fronte ad un piano di chiusura” ha spiegato il segretario della Fim Cisl, Ferdinando Uliano.
“Un piano di morte”, ha chiosato Rocco Palombella della Uilm. Perché se da un lato il ministro annuncia interventi manutentivi per avviare la decarbonizzazione, dall’altro presenta un piano di cassa integrazione per oltre il 60% del totale dei lavoratori. Tradotto, significa che il Governo non ha “più risorse finanziare da destinare allo stabilimento e cerca di far cassa sulla pelle dei lavoratori”.
“Se vogliamo salvare Ilva e dare una prospettiva è necessaria la costituzione di una società ad hoc che veda anche una presenza pubblica”, è intervenuto a margine di un incontro al Senato, anche il segretario della Cgil Maurizio Landini, “altrimenti – ha detto – si rischia di accompagnare una chiusura che non siamo disponibili a accettare”. I sindacati chiamano in causa Giorgia Meloni. “Che la Presidente del Consiglio assuma in prima persona la guida della trattativa”, hanno detto, annunciando giornate di protesta fino a nuovi spiragli.
di Valentina D’Amico


