Approfondimenti

Il testo di Antonio Scurati censurato dalla Rai

La notizia della censura del monologo di Antonio Scurati è stata diffusa in mattinata dalla conduttrice del programma, Serena Bortone.  Molte le reazioni di denuncia e di solidarietà con lo scrittore: dall’Anpi, all’Usirgrai, dal Pd a Verdi e Sinistra italiana, fino a Calenda.  La conduttrice di «Che sarà» aveva scritto su Instagram di aver «appreso per caso dell’annullamento del contratto» di Scurati, sostenendo di non aver ricevuto «spiegazioni plausibili» della sua cancellazione. 

Grande imbarazzo ai vertici della Rai. Il silenzio di due personaggi in genere molto loquaci, come l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, viene rotto soltanto da una seconda fila dell’organigramma Rai, il direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini. 

«La partecipazione di Scurati – secondo Corsini, di Fratelli d’Italia – non è mai stata messa in discussione». Sono «in corso accertamenti su aspetti di natura economica e contrattuale», «mere questioni burocratiche». Dunque, questioni contrattuali o questioni editoriali, dietro lo stop a Scurati? 

Un paio d’ore dopo le parole di Corsini, Repubblica online mostra una nota interna della Rai che parla di «ragioni editoriali». Tradotto: Scurati è stato censurato per ragioni politiche. 

Ma la giornata riserva ancora una sorpresa: il colpo di teatro di Giorgia Meloni. La presidente del consiglio irrompe con un post su Facebook: «pubblico tranquillamente io il testo del monologo» di Scurati. «E lo faccio per due ragioni». Nella prima, Meloni rigioca la carta abusata del vittimismo: «siamo stati sempre ostracizzati dal servizio pubblico, non chiederò mai la censura di nessuno». Seconda ragione: «pubblico il testo di Scurati – scrive Meloni – perché gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto”. 

Qui Meloni tenta un’acrobazia, bleffa, si mostra indifferente. Ma quello di Scurati non è un testo neutro.  Mette il dito nella piaga del silenzio ostentato da questa destra sull’antifascismo. Scurati conclude, infatti, scrivendo: «finché la parola antifascismo non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana». 

Il testo di Scurati censurato:

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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